non sappiamo più metterci nei panni di chi soffre la povertà ed è costretto ad emigrare per le più gravi varie situazioni: oggi che non abbiamo più bisogno di emigrare, guardiamo alla povertà degli emigranti con paura considerandola come colpa
una bella riflessione in questo senso da parte di M. Serra ne:
L’AMACA del 4 ottobre 2013 (Michele Serra)
Un flusso ininterrotto di persone povere verso i paesi ricchi, questa è sempre stata l’immigrazione. Se perfino dopo giornate come quella di ieri molti ne parlano con paura, ira, astio, è anche perché è cambiato fino a snaturarsi, negli anni, il concetto stesso di povertà. Per secoli la povertà è stata una piaga dalla quale guarire, una condanna alla quale ribellarsi. Oggi, nella società del benessere obbligatorio, è diventata una colpa. I poveri, per il nostro sguardo reso grasso e opaco dalla cessazione della fame, sono colpevoli di povertà. Non è solamente lo spirito del capitalismo ad avere generato questa colossale e molto funzionale mistificazione. È una scorciatoia morale, una comodità psicologica che ci rassicura tutti – mica solo quelli di destra, o i razzisti che ghignano, o i leghisti che latrano – perché se la povertà è un demerito (e non una condizione ingiusta, subita per debolezza e sovente inflitta con la prepotenza) allora i poveri fanno meno pena, e in quei barconi alla deriva, in quegli annegati, oltre a non riconoscere i nostri avi gracili e spaesati come eritrei che fuggivano dall’Italia, neppure riconosciamo la ribellione di nostri simili a una vita grama e infame, dalla quale fuggono esattamente come faremo noi se fossimo al loro posto.