davvero in Italia non c’è più religione?
i numeri raccontano una storia
diversa
di Marco Marzano
in “Domani” del 31 maggio 2021
le geremiadi sulla fine del cristianesimo che si levano da molti ambienti cattolici e atei
devoti sono largamente esagerate e assomigliano a quelle di tanti professori sulla morte della
cultura e l’imbarbarimento della gioventù. La secolarizzazione è in atto, ma segue strade e sentieri
tortuosi e imprevisti. La chiesa, anche grazie alla popolarità enorme di cui gode il suo capo
supremo, gode di una discreta salute: quella di un paziente la cui morte è molto al di là da venire
Quando la pandemia sarà finalmente terminata dovremo cercare di capire quale impatto abbiano
avuto sui processi di secolarizzazione la sospensione di molte attività pastorali, la riduzione dei
posti disponibili nelle chiese, la chiusura prolungata degli oratori, il rinvio di prime comunioni,
cresime e matrimoni. Molti preti tracciano già oggi un bilancio apocalittico per la chiesa,
sostenendo che molti praticanti non torneranno più, che tanti bambini hanno rinunciato per sempre
all’iniziazione cristiana, che i fedeli più tiepidi hanno abbandonato i banchi delle chiese e che solo i
più caparbi e motivati faranno ritorno in parrocchia.
Non mancano naturalmente, nei ranghi del clero, coloro che ritengono tutto questo non una
disgrazia, ma una fortuna, che libera la chiesa dalla devozione stanca, meramente rituale e
conformistica di tanti cattolici per abitudine e restituisce alla comunità cristiana quella dimensione
di «piccolo gregge» giudicata ideale per un ritorno alle radici evangeliche.
La religiosità degli italiani
Ci sarà tempo per verificare l’esattezza di queste profezie «decliniste». Quel che possiamo fare
oggi è invece valutare ancora una volta la situazione della religiosità italiana precedente l’inizio
della pandemia. L’opportunità ci è data dalla presentazione, a cura di Critica liberale, del
quattordicesimo «rapporto annuale sulla secolarizzazione», ricco di dati quantitativi ricavati da
diverse fonti ufficiali. Tra i tanti numeri presenti nel rapporto ce ne sono almeno tre che, se
osservati nella prospettiva temporale di almeno un quindicennio, segnalano in modo chiaro un
distacco crescente degli italiani dalla tradizione cattolica.
Si tratta della percentuale di prime nozze di cittadini italiani (quindi non stranieri e non divorziati o
risposati) celebrate con rito civile sul totale delle prime nozze, che passa dal 20,7 per cento del 2004
al 31,3 del 2018, di quella dei nati vivi fuori dal matrimonio sul totale dei nati vivi, passata da poco
più del 10 per cento del 2002 al 32 per cento del 2018 e di quella delle «coppie non coniugate» sul
totale delle coppie che appare quasi quintuplicata tra il 2000 e il 2018. Da questi tre dati si può
ricavare un’indicazione piuttosto chiara: quando si tratta di decidere che forma dare alla vita di
coppia e al contesto della genitorialità un numero crescente di italiani (nel complesso ancora
minoritario) propende per un modello distante dalla tradizione religiosa cattolica.
