CHI RIMANE IN ME E IO IN LUI PORTA MOLTO FRUTTO
commento al vangelo della quinta domenica di pasqua (3 maggio 2015) di P. Alberto Maggi:
Gv 15, 1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
In una famosa pagina del profeta Ezechiele, il profeta descrive il legno della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il legno della vite è l’unico legno tra gli alberi della campagna con il quale non si può fare nulla; non ci si può fare un oggetto, un attrezzo utile. Il legno della vite è buono soltanto per far passare la linfa vitale ai tralci e produrre frutta. Quindi il legno della vite è il legno inservibile, se non per portare frutto. Ed è a questa immagine del Profeta Ezechiele che Gesù si riallaccia nel famoso discorso della vite e dei tralci, contenuto nel capitolo 15 del Vangelo di Giovanni.
Gesù, ancora una volta, rivendica la pienezza della condizione divina. Quando Gesù dice “Io sono”, questo rappresenta la pienezza della condizione divina, perché “Io sono” è il nome di Dio.
Nella cultura d’Israele la vite era immagine del popolo, del popolo di Israele. C’è il famoso cantico d’amore del Signore per la sua vigna, contenuto nel capitolo 5 del Profeta Isaia; anche il Profeta Geremia parla di Israele come di una vite. Bene Gesù dichiara di essere “la vera vite”, quindi ci sono delle false viti. Gesù continua quel processo di sostituzione con le realtà di Israele con la propria persona:
– non la manna dal cielo, ma lui è il vero pane che da vita al popolo; – lui è la vera luce al contrario della legge; – lui è la vera vite, lui è il vero popolo piantato dal Signore.
E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove scorre la linfa vitale, il Padre è l’agricoltore. Qual è l’interesse dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre più frutto e infatti, scrive l’evangelista, “ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”. Qual è il significato di questa espressione? L’evangelista sta parlando della comunità cristiana dove c’è un amore che viene comunicato dal Signore, un amore ricevuto dal Signore, e questo amore si deve trasformare in amore dimostrato agli altri. E questo è caratteristico dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia si accoglie un Gesù che si fa pane, fonte di vita, per poi essere disposti a farsi pane, fonte di vita per gli altri. Ci può essere il rischio che nella comunità ci sia una persona che assorba questa linfa vitale, assorba questa energia, assorba questo amore, assorba questo pane, ma poi non si faccia pane per gli altri, non trasformi l’amore che riceve in amore per gli altri. E’ un elemento passivo, che pensa soltanto al proprio interesse, a se stesso, e quindi non comunica vita.
Ebbene, non gli altri tralci, e neanche Gesù, ma il Padre, prende e lo toglie, perché è un tralcio che è inutile.
“Ma ogni tralcio che porta frutto”, cioè il tralcio che succhiando questa linfa vitale, quindi nell’Eucaristia il tralcio che ricevendo Gesù come pane si fa poi pane per gli altri, porta frutto. Dispiace vedere che ancora i traduttori rendono il termine con ‘potare’ che non è quello adoperato dall’evangelista. Il verbo adoperato da Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono due cose completamente diverse. Cosa significa purificare? Il Padre che ha a cuore che il tralcio porti più frutto sa individuare quegli elementi nocivi, quelle impurità, quei difetti che ci sono nel tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo è importante, l’azione è del Padre; non deve essere il tralcio a centrarsi su sé stesso, ad individuare i propri difetti e cercare di eliminarli, perché centrandosi su sé stesso farà un danno irreversibile.
L’uomo si realizza non quando pensa a se stesso, alla propria perfezione spirituale, che può essere tanto illusoria e lontana quanto è grande la propria ambizione; l’uomo deve centrarsi sul dono totale di sé, che è immediato. Allora, in ognuno di noi ci sono dei limiti, ci sono dei difetti, ci sono delle brutte tendenze. Ebbene noi non ci dobbiamo preoccupare. Sarà il Padre che, se vede che questi limiti, questi difetti, queste tendenze sono di impedimento al portare più frutto, lui penserà ad eliminarli, non noi. Perché facendolo noi possiamo andare a toccare quelli che sono i fili portanti della nostra struttura e fare dei danni tremendi.
