Le coppie di fatto scuotono la Chiesa: vescovi divisi tra favorevoli e contrari
Il tema delle coppie di fatto oltre che scuotere il Parlamento italiano irrompe anche nella Chiesa:
”La legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi. Senza creare omologazione tra coppie di fatto e famiglie, è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto”. questo è ciò che ha affermato, a “La Stampa”, il vescovo di Mazara del Vallo. Domenico Mogavero, ex sottosegretario Cei e attuale commissario per le migrazioni che poi ha aggiunto:
”Lo Stato può e deve rispettare e tutelare il patto che due conviventi hanno stretto tra loro. Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all’altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche come se fosse una persona estranea. Mi pare legittimo riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell’ affitto in virtù della centralità della persona”.
Per la chiesa ”su tutto ciò che riguarda la sfera civile e umanitaria si può arrivare ad un accordo. Senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili”, ha ribadito il vescovo. Quanto ai figli,” in chiesa non possono esserci preclusioni in nulla per i figli di genitori non sposati. Le colpe dei padri, se di colpe si tratta, non possono mai ricadere sui figli. Perciò non si può negare il battesimo a un bambino, e non si possono indicare le coppie di fatto come persone che vivono nel peccato”.
Ma l’opinione di Mogavero trova anche degli oppositori e tra questi il più attivo è sicuramente il vescovo di Parma Enrico Solmi, presidente della Commissione che si occupa della famiglia e della vita all’interno della Cei. Solmi, in un’intervista rilasciata a “La Repubblica” ha preso infatti una posizione diametralmente opposto affermando:
“Favorire attraverso sentenze soluzioni di fatto, in sostanza un riconoscimento delle unioni di fatto e anche delle unioni di persone omosessuali, è una deriva che non può essere accettata. Certo, diverso è se si vuole discutere e confrontarsi per arrivare a una tutela dei diritti e delle persone in quanto tali. Tali diritti vanno in considerazione anche della relazione che un uomo e una donna non sposati possono intessere, e che può essere arricchita anche dalla presenza di figli, o di una relazione di aiuto che comprenda l’assistenza sanitaria, i beni delle due persone, quindi il discorso dell’eredità”.
”Questo percorso è assolutamente fattibile facendo riferimento al codice civile e ai diritti della persona. Codice civile che può essere anche adeguatamente modificato per fare spazio a queste situazioni che da un punto di vista numerico sono significative. Le sentenze in merito alle coppie di fatto debbono considerare il dettato costituzionale degli articoli 30 e 31 della Costituzione. Una lettura serena e fruttuosa di questo consentirebbe quel dialogo che da più parti si sente come impellente”.
e papa Francesco cosa dice a questo proposito?
ha una sua particolare modalità di rapportarsi al problema che non può non risultare provocatoria ne confronti di tanta chiusura e immobilismo della gerarchia episcopale italiana: quello che era un tabù, soprattutto durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, da quando Jorge Mario Bergoglio è salito
sulla cattedra di Pietro è diventato argomento di discussione e confronto:
Il Papa apre alle coppie gay “Da loro nuove sfide educative”
così in una ricostruzione di P. Rodari:
Svolta nell’incontro con i Superiori generali: “Dobbiamo annunciare Gesù a una generazione che cambia”.
L’apertura a sorpresa di papa Francesco “Le coppie gay una sfida per chi educa non allontaniamo i loro figli dalla fede” L’esortazione: impariamo a parlare a una generazione che cambia Il caso.
Papa Francesco apre inaspettatamente alle coppie gay. Nella conversazione con i Superiori generali Bergoglio ha messo in guardia dai pericoli di non considerare la grande novità sociale costituita dalle coppie omosessuali con figli. Coppie che, ha detto, pongono “sfide educative inedite”. Il rischio, ha insistito il pontefice, è che non comprendendo questa novità, si allontanino i figli di queste coppie dalla fede. La sfida da cogliere è saper parlare a una generazione che cambia, ha concluso.
«Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “La fidanzata di mia madre non mi vuol bene”. La percentuale di ragazzi che studia nelle scuole e che hanno i genitori separati è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia?». Sono parole di Papa Francesco, pronunciate nella conversazione avuta in Vaticano il 29 novembre con i superiori generali e della quale ha dato una lunga sintesi La Civiltà Cattolica. Il Papa mostra come nella Chiesa esiste una consapevolezza non banale rispetto alla realtà familiare oggi. Accanto alle famiglie tradizionali, vi sono coppie formate da persone etero e omosessuali. E questo dato di fatto, dice in sostanza il Papa, non va eluso. È un po’ quanto da tempo ripete il primate di Vienna Christoph Schönborn: la Chiesa deve rendersi conto che «oggi la famiglia è patchwork, è una famiglia fatta di divorziati, risposati, eccetera». Dice Francesco ai superiori generali: «Bisogna stare attenti a non somministrare» ai figli di coppie di fatto «un vaccino contro la fede». Per Bergoglio «l’educatore deve essere all’altezza delle persone che educa, deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia». E ancora: «Il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!». Non ci sono margini, in merito, per dire che il Papa intende spingersi dove i suoi predecessori non sono mai arrivati. Ieri è stato il quotidiani a smorzare gli entusiasmi, scrivendo in un editoriale che «priorità sono lavoro e Il Papa comunque non sembra voler cedere sul leitmotiv del pontificato: la Chiesa deve accogliere tutti e non chiudere. Ha spiegato recentemente Víctor Manuel Fernández, rettore dell’Università cattolica d’Argentina e amico del Papa: «Ci deve essere una proporzione adeguata nella frequenza con la quale alcuni argomenti vengono inseriti nella predicazione. Se un parroco lungo l’anno liturgico parla dieci volte di morale sessuale e soltanto due o tre volte dell’amore fraterno o della giustizia, vi è una sproporzione. Ugualmente se parla spesso contro il matrimonio fra omosessuali e poco della bellezza del matrimonio». Dice non a caso padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica: «Papa Francesco ha voluto intendere che siamo davanti a un mondo in cambiamento e la Chiesa deve capire come annunciare il Vangelo davanti a un mondo che cambia. Il Papa non vuole definire ma aprire delle finestre. La situazione di una coppia gay deve essere vissuta come una sfida, perché il Vangelo va annunciato a tutti». E le parole del Papa trovano il plauso delle associazioni gay. Dice il portavoce del Gay Center Fabrizio Marrazzo: «Sarebbe un fatto storico se il Papa incontrasse le famiglie di coppie gay. Da Bergoglio viene una riflessione che contrasta la cultura figlia dell’omofobia. La sua è un’attenzione inedita per un pontefice a cui bisogna guardare con fiducia».
