Francesco quattro anni dopo
Economia, ecologia, riforma della Chiesa e patriarcato
da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 01/04/2017
I tempi storici nella Chiesa cattolica sono lunghi, molto lunghi, quasi eterni. La storia sembra indugiare, la tendenza è a dare risposte del passato a domande del presente. I cambiamenti però sono lenti e, quando si producono, hanno un percorso breve e una breve durata. Così è successo con il Concilio Vaticano II (1962-1965), convocato da Giovanni XXIII per riformare la Chiesa che era ancorata al Medioevo. Quella primavera ecclesiale è durata appena un lustro ed è stata seguita da un lungo periodo invernale. Francesco, tuttavia, sembra aver interrotto la stasi del tempo ecclesiastico. Non è passato un lustro dalla sua elezione – il suo pontificato è iniziato il 13 marzo del 2013 – e già si può parlare di vera rivoluzione – incruenta, beninteso – o di cambio di paradigma.
Le priorità del papa argentino distano molto da quelle dei suoi predecessori. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (prima come capo dell’onnipotente Congregazione per la Dottrina della Fede e poi come papa) hanno dato priorità, fino all’ossessione, alla dottrina, alla morale e alla disciplina ecclesiastica. La dottrina è stata formulata dogmaticamente nel Catechismo della Chiesa cattolica con la conseguente condanna delle teologhe e dei teologi che deviano dall’ortodossia. È stato uno dei periodicon maggior numero di sanzioni teologiche del secolo XX.
La disciplina è stata fissata nel “nuovo” Codice di Diritto Canonico con sanzioni e pene per i trasgressori del rigido ordine ecclesiastico (ma non per i pedofili, che in molti casi hanno continuato ad esercitare le loro funzioni pastorali con totale impunità, con un semplice cambio di attività). La morale imposta dai papi non si è retta sull’etica radicale della sequela di Gesù, ma è stata ridotta a “moraluccia” repressiva della sessualità, negatrice delle differenti identità sessuali che non coincidono con la concezione binaria e con la condanna del divorzio, dell’aborto, dell’omosessualità, dei metodi contraccettivi, delle relazioni prematrimoniali, della fecondazione in vitro, ecc.
Le priorità di Francesco vanno in altra direzione e sono l’economia, l’ecologia e la riforma della Chiesa. All’economia ha dedicato l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, secondo me la più severa condanna dell’attuale modello sociale ed economico, che definisce ingiusto alla radice, mentre considera l’iniquità origine dei mali sociali e generatrice di violenza. Evangelii gaudium è in piena sintonia con i movimenti popolari mondiali, con i quali Francesco si è riunito in tre occasioni, identificandosi con le loro rivendicazioni di Terra, Lavoro e Casa (rivendicazioni che Francesco ha riassunto nelle tre T: Tierra, Trabajo y Techo, ndt). A dir la verità, anche Giovanni Paolo II si espresse in modo molto critico nei confronti del neoliberismo nelle sue encicliche sociali.
L’orizzonte etico di Francesco è l’opzione per i poveri, marchio d’identità della Teologia della Liberazione, la solidarietà che decide di devolvere ai poveri quello che è stato loro rubato. L’etica porta a condividere, giacché, secondo Giovanni Crisostomo, «non condividere con i poveri i propri beni equivale a derubarli e a sottrar loro la vita. Non sono nostri i beni che abbiamo, ma loro». Il papa propone come alternativa il «ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano».
Francesco è il primo papa che ha dedicato un’enciclica all’ecologia, con il titolo Laudato si’. Nell’attenzione alla Casa comune, con la critica all’«antropocentrismo dispotico» e alle diverse forme di potere distruttivo della tecnologia tanto della natura come delle relazioni sociali, difende una visione olistica del cosmo del quale gli esseri umani fanno parte, crede necessario armonizzare l’attenzione alla Terra e agli esseri umani, soprattutto i più vulnerabili, colloca alla pari la giustizia economica e la giustizia ecologica e dichiara il diritto della Terra ad essere felice.
La terza priorità nella quale papa Francesco ha posto uno speciale impegno è la riforma della Chiesa. Lo ha fatto dal principio con la sua proposta di una Chiesa povera e dei poveri e lo va esemplificando con il suo stile di vita austero e la sua denuncia delle patologie della Curia, del corpo episcopale e del clero quando deviano dalla testimonianza evangelica. La riforma ecclesiale è in contiguità con l’aggiornamento di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II, che contrasta con il modello controriformista e restaurazionista di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Tuttavia, è nell’ambito della riforma interna della Chiesa cattolica che si stanno producendo le maggiori resistenze e i minori avanzamenti. Le resistenze provengono da vari fronti: dalla Curia e, all’interno di essa, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal card. Gerhard Müller, nominato da Benedetto XVI poco prima delle sue dimissioni per assicurare che il deposito della fede rimanesse incolume; da un settore importante dell’episcopato, che resiste a seguire il solco segnato da Francesco; e dai movimenti cristiani neoconservatori, che continuano a rimanere ancorati al paradigma ecclesiale dei papi precedenti.
Lo stesso Francesco, credo, non ci ha indovinato con la creazione di una Commissione di cardinali che lo assistano nella riforma ecclesiale. Sono tutti maschi, membri dell’alto ordine ecclesiale, “principi della Chiesa”. Non ci sono laici – né uomini, né donne -, né teologhe né teologi, né rappresentanti di Comunità ecclesiali di base, né membri di congregazioni religiose. Altro errore è stato nominare membro e coordinatore della suddetta Commissione l’arcivescovo dell’Honduras, card. Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, che appoggiò il colpo di Stato del 28 giugno del 2009 contro il presidente Manuel Zelaya e riconobbe il governo di Roberto Micheletti nato dal golpe. Come può appoggiare la democratizzazione della Chiesa universale una persona che ha contribuito alla defenestrazione di un presidente eletto democraticamente nel suo Paese?
A parte alcune dichiarazioni in favore dell’uguaglianza di uomini e donne e di alcuni tentativi di inserire le donne in posti subalterni, credo che nella Chiesa cattolica si continui a mantenere il patriarcato allo stato puro, cioè come sistema di dominio sulle donne, basato sulla mascolinità sacra («Se Dio è maschio, allora il maschio è Dio», diceva Mary Daly). (Mary Daly fu filosofa e teologa statunitense femminista, di estrazione cattolica, autrice nel 1968 de La Chiesa e il secondo sesso, ndt). Un patriarcato che si traduce nell’esclusione delle donne dal ministero ecclesiale, dall’accesso diretto al sacro, dalle funzioni direttive, dall’elaborazione della dottrina teologica e morale, e nella negazione dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne.
La Chiesa cattolica continua ad essere configurata, anche oggi, come una patriarchia. Fino a che non si conformerà come una comunità egualitaria – non clonica – di uomini e donne, ogni tentativo di riforma finirà con un pieno fallimento.
* Juan José Tamayo è direttore della Cattedra di Teologia e Scienze delle Religioni “Ignacio Ellacuría”, Università Carlos III di Madrid
* Foto di Jeffrey Bruno tratta da Wikimedia Commons, licenza e immagine originale