SEI STATO FEDELE NEL POCO, PRENDI PARTE ALLA GIOIA DEL TUO PADRONE!
commento al Vangelo della domenica trentatreesima del tempo ordinario (16 novembre) di p. Alberto Maggi:
Mt 25,14-30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Con Gesù il rapporto con Dio, con il Padre, cambia. Non più servi del Signore, ma figli del Padre. Ma un’idea sbagliata di Dio può rovinare l’esistenza della persona e impedire il passaggio da servo a figlio.
Sentiamo cosa ci scrive Matteo nel suo vangelo, capitolo 25, dal versetto 14 al 30. Gesù sta parlando del regno, del Regno dei Cieli. “Avverrà infatti come a un uomo che, partendo, chiamò i suoi servi …”, nel mondo orientale tutti i dipendenti di un personaggio importante vengono chiamati servi anche se, come in questo caso, si tratta di funzionari di alto rango.
“… E consegnò loro i suoi beni.” Questo signore non lascia i suoi beni in custodia, ma li trasferisce. Il verbo “consegnare” utilizzato dall’evangelista, significa un “dare” senza poi riprendere. “A uno diede cinque talenti”. Il talento era una misura di valore molto importante, un talento oscillava tra i 26 e i 36 Kg d’oro; un talento corrispondeva circa a 6.000 denari, cioè a 20 anni di salario di un operaio, quindi una fortuna.
Ebbene “a uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno”, letteralmente “la forza”. Il signore, il padrone conosce i suoi funzionari e sa le loro capacità. “Colui che aveva ricevuto cinque talenti subito andò a impiegarli”, e lo stesso fa quello che ne aveva ricevuti due. Il primo ne guadagna altri cinque, e l’altro ugualmente raddoppia, ne guadagna altri due, agiscono da signori, come se il talento fosse loro.
“Colui invece che aveva un solo talento…”, attenzione non è che con un solo talento riceva poco, ma ripeto un talento sono circa 30 Kg d’oro o 20 anni di paga di un operaio, quindi un’enorme fortuna, ma costui rimane servo, non si sente signore. “… andò a fare una buca nel terreno”. Seppellendo questo talento è come se seppellisse la propria vita, ma lo fa anche perché, secondo il diritto rabbinico, se uno seppelliva il denaro che gli era stato dato, in caso di furto, non era tenuto a restituirlo.
Quindi prende tutte le precauzioni, lui non crede nella generosità del suo padrone “e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi viene …” l’evangelista parla al presente, a rappresentare un’azione che continua nella comunità di Gesù, “e volle regolare i conti con loro”. Non viene per farsi restituire quello che lui aveva donato, ma vedere che cosa ne hanno fatto.
“Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: ‘Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. Ebbene a questo punto il signore, il padrone, non chiede indietro quello che lui aveva dato, ma gioisce ed escama: “’Bene … “, e questa esclamazione assomiglia a quella del creatore nel libro del Genesi quando Dio, il creatore, ammira la sua opera, “’Servo buono e fedele – gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco … “’, dice nel poco, ma si tratta di un’enormità, una fortuna immensa, 150 Kg d’oro, una fortuna straordinaria, e il padrone dice che era poco.
“’Ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”’. Lo invita a far parte di tutte le sue sostanze, di tutta la sua vita e lo fa passare dalla condizione di servo a quella di padrone, libero come lui. Ugualmente per quello che ne aveva ricevuti due. Invece è diversa la situazione per colui che aveva ricevuto un talento.
“Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e gli disse: ‘Signore, so… ‘”, lui ragiona in base a quello che sa, ma è una conoscenza sbagliata. “’… so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso’”, ma questa è un’immagine distorta che non viene
giustificata dalla narrazione. Nella narrazione vediamo un padrone non generoso, ma follemente generoso, che non solo non vuole indietro l’enorme fortuna che ha lasciato ai suoi funzionari, ma addirittura li fa parte di tutto il suo patrimonio, di tutta la sua vita.
“’Ho avuto paura’”. Ecco qui dove vuole arrivare l’evangelista, un’immagine distorta di Dio, la paura di Dio può essere fatale per la persona, che ha paura di agire per timore del rimprovero, o di sbagliare. Dirà Giovanni nella prima lettera “Nell’amore non c’è timore. Chi teme non è perfetto nell’amore”.
“’Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento…’”, mentre gli altri se ne sono impossessati e hanno agito liberamente, costui è rimasto servo, e sottolinea “’… sotto terra: ecco ciò che è tuo’”. Non l’ha mai considerato proprio. Ed ecco la reazione del padrone. “Il padrone gli rispose: ‘Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato’”, omette la definizione “uomo duro”,”’ e raccolgo dove non ho sparso …’”, il padrone non è d’accordo con l’immagine che il servo ha di lui, è un’immagine distorta.
“’Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse’”. La paura di sbagliare, nell’individuo, ha paralizzato la sua azione, la sua crescita. Ed ecco la sentenza. “’Toglietegli dunque il talento… ‘”, non ha saputo che farsene, era una fortuna e non l’ha saputa usare, anzi per lui questa fortuna che il signore gli aveva dato era diventata motivo di angoscia, di ansia e preoccupazione. Allora il signore gli dice “è inutile che la tieni, “’… e datelo a chi ha i dieci talenti.’”.