Allora “Il Padre lo purifica”. Questo da piena serenità; l’unica preoccupazione del tralcio è portare frutto, tutti gli impedimenti a frutti abbondanti ci penserà il Padre, non gli altri tralci, neanche la vite, ma il Padre. Perché? “Perché porti più frutto”.
E dichiara Gesù “Voi siete già puri”, ecco vedete, quando i traduttori traducono il verbo con ‘potare’ anziché ‘purificare’, non rendono questo gioco di parole che l’evangelista fa tra il verbo ‘purificare’ e l’aggettivo ‘puri’. Quindi prima Gesù ha detto “Lo purifica”, e poi dice “voi siete già puri”. Perché? “A causa della parola che vi ho annunziato”. La parola di Gesù è un amore che si fa servizio. Ciò che purifica l’uomo non è il fatto che gli lava i piedi, ma la disponibilità poi di lavare a sua volta i piedi agli altri. Quindi questa parola, il messaggio di Gesù, un amore che si fa servizio, rende pura la persona.
Secondo la concezione dell’epoca Dio era nella sfera della santità, della purezza e soltanto chi era puro poteva entrarci pienamente in contatto. Ebbene, l’amore che si traduce in servizio è la garanzia di essere in pieno contatto con il Signore. E Gesù ripete e dice “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.” Quindi Gesù torna di nuovo a insistere che questo amore da lui ricevuto si deve trasformare in amore comunicato, altrimenti si è inutili.
Ritorna Gesù a rivendicare il suo titolo, la condizione divina: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui”, in questo processo dinamico di fusione di Dio – Dio chiede soltanto di essere accolto nella vita del credente, per dilatarne l’esistenza – “porta molto frutto”. Si da la vita agli altri, più si da e più si riceve. Si ha soltanto quello che si è donato, più il dono della vita agli altri è grande, è illimitato, più la risposta di Dio sarà illimitata.
Poi Gesù avverte: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca”. Questa espressione che abbiamo tradotto con ‘secca’, letteralmente ‘inaridisce’, l’evangelista la prende dal Profeta Ezechiele, quando vede la situazione del popolo, come una vallata piena di ossa secche, nel capitolo 37, indicando il popolo senza Spirito. Ebbene, chi non rimane in Gesù, chi ricevendo questo amore non lo comunica agli altri, si inaridisce, perché, ripeto, si possiede soltanto quello che si dona agli altri. E poi, ecco la garanzia di Gesù, che purtroppo noi nel linguaggio popolare abbiamo un po’ ridimensionato. Tutti quanti conosciamo l’espressione “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”, però dimentichiamo le due condizioni che Gesù pone:
– se rimanete in me, quindi se c’è questo amore da lui ricevuto che si trasforma in amore comunicato agli altri – se le mie parole rimangono in voi, quindi rimangono come indirizzo dell’orientamento della vita, dell’esistenza un amore che si fa servizio per gli altri
A questo punto, solo a questo punto, preceduto da queste due condizioni, Gesù dice “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”. Quindi, quando si vive in sintonia con il Signore, quando la vita dell’uomo si fonde con quella di Dio fino a diventare una sola cosa, l’unico che si chiederà sarà il dono dello Spirito, una capacità ancora più grande d’amare. Perché al resto il Padre ci pensa. Il Padre non risponde ai bisogni e alle necessità dei suoi figli, ma li precede. Questo dà tanta sicurezza.
Ed ecco il finale: “In questo è glorificato il Padre mio”. C’era l’immagine che Dio dovesse essere glorificato attraverso opere straordinarie, magnificenze gloriose, no, l’unica maniera per manifestare la gloria di Dio, la rivelazione del suo amore, è un amore che gli assomiglia, “Che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
L’unica maniera per dar gloria a Dio è manifestare nella nostra vita un perdono, una misericordia, una condivisione che in qualche maniera gli assomiglino.