Un rapporto stabile
Detto questo, va osservato che molti degli altri dati contenuti nel rapporto vanno in una direzione
decisamente diversa, e cioè testimoniano di una sostanziale stabilità nel rapporto tra gli italiani e la
chiesa cattolica. Si prenda, ad esempio, il dato relativo ai battesimi. È vero che la percentuale di
battezzati tra zero e sette anni sul totale dei nati vivi è scesa, in poco più di quindici anni, di ben
dieci punti, dall’85 per cento del 2002 al 76,8 del 2018, ma questo sembra più un effetto della
crescita della quantità di bimbi figli di immigrati che nascono sul territorio italiano che dell’aumento
significativo della decisione dei genitori italiani di non battezzare i loro piccoli (tra l’altro, il dato è
ormai stabile da una decina d’anni). Lo stesso discorso vale per prime comunioni e cresime, la cui
diminuzione in cifra assoluta è, almeno in parte, spiegabile con il calo demografico degli ultimi
anni. Molto elevato rimane anche il numero di ragazzi che si avvalgono dell’insegnamento della
religione cattolica a scuola, sceso in dieci anni, dal 2008 al 2018, di soli cinque punti percentuali,
dal 91 all’86 per cento. Una conferma della persistente solidità del legame tra gli italiani e la chiesa
cattolica si ricava infine dalla lettura dei dati relativi alla destinazione dell’8 per mille. Nel 2000
erano un terzo (esattamente il 33,41 per cento) i contribuenti che manifestavano la volontà di
destinarlo alla chiesa cattolica; nel 2018 è stata una percentuale di poco inferiore: il 31,8 per cento. In definitiva, il distacco degli italiani dalla chiesa cattolica è molto meno consistente e veloce di
quel che si afferma in molte analisi improvvisate e impressionistiche nelle quali si narra di un esodo
di massa dei nostri connazionali dalla tradizione che per secoli ha caratterizzato il paesaggio
religioso della penisola. Dobbiamo ammettere che la frattura investe più talune sfere (ad esempio, il
matrimonio) che altre (ad esempio l’educazione religiosa dei figli: il catechismo e i sacramenti) e
riguarda maggiormente, come ci dicono altre ricerche, le generazioni più giovani, gli under 40,
rispetto a quelle più anziane, gli uomini rispetto alle donne. Per giunta essa implica tanti altri piani
che non sono visibili in statistiche come quelle presentate nel rapporto e che riguardano anche la
fede e non solo la pratica, la dimensione intima e valoriale e non solo quella pubblica e dei
comportamenti e quindi non solo l’andare a messa la domenica o il pregare, ma anche il credere in
Dio, le concezioni dell’aldilà, le immagini del peccato e del male, eccetera. Sul tema, si veda
l’ottimo volume di Roberto Cipriani, La fede incerta. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia . Per
non parlare del tema ancora più complesso delle cause, dell’individuazione di quel che determina
in ultima istanza l’avanzata o la ritirata della faglia.
L’istituzione
Da ultimo è interessante rivolgere lo sguardo all’altro capo del rapporto, all’istituzione, alla chiesa
cattolica. Il rapporto contiene molti dati interessanti anche su questo versante, in particolare sul
«personale» a disposizione dell’organizzazione. Anche qui non manca qualche dato nettamente
positivo per la chiesa: ad esempio quello che riguarda i diaconi, praticamente raddoppiati in
vent’anni. In altri comparti abbiamo invece assistito a un calo drammatico: ad esempio, la quantità
di «religiose» in 20 anni è diminuita in modo drastico, dalle 113.295 unità del 2000 alle 75mila
scarse del 2018. Un crollo verticale, infinitamente superiore a quello dei sacerdoti diocesani (non
riportato nel rapporto) scesi, negli ultimi vent’anni, di sole tremila unità, da 35mila a 32mila. È vero
che l’età media del clero è cresciuta e che la quantità di ordinazioni è in diminuzione (nel 2008
erano stati ordinati 393 preti contro i 343 del 2018), ma anche qui la situazione è ben lungi
dall’essere catastrofica per la chiesa italiana. Per almeno tre ragioni: primo perché il numero
complessivo di sacerdoti rimane comunque altissimo se comparato a quello di altri paesi nel mondo
(nel nostro paese vive e lavora quasi il 12 per cento del clero di tutto il mondo!): secondo perché,
come già avviene in molti angoli del paese, l’arretramento può essere contrastato con l’importazione
di clero dal sud del mondo e infine perché l’effetto congiunto del calo demografico e della
secolarizzazione stanno riducendo in modo consistente l’attività complessiva del clero, adeguandola
di fatto alla diminuita disponibilità di personale.
Cito il caso più eclatante: nel 2000 circa 35mila sacerdoti celebravano 214mila matrimoni, i 32mila
presbiteri del 2018 ne hanno celebrati meno di 97mila. Difficile parlare di aumento del carico di
lavoro.
Il problema principale per la chiesa cattolica rimane quello degli spazi, dei presidi territoriali,
ovvero della gestione di un numero di parrocchie e di chiese ormai impossibile da tenere tutte aperte
con il personale a disposizione.
Un paziente in salute
Insomma, le geremiadi sulla fine del cristianesimo che si levano da molti ambienti cattolici e atei
devoti sono largamente esagerate e assomigliano a quelle di tanti professori sulla morte della
cultura e l’imbarbarimento della gioventù. La secolarizzazione è in atto, ma segue strade e sentieri
tortuosi e imprevisti. La chiesa, anche grazie alla popolarità enorme di cui gode il suo capo
supremo, gode di una discreta salute: quella di un paziente la cui morte è molto al di là da venire.