Da La Repubblica del 05/01/2014.
e così in un apprezzabile articolo di Luca Kocci in “il manifesto” del 5 gennaio 2014
La sfida di Francesco
Sul tema delle coppie omosessuali il dibattito è aperto anche nella Chiesa di papa Francesco.
La posizione del magistero ufficiale non è cambiata: le relazioni omosessuali sono «gravi
depravazioni», l’unica via di salvezza resta la «castità» («gli atti di omosessualità sono
intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale», non sono il frutto di una vera
complementarietà affettiva e sessuale, in nessun caso possono essere approvati», ricorda il
Catechismo della Chiesa cattolica). Tuttavia è innegabile che quello che era un tabù, soprattutto
durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, da quando Jorge Mario Bergoglio è salito
sulla cattedra di Pietro è diventato argomento di discussione e confronto.
Il tema lo ha rilanciato papa Francesco anche nel colloquio con i superiori delle congregazioni
religiose maschili pubblicato ieri da
Civilità Cattolica in un lungo articolo firmato dal direttore del
quindicinale dei gesuiti, padre Antonio Spadaro (anche se, siccome l’incontro è avvenuto il 29
novembre, interpretarlo come un inserimento papalino nel dibattito politico di questi giorni è
assolutamente fuori luogo).
Parlando dell’educatore che deve «essere all’altezza delle persone che educa» e interrogarsi su
come annunciare il Vangelo «a una generazione che cambia», Bergoglio rievoca un episodio
accaduto a Buenos Aires: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla
maestra il motivo del suo stato d’animo: la fidanzata di mia madre non mi vuole bene». Chiosa
Bergoglio: «Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono
persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Bisogna stare
attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede».
Leggere queste parole come un’apertura alle coppie omosessuali — come pure qualcuno ha fatto —
pare forzato. Di sicuro però la questione viene affrontata in termini più problematici del passato.
Come del resto già papa Francesco aveva fatto in estate, di ritorno dalla Giornata mondiale della
gioventù a Rio de Janeiro, quando in aereo, parlando con i giornalisti, aveva pronunciato la frase
che innescò il dibattito: «Chi sono io per giudicare un gay?». Ribadita, e approfondita, nella lunga
conversazione con padre Spadaro pubblicata da
Civilità cattolica a settembre (e poi in un libro edito
da Rizzoli).
«Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per
giudicarla. Dicendo questo io ho detto quello che dice il Catechismo», puntualizza Bergoglio. «Una
volta una persona mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora — prosegue papa Francesco —
le risposi con un’altra domanda: Dio quando guarda a una persona omosessuale ne approva
l’esistenza con affetto o la respinge condannandola? Bisogna sempre considerare la persona» e
«accompagnarla a partire dalla sua condizione».
La linea sembra chiara: fermezza nella dottrina — del resto Bergoglio da vescovo di Buenos Aires
fu uno dei più strenui oppositori della legge che nel 2011 approvò le unioni tra persone dello stesso
sesso, definendola frutto della «invidia del demonio» — ma atteggiamento pastorale meno rigido e
più inclusivo.
Nel questionario preparato dal Vaticano per interpellare i cattolici di tutto il mondo su temi caldi
come le coppie omosessuali e i divorziati in vista del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia
in programma per ottobre 2014, un intero blocco di domande è dedicato alle «unioni di persone
dello stesso sesso». «Qual è l’atteggiamento delle Chiese locali di fronte alle persone coinvolte in
questo tipo di unioni? Quale attenzione pastorale è possibile avere» nei loro confronti?», viene
chiesto. E molti di coloro che hanno inviato le risposte ai loro vescovi e in Vaticano — parrocchie,
gruppi di base, singoli fedeli — hanno espresso pareri in netta difformità rispetto alle posizioni
ufficiali.
Allora proprio il Sinodo potrà essere l’occasione per verificare se le parole problematiche di papa
Bergoglio, oltre a manifestare le buone intenzioni di una prassi pastorale più inclusiva ma in un
quadro dottrinale di condanna immutato, comporteranno anche un aggiornamento delle
ermeneutiche bibliche e soprattutto del magistero. Senza questi passaggi le aperture resteranno
dimezzate.