in memoria di padre Fabrizio Forti, un profeta dei nostri giorni che ho avuto la fortuna di sentire amico
padre Fabrizio un missionario a casa nostra
di Paolo Mantovan
in “Trentino” del 17 ottobr 2016
padre Fabrizio Forti, nella sua semplicità e nel calore della sua accoglienza, era un profeta dei nostri giorni, un uomo dalla voce profonda e robusta, ma dalla parola rotonda, semplice. Era un uomo che credeva nella radicalità e che la incarnava nell’azione, senza fronzoli, col grembiule, preparando il pasto per i poveri
Ed era anche l’uomo del sorriso, genuino, semplice. Padre Fabrizio Forti ci lascia all’improvviso, dopo aver trascorso tutta la vita come un missionario dentro casa sua: perché il mondo per lui era ovunque e anche qui c’era il prossimo, c’erano i poveri. Padre Fabrizio Forti era anche una voce scomoda. Soprattutto negli anni della gioventù. A fine anni Ottanta, quando decise di fare del convento di Segonzano un luogo di grande intensità, portò con sé anche il bagaglio della protesta. Una “protesta” speciale, di chi vorrebbe attorno a sé una chiesa più vicina a quel “poveraccio di Francesco” come diceva lui. Perché tanti condividevano e perfino cantavano o pregavano con le parole di San Francesco, ma poi metterle in pratica era un’altra musica. E così Fabrizio, con padre Giorgio Butterini, là a Segonzano sembrava che coltivasse un luogo di impegno e un pochino di “contestazione”. Fu un tratto che non abbandonò mai: lo spirito critico nei confronti delle istituzioni. Erano gli anni del vescovo Giovanni Maria Sartori e per Fabrizio Forti non furono facili, perché erano anche i suoi anni bollenti, quelli della gioventù e della prima maturità. E a pensarci bene furono davvero anni formidabili per la chiesa trentina. Perché c’era una straordinaria squadra di sacerdoti degli ultimi.
C’era don Valerio Piffer che prese in mano quel luogo di frontiera che era Casa Bonomelli, e poi c’era don Clauser, indimenticabile don Dante, che inventò il Punto d’Incontro, e padre Fabrizio Forti che, dentro il convento dei cappuccini di Trento, alla Cervara, quando divenne “guardiano” (ossia il “capo” pro tempore dei frati del convento), decise di aprire le porte accogliendo gli ultimi nel corridoio che dava sul chiostro per dar loro un piatto di minestra: e lo fece anche se alcuni frati lo guardarono un po’ storto. Qualcuno dei confratelli disse che era esagerato, che se i poveri non fossero esistiti lui li avrebbe inventati. E invece inventò la mensa dei poveri, che poi divenne una delle sue “missioni per sempre”. Una mensa che è riuscita a coinvolgere tantissime persone come volontari, che ha allargato il cuore a tanti trentini, soprattutto quando prendevano dei pacchi viveri o un piatto di minestra ben impacchettato da padre Fabrizio che diceva loro: «Vai là, a quel numero civico, e non dire mai che hai consegnato questo pacco a quella famiglia». Era la regola della discrezione, «la consegna del segreto», la sua capacità di tutelare chi era povero e viveva nella vergogna. Che erano e sono tanti, molti di più di quanto non si creda. E lui conosceva tutti i veri poveri, perché a lui tutti si rivolgevano, di lui tutti si fidavano. Padre Fabrizio Forti è stato un missionario di casa nostra che ha vissuto la radicalità del grembiule, quella di cui parlava don Tonino Bello. E chi ha conosciuto padre Fabrizio sa bene che la sua accoglienza era talmente calorosa da far venire i brividi: quando ti salutava sembrava che tu fossi la persona che aspettava da sempre.
Perché padre Fabrizio aveva il dono, diversamente da altri preti e frati degli ultimi, di sapersi avvicinare a tutti, aveva quell’empatia che lo rendeva speciale. Aveva il dono della semplicità e insieme della profondità con cui riusciva ad aprire porte impensabili del cervello e del cuore di chi lo ascoltava. E poi era anche bravo a sorridere, ridere e far ridere. Aveva fatto ridere anche i confratelli a cena, sabato sera, prima di dire: «Mi ritiro in stanza un po’ prima, voglio preparare presto l’omelia di domani». Ed è morto in silenzio, nella sua cameretta. Con padre Fabrizio Forti se ne va uno degli ultimi sacerdoti trentini di frontiera in casa nostra. Ma soprattutto un uomo che ha vissuto in intensità e pienezza ciò che ha cercato per tutta la vita.