“Noi italiani, popolo di emigranti senza cultura dell’ospitalità”
intervista a Giovanni De Luna
a cura di Mattia Feltri in “La Stampa” del 20 luglio 2015
Professor Giovanni De Luna, la ribellione di molti italiani agli immigrati è razzismo? «Credo che l’essenza del razzismo sia nell’umanità vista attraverso un concetto gerarchico, nell’individuazione di uomini inferiori da parte di uomini che si dicono superiori non soltanto per il colore della pelle, ma per l’etnia, per la cultura, per l’appartenenza ideologica o religiosa».
Lei crede che gli italiani si sentano superiori?
«Dico che non tutti gli uomini sono messi su un piano di parità: quante volte sentiamo dire che noi siamo meglio di loro? Questo è razzismo. C’è anche altro, c’è uno slogan che rende l’idea: ognuno è padrone a casa propria. È uno slogan che dà l’idea di una concezione esclusivista, del rifiuto di includere il diverso. E che cosa possiamo aspettarci se descriviamo l’Italia come una fortezza assediata? C’è una netta separazione fra noi e loro che nasce da una paura del confronto».
E da che cosa dipende tutta questa paura? Non può essere soltanto autosuggestione. «Ci sono importanti ragioni culturali. Negli ultimi venti anni siamo stati scaraventati dentro un mondo globalizzato che ha scardinato tutte le nostre certezze, si è sbriciolato lo stato nazionale, sono stati cancellati i confini. Si fa fatica a trovare la bussola. E si reagisce con paura. Pensate alla Lega degli esordi, quella degli anni Ottanta…».
Ma quella era una Lega ostile al centralismo e che voleva staccarsi dall’Italia per essere europea.
«Naturalmente, era la Lega dei padroncini del nord est che dovevano confrontarsi con la fine del Novecento e dei suoi punti di riferimento, con l’avvento della dimensione immateriale del commercio. E come reagivano? Con paura e odio. Si diceva “Roma ladrona”. C’era un forte razzismo verso i meridionali additati come causa di ogni nostro male, e fino all’altro ieri: ricordate il video in cui Matteo Salvini dà ai napoletani dei terremotati e dei colerosi?».
Oggi non è soltanto la Lega.
«No, ci sono anche gruppi di estrema destra come Casa Pound e Forza Nuova. Ma ricordo una recente campagna elettorale del centrodestra (Politiche e Amministrative 2008, ndr) tutta puntata sulla sicurezza. Sono imprenditori della politica per i quali la paura è diventato un capitale da spendere. E poi c’è un altro problema: non abbiamo nessuna tradizione di ospitalità, noi italiani siamo sempre partiti, siamo emigranti».
Tutta colpa della destra?
«Non soltanto. La classe politica nel suo complesso offre una sensazione di inadeguatezza. Le reazioni degli italiani in questi giorni dipendono da una paura che discende dal pregiudizio e il pregiudizio è nemico della conoscenza. E come si fa a scalzare il pregiudizio? Confrontandosi con la realtà e non con la sua rappresentazione. Guardate, non sono dinamiche nuove: ricordo che quando ero bambino si leggevano sui giornali del nord titoli come “donna scippata da un meridionale”. Però allora c’erano strumenti di integrazione formidabili. A Torino c’era la Fiat, dove lavoravano 60 mila operai, moltissimi del sud, che conoscendosi hanno superato il pregiudizio».
Professore, poi c’è il terrorismo islamico. C’è la criminalità.
«La criminalità non è aumentata, lo dicono tutte le statistiche. Poi, certo, davanti al terrorismo islamico chiunque di noi si schiera sul canale di Otranto perché nessuno passi. Però le immagini di decapitazioni o quelle dei ragazzini che giustiziano i prigionieri sono terribili ma anche produzioni da set televisivi. Non c’è più niente di arcaico. E poi mi viene in mente la testa di Abuna Petròs, il capo supremo della chiesa copta in Etiopia che nel 1936 fu decapitato dagli italiani, e la sua testa esposta dentro una scatola di biscotti Lazzaroni».
Dunque è un abbaglio collettivo.
«Attenzione, ci sono problemi reali. Penso ai rom. Certo che i rom rubano, ma la nostra reazione si limita a due stereotipi, uno secondo cui tutti i rom rubano e l’altro secondo cui tutti i rom sono buoni».
L’incontro fra noi e gli immigrati porterà alla conoscenza e alla fine del pregiudizio? «Lo spero. Abbiamo un tessuto civile che mi rende ottimista. A Ventimiglia c’era un contrasto straordinario fra l’inettitudine delle istituzioni europee e i volontari che portavano ombrelloni, acqua e cibo agli immigrati accampati sugli scogli».