la chiesa austriaca e i migranti

Austria

il «Nein» del vescovo alle barriere anti-migranti

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Dopo il Brennero forte l’azione della Chiesa anche al confine con l’Ungheria.

Il vescovo Zsifkovics: «Ho sempre ricordato che la Sacra Famiglia è stata una famiglia di rifugiati e chi pensa altrimenti non rappresenta il Vangelo»

Maria Teresa Pontara Pederiva

Si fa sempre più aspra l’opposizione dei cattolici austriaci contro le decisioni del governo, in piena campagna elettorale, per limitare l’ingresso di migranti e rifugiati.
Una lotta che ormai dura da settimane e che vede fianco a fianco vescovi e laici uniti per affermare il rispetto dei diritti umani e il valore irrinunciabile dell’accoglienza contro quella che il cardinal Schönborn ha definito la «fortezza Europa».

A cominciare dal passo del Brennero che vede coinvolti, e contrari, sia i residenti del Tirolo (Austria) che del Sudtirolo (Italia) e dove il governo austriaco sembrerebbe aver l’intenzione di ripristinare un confine di fatto caduto da diciotto anni.

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Forte nei giorni scorsi la reazione di mons. Jakob Bürgler, amministratore apostolico di Innsbruck (dove si attende la nomina del vescovo a seguito della designazione di mons. Scheuer a Linz): «La reintroduzione del confine in una regione cosmopolita (leggi Euregio, Tirolo-Sudtirolo-Trentino) e nell’era della globalizzazione rappresenta un passo che annulla molti successi».
«La mia prima preoccupazione non risiede nel fatto che l’economia e il turismo potrebbero avere risvolti negativi, ma va soprattutto a quelle donne, a quegli uomini e a quei bambini in fuga che hanno bisogno del nostro aiuto» ha scritto in una lettera il vescovo di Bolzano-Bressanone, Ivo Muser. «Il loro grido di aiuto – la loro fuga non è nient’altro che questo! – richiede la nostra attenzione, il nostro cuore generoso.
A che cosa serve celebrare l’”Anno della misericordia”, se poi siamo duri di cuore nei confronti del prossimo?!».

E un altro segnale forte viene in queste ore dalla diocesi di Eisenstadt, nel Burgenland, la regione più orientale al confine con Ungheria e Slovenia, zona chiave per le rotte d’ingresso.
Non è un caso che il protagonista sia proprio mons. Ägidius Johann Zsifkovics, nella sua triplice veste di pastore della diocesi e di presidente della Commissione episcopale austriaca per i migranti e l’integrazione e dell’omonima dei vescovi accreditati presso la UE (artefice dell’incontro di febbraio dei vescovi Comece ad Heiligenkreuz insieme ai patriarchi d’Oriente, terre di provenienza dei migranti, e autore del documento dei vescovi europei).
Il vescovo Zsifkovics ha pronunciato un chiaro e deciso «Nein» nei confronti della costruzione di recinzioni e barriere sul suolo diocesano e il vescovo non ha timore di rappresaglie di sorta, magari da parte di alcuni cattolici xenofobi.

Intervistato da diverse testate ribadisce la sua decisione: «Con ogni fibra del mio corpo affermo che è impossibile per me accettare che nel 21° secolo si possano costruire dei recinti, destinate a diventare un feticcio». Ricorda di essere nato (nel 1963 a Güssing) e cresciuto all’epoca della cortina di ferro e di aver sperimentato «tutte le umiliazioni di una zona di confine» sempre con il desiderio di un’altra vita.
«Ho sempre ricordato che la Sacra Famiglia è stata una famiglia di rifugiati e chi pensa altrimenti non rappresenta il Vangelo» ripete con convinzione.

Anche il portavoce diocesano Dominik Orieschnig osserva che la costruzione della barriera di confine sarebbe una «chiara rottura con il messaggio della Chiesa» oltre che «del tutto contraria allo spirito del Vangelo».
La decisione della diocesi di Eisenstadt ha già raccolto numerose attestazioni di simpatia e solidarietà, ma anche alcune critiche.

Un cittadino ha ringraziato «in nome dell’umanità», mentre altri, che si dichiarano cattolici, ma simpatizzanti di organizzazioni xenofobe, hanno espresso arrabbiati tutta la loro contrarietà.

Ancora una volta, emerge, dunque, come la crisi dei rifugiati rappresenti quasi «una cartina al tornasole del cristianesimo», ha detto il portavoce diocesano che tiene a precisare come l’autentica carità cristiana si riveli in questi momenti di crisi quando le situazioni difficili dovrebbero veder unite le forze in un vincolo di solidarietà fattiva. Come Bürgler a Innsbruck, anche al confine orientale, punto di riferimento sono i gesti di papa Francesco nell’incontro di Lesbo con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene Hieronymus II la settimana scorsa.

Ciò non significa affatto che la diocesi non abbia comprensione dei timori e delle preoccupazioni della gente, tutt’altro, e le proposte dei vescovi europei alle sedi di Bruxelles stanno a dimostrarlo.
Tuttavia tengono a precisare da Eisenstadt, «non sarebbe una testimonianza cristiana rispondere a queste paure con recinzioni e muri».
La risposta cristiana è un’altra, dicono da settimane in Austria, anche perché quando lo sconosciuto diventa un volto concreto, la realtà dei fatti ha dimostrato che i timori svaniscono.

E, per intanto, i 9 km di recinzione lungo il confine con l’Ungheria nei pressi di Moschendorf (previsti anche container, servizi igienici e quant’altro) non si faranno.

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