È una torta luculliana quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e propri “colossi”
del business dell’accoglienza: dalla Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione, dalle
aziende vicine alla Lega alle multinazionali
«Laragione per cui questo avviene è che in Italia molti servizi per l’immigrazione vengono affidati sulla
base di un solo principio: quello dell’offerta economica più vantaggiosa. C’è un business
dell’immigrazione inaccettabile, parliamo di commesse da milioni di euro su cui molti si stanno
arricchendo, dove i diritti delle persone scompaiono», denuncia Christopher Hein, direttore del
Consiglio italiano per i rifugiati.
un bell’articolo di A. Ziniti fa il quadre della situazione; a seguire una serie di riflessioni critiche di Agostino Rota Martir che ritengo estremamente utili per ricollocarci sempre di nuovo in quel ‘margine’ accanto a chi è messo o vive al margine, unico modo per capire il ‘punto di vista’ di chi vive l’esclusione
Più ne arrivano, più guadagnano
quel business da 2 milioni al giorno
consumato sulla pelle dei migranti
di Alessandra Ziniti
in “la Repubblica” del 19 dicembre 2013
Più ne stipano in una camerata meglio è, più a lungo restano meglio è, e se sono minorenni ancora
meglio, lo Stato paga di più. Ad ogni barcone che arriva, i “professionisti dell’accoglienza” mettono
mano alla calcolatrice e le cifre hanno sempre molti zeri. Più di 1.800.000 euro al giorno: tanto, nel
2013, ha speso l’Italia per garantire l’accoglienza ai 40.244 migranti sbarcati sulle nostre coste. Un
letto, i pasti, il vestiario, i farmaci necessari e un minimo di pocket money: 45 euro al giorno è la
spesa media per ogni immigrato che mette piede in uno dei 27 tra centri di accoglienza, centri di
identificazione ed espulsione e centri per richiedenti asilo. Una cifra che aumenta fino a 70 euro se
si tratta di minori (8.000 quelli arrivati quest’anno) in considerazione della particolare assistenza
che dovrebbe essere loro garantita.
È una torta luculliana quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e propri “colossi”
del business dell’accoglienza: dalla Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione, dalle
aziende vicine alla Lega alle multinazionali. Le gare bandite dal Viminale, in genere, vengono
aggiudicate con un ribasso medio del 30 per cento sulla base d’asta. Peccato che, in ogni centro, si
tengano stipati per mesi almeno il doppio o il triplo degli ospiti. A danno delle condizioni di
vivibilità di questi centri, da molti definiti lager, ma a tutto vantaggio delle tasche dei gestori. «La
ragione per cui questo avviene è che in Italia molti servizi per l’immigrazione vengono affidati sulla
base di un solo principio: quello dell’offerta economica più vantaggiosa. C’è un business
dell’immigrazione inaccettabile, parliamo di commesse da milioni di euro su cui molti si stanno
arricchendo, dove i diritti delle persone scompaiono», denuncia Christopher Hein, direttore del
Consiglio italiano per i rifugiati.
Gli aspiranti allo status di rifugiato costituiscono la fetta più ghiotta della torta. Ecco perché quella
che è diventata una vera e propria città di richiedenti asilo, il Cara di Mineo, ospitato nel “Villaggio
degli aranci” prima abitato dagli ufficiali americani di stanza a Sigonella, è diventato il motore
dell’economia di questa parte della provincia di Catania. Quattromila persone di 50 etnie diverse, il
doppio della capienza, fruttano al “Consorzio Calatino Terre di accoglienza” la cifra di 50 milioni di
euro all’anno. Dentro ci sono tutti, da Sisifo (Legacoop) che gestisce il centro di Lampedusa, alla
Senis hospes e alla Cascina Global Service (vicina a Cl), la Croce Rossa, il Consorzio Casa Solidale
(vicino all’ex Pdl). E non hanno voluto rimanere fuori dall’affare i Pizzarotti di Parma, i proprietari
del complesso edilizio requisito nel 2011 ai tempi dell’emergenza Nordafrica dietro pagamento di
un canone di 6 milioni di euro annui. Ora che l’emergenza Nordafrica è finita, sono entrati anche
loro nel Consorzio gestore. Quello che Berlusconi nel 2011 presentò come un modello di
accoglienza europea, adesso — stando alle denunce delle associazioni umanitarie — si è
trasformato in una sorta di lager dove, solo qualche giorno fa, si è suicidato un giovane siriano in
attesa del permesso di soggiorno da mesi.
Trattenere gli ospiti molto più a lungo del previsto è uno dei “trucchi” utilizzati dai gestori di molti
Cara. A Sant’Angelo di Brolo, la procura ha accertato che alcuni ospiti rimasero anche 300 giorni
dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno, portando illegittimamente 468.000 euro nelle casse del
consorzio Sisifo, lo stesso che si è aggiudicato l’appalto di Elmas Cagliari, del Cara di Foggia e del
centro di Lampedusa da dove si calcola siano passati più di 100 mila migranti. Due milioni e mezzo
di euro è la cifra dell’appalto per la capienza ufficiale di 250 posti. Per gli ospiti in più, il Viminale
paga l’extra. E questo vale per tutti: così l’Auxilium di Potenza degli imprenditori Pietro e Angelo
Chiorazzo per il centro di Bari Palese, per Ponte Galeria a Roma o per Pian del Lago a Caltanissetta
incassano molto di più dei 40 milioni di euro previsti dai bandi di gara.
Da tempo hanno fiutato l’affare anche i francesi della Gepsa, specialisti delle carceri, e la
multinazionale Cofely Italia, che non disdegnano l’associazione con l’Acuarinto di Agrigento o la
Synergasia di Roma per gestire il Cara di Castelnuovo di Porto a Roma o al Cie di Gradisca
d’Isonzo. E a reclamare la sua fetta di torta c’è anche la Misericordia del prete manager di Isola
Capo Rizzuto che da dieci anni, per 28 milioni di euro all’anno, gestisce un Cara in cui la maggior
parte degli ospiti dormono anche in dieci in vecchi container
così Agostino in riferimento alla situazione venutasi a creare e in riferimento preciso all’articolo qui sopra riportato: