la suora partorisce … basta sorridere?

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facendo un po’ di autocritica pubblico volentieri questa riflessione sul caso della suora che ha partorito tenendo fino in fondo nascosto il suo problema, anche rischiando l’ironia dei più: però dopo il primo istante di reazione ironica, ha prevalso in me una immedesimazione nel dramma vissuto da questa suora e la percezione della sua sofferenza e dei problemi che queste situazioni non può non suscitare in ogni persona sensibile e credente

un grazie a ‘Riforma’ per questa opportunità di esplicita riflessione sui problemi legati a questo tipo di sofferenze:

Difendere, non deridere

di Peter Ciaccio

in “Riforma” – settimanale delle Chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi – del 24 gennaio 2014

 

La scorsa settimana i giornali ci hanno raccontato che all’Ospedale di Rieti si è presentata una donna con forti dolori addominali. Per la precisione era una suora di 31 anni, originaria del Salvador, residente nel vicino convento di Campomoro. La donna ha dichiarato di non sospettare la causa dei suoi dolori, ma i medici non hanno messo molto a capire che stava per partorire. È infatti poi nato un bimbo. La notizia ha suscitato molta ilarità, a partire dalla gravidanza «a sua insaputa» (espressione resa ormai celebre dall’ex ministro Scajola che non sapeva di avere una casa al Colosseo), al fatto che la sessualità delle suore è un evergreen della barzelletta da bar, con la cretina allusione che magari lo Spirito Santo ne abbia combinata un’altra delle sue.

Nessuno ha parlato della paura che questa donna deve aver provato. Una paura lunga mesi, i mesi in cui teneva nascosto il suo stato, uno stato che – ricordiamo – dovrebbe essere di grazia, una condizione che trasforma il corpo di una donna in culla di un’altra esistenza. Mesi in cui non poteva ricevere assistenza dalla sua comunità, mesi in cui avrà sentito più forte la distanza di migliaia di chilometri da casa. La madre superiora ha commentato laconicamente: «Non ha saputo resistere alle tentazioni», mentre il vescovo ha detto: «Lascerà l’Istituto religioso per avere cura del piccolo».

Certo, non sia mai che l’Istituto religioso si occupi del piccolo! Probabilmente non spunterà fuori il padre. Questa donna e suo figlio vivranno una condizione analoga a quella della vedova e dell’orfano. Una nascita fuori dalle regole, rigettata anche dall’ambiente secolare, non così diverso da quello religioso, perché «queste cose una suora non le fa». Tutti che si immaginano quanto si sia divertita a concepire il figlio. Chi può saperlo? Forse una notte d’amore, o magari una relazione che ora si è interrotta, forse due solitudini che si sono incontrate o un approfittatore che la faceva sentire speciale.

Questa donna dovrebbe fare tenerezza. Anzi, andrebbe difesa e non derisa, andrebbe messa nelle condizioni di vivere una vita piena di dignità per poter crescere suo figlio nell’amore. È la nostra società, laica e al tempo stesso bacchettona, che andrebbe derisa. O peggio, come avrebbe detto qualche profeta.

«Fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova!» (Isaia 1, 17 )