Questo individuo non viene punito per aver fatto qualcosa di male, semplicemente non ha fatto nulla. Ed ecco la sentenza, “’.. perché a chiunque ha…’”, questo verbo avere lo abbiamo già trovato nel vangelo di Matteo nella parabola dei quattro terreni, e indica produrre, colui che produce, “chiunque ha”, cioè chiunque produce e fa fruttare ciò che gli viene dato, “’… sarà nell’abbondanza; ma a chi non oha, verrà tolto anche quello che ha.’”
Chi produce amore riceve da parte del Padre una grande, maggiore capacità d’amare. Chi invece non ama, chi non dirige la propria vita per gli altri, questa si atrofizza e rimane senza nulla. “’E il servo inutile …”, inutile perché non ha saputo che farsene di questa fortuna, “’… gettatelo fuori nelle tenebre’”. In realtà c’è già perché seppellendo il talento ha seppellito se stesso, “’… là sarà pianto e stridore di denti’”.
“Pianto e stridore di denti” è un’espressione equivalente un po’ al nostro italiano “strapparsi i capelli”. E’ la disperazione per aver fallito la propria esistenza.
La parabola dei talenti
XXXIII domenica del tempo Ordinario A
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose
Mt 25,14-30
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La parabola dei talenti
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Ogni essere umano e’ portatore e messaggero di talenti. Tutti lo sono, non solo quelli che riteniamo per bene, affidabili, seri, responsabili Agli occhi di Dio lo e’ anche chi è considerato un “buono a nulla”, il carcerato, l’accattone, il clandestino, il fannullone?
Ecco, mi chiedo “quell’uomo in viaggio” (le parabole di Gesu’ quasi sempre trattano di uomini in viaggio, in movimento) affiderebbe i suoi beni anche a quest’ultima categoria?
Li consegnerebbe a un Rom, a un migrante appena sbarcato a Lampedusa, ad un tossico, ad una famiglia sfrattata, a un mendicante, ad un uomo del tutto normale, come il mio vicino di casa?
Consegnare tutti quei talenti (che non sono certo briciole!), solo a chi e’ affidabile, con tutte le credenziali al loro posto (anche se oggi su pochi metteremmo la nostra mano sul fuoco), caro Signore “viaggiatore misterioso” rischi ben poco, vai sul sicuro: troppo comodo e questo non è da Te.
Quindi immagino che Gesu’ nel raccontare quest’altra parabola, intendesse includere proprio tutti, compresi quei servi che noi senz’altro avremmo d’istinto scartato, proprio per la loro inaffidabilità.
Sì, mi piace vederlo così: un Dio che consegna le chiavi di casa sua e tutto quello che ci sta dentro, proprio a tutti, anche ai Rom del campo abusivo sotto casa sua, al servo svogliato e un po’ fannullone, al malato di mente, a chi ha perso il lavoro e non riesce più a reagire, al vecchio che vive di soli ricordi, anche a quel giovane che spreca il suo tempo a inseguire fantasie illusorie, al detenuto schiavizzato e abbruttito dal sistema carcerario disumano..
“Chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.”
E’ vero, e’ un Dio che fa piovere (talenti) sui buoni e sui malvagi, cioè offre cammini di santità proprio a tutti, anche a quelli che poi lo deluderanno.
E’ un Signore a cui piace il rischio di dar fiducia alle persone, di scommettere sulla loro creatività e ingegnosità. Anche se questo, lo farà passare agli occhi di tanti come un ingenuo, un “buonista” come si sente ripetere tanto ai nostri giorni a tipi come lui.
E poi, siamo così sicuri che la “contabilità” di Dio, coincida sempre secondo i nostri calcoli?
“Gli ultimi saranno i primi.”
Fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Di certo è che i talenti degli ultimi in genere, sono sepolti da una valanga di sospetti e diffidenze: quasi impossibile notarli. Invece i talenti dei cosi detti bravi, sono sempre illuminati a vista, abbagliano così tanto che a volte, ci impediscono di vedere tutto attorno.
Ma Dio non si lascia ingannare dai nostri bagliori, sa vedere perle (talenti) che brillano anche sotto il letame della storia.
Spesso chi sa di essere “bravo/a” sente il bisogno di verniciare di Dio i suoi talenti (come fa spesso la cantante Vip suor Cristina), chi invece sa di non contare niente, li vive in silenzio e in umiltà, come se si vergognasse di coinvolgere Dio nella sua insignificante vita, temono di sporcarLo.
Invece, e’ proprio così che facciamo felice Dio. “Bene, servo buono e fedele.. prendi parte alla gioia del tuo padrone.”
Si, e’ bello riconoscere e gioire per i talenti messi a frutto grazie alla nostra esistenza e il nostro impegno, ancora più bello scoprirli vivi e luminosi anche là dove nessuno si degna di guardare e con stupore incrociare lo sguardo di Dio proprio dentro queste vite.
Campo Rom di Coltano (PI) 13 Novembre 2014