la criminalizzazione delle ONG

L’orrore e la speranza: la bambina sopravvissuta al naufragio e ai muri
dell’Ue
di Marika Ikonomu
in “Domani” del 12 dicembre 2024

Sono proprio le ong le uniche realtà in grado di testimoniare questi naufragi. Politiche nazionali ed europee mirano però a ostacolare e criminalizzare il loro lavoro. Ne è un esempio, il recente decreto flussi approvato dal parlamento, che ha inasprito i fermi amministrativi e le sanzioni

Partita dalla Tunisia con il fratello, ha undici anni ed è viva dopo 3 giorni in mare. Mem.Med: «Non
vedere è scelta politica». Le ong criminalizzate sono le uniche testimoni
Aggrappata a due salvagenti improvvisati, creati con vecchie camere d’aria, e a un giubbotto di
salvataggio in mezzo al mare, in condizioni meteo avverse, è riuscita a salvarsi. L’unica superstite
di un naufragio in cui hanno perso la vita 44 persone è una bambina di undici anni, originaria della
Sierra Leone. «È stata una coincidenza incredibile aver sentito la sua voce nonostante il motore
fosse acceso. Stavamo cercando altri naufraghi, ma dopo una tempesta durata giorni, con il vento a
oltre 23 nodi e onde alte 2,5 metri, non c’era alcuna speranza», ha raccontato Matthias
Wiedenlübbert, il capitano del veliero che ha l’ha portata in salvo.
Erano le 3.20 del mattino, tra martedì e mercoledì, quando l’equipaggio della Trotamar III –
l’imbarcazione di CompassCollective, organizzazione tedesca della flotta civile impegnata in
missioni a sud di Lampedusa – si stava dirigendo verso un’altra barca in difficoltà e ha sentito delle
urla provenire dal mare. «La bambina ha lottato per non annegare», raccontano gli attivisti della
Trotamar, che si dicono «profondamente scioccati da questo fatto».
L’unica sopravvissuta al naufragio della barca, che si è rovesciata tre giorni prima, non aveva con sé
né acqua potabile né cibo ed «era ipotermica, ma reattiva e orientata», fa sapere l’equipaggio, che
l’ha portata in salvo a Lampedusa.
Lampedusa, Italia
La bambina ha raccontato di essere partita da Sfax, in Tunisia, con il fratello che è però disperso,
insieme alle altre 44 persone. «Siamo finiti tutti in mare, per la pioggia e il vento che hanno fatto
affondare la barca», ha spiegato ai medici e ai mediatori culturali incontrati sull’isola, «vicino a me
sono rimasti due ragazzi, poi dopo due giorni non li ho più visti, il mare li ha allontanati».
La Guardia costiera e la Guardia di finanza hanno avviato le operazioni di perlustrazione dell’area
in cerca delle persone, mentre la procura di Agrigento ha fatto sapere che aprirà un’indagine per
naufragio colposo. La superstite è invece stata portata nell’hotspot di Lampedusa, dopo essere stata
visitata nel poliambulatorio dell’isola, ed «è in buone condizioni di salute», ha detto all’Ansa il
responsabile della struttura, Francesco D’Arca. Arrivata all’hotspot, dove «verrà seguita da
un’equipe di psicologi», ha dormito per ore. A raccontarlo il sindaco di Lampedusa e Linosa,
Filippo Mannino, precisando che rimarrà sull’isola fino al trasferimento «verosimilmente venerdì»
in un’altra struttura sulla terraferma.
«Chi darà conto a questa bambina del perché quella barca partita da Sfax è stata lasciata naufragare?
Chi le risponderà se domani chiederà di suo fratello e cercherà di rintracciarlo?». Sono queste le
domande da porsi di fronte alle politiche che l’Europa stringe con i paesi terzi, dice Silvia Di Meo,
che le definisce «necropolitiche di frontiera».
Di Meo è antropologa e fa parte della rete “Mem.Med – Memoria Mediterranea”, che si occupa di
ricerca e identificazione delle persone disperse nel Mar Mediterraneo e che ha raccolto la sua
attività in un recente rapporto “Violenze, resistenze e memorie. Tra le due rive del Mediterraneo”.
«Nel caso specifico, ci sembra ci sia un’effimera ed estemporanea reazione dell’opinione pubblica e
mediatica che si solleva solo nel caso di grandi numeri, come il naufragio di Cutro, o di bambini, o
ancora quando si vedono i corpi», prosegue Di Meo. È accaduto con il corpo del piccolo Anas.
I naufragi fantasma
Se la bambina superstite non fosse stata trovata e salvata da un’ong, questo caso si sarebbe aggiunto
alle decine di naufragi fantasma che spariscono nel Mediterraneo. Se non avesse raccontato di
essere partita con altre 44 persone, quei corpi sarebbero stati inglobati dal mare, senza memoria.
«Quando non c’è la materialità di un corpo, il lutto pubblico in qualche modo si ritrae», sottolinea
Di Meo, perché «quando la violenza non si può vedere, non viene raccontata». Per l’antropologa
però questo non vedere è una scelta politica e un’altra forma di violenza che ricade sulle persone
migranti.
Il rapporto della Fondazione Migrantes “Il diritto d’asilo” dedicato alle migrazioni forzate,
presentato mercoledì, riporta una stima (minima) – alla fine di agosto 2024 – dei rifugiati e migranti
morti o dispersi nel Mediterraneo di 1.342 unità, 1.053 le vittime nel Mediterraneo centrale. Dopo
un triennio in diminuzione, il rapporto tra morti e dispersi in mare e arrivi in Italia o Malta,
sottolinea il report, è in crescita per il secondo anno consecutivo. Una persona su 40 rischia di
perdere la vita sulla rotta.
Sono però stime al ribasso perché «non esiste un dato ufficiale delle persone scomparse», spiega
Yasmine Accardo, attivista di Mem.Med, realtà che aiuta le famiglie di origine a ritrovare i loro cari
che hanno attraversato il Mediterraneo centrale. Accade però che anche i familiari perdono le tracce
«e non hanno più i recapiti», soprattutto per chi passa dalla Libia. Per Accardo «la dispersione è
impressionante. Le persone che riusciamo a trovare noi sono una goccia».
Sono proprio le ong le uniche realtà in grado di testimoniare questi naufragi. Politiche nazionali ed
europee mirano però a ostacolare e criminalizzare il loro lavoro. Ne è un esempio, il recente decreto
flussi approvato dal parlamento, che ha inasprito i fermi amministrativi e le sanzioni: per Sea
Watch, l’ennesimo tentativo «di limitare e ostacolare la presenza delle navi umanitarie» e arrivare a
un definitivo abbandono del Mediterraneo.
L’ong Mediterranea, dopo la notizia del salvataggio della bambina, ha lanciato l’allarme di altri tre
possibili naufragi. Intanto però, su un altro fronte, la Commissione europea ha autorizzato i
respingimenti di migranti alla frontiera con la Bielorussia. Una decisione persa appena dopo la
pubblicazione del report di Human Rights Watch, che rileva gravi abusi da parte delle forze
dell’ordine polacche e deportazioni illegali.
L’invisibilizzazione dei naufraghi e dei dispersi è frutto anche della normalizzazione dei morti di
frontiera, conclude Di Meo: «Normalizzazione che dipende da un discorso politico che tende a
vedere come conseguenza naturale queste morti e che porta a far sì che questo massacro senza fine
non scuota più le coscienze, ed è questo il vero ostacolo poi al contrasto di queste politiche»

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