le sei bugie sulle Ong
di Luigi Manconi
in “La Stampa” del 22 novembre 2022
C’è da credere che nella diffusa ostilità verso le Ong del soccorso in mare non vi sia solo una legittima critica politica. Si intuisce qualcosa di diverso e di più profondo. Ovvero quella irresistibile pulsione propria dell’animo umano di sporcare ciò che appare limpido, troppo limpido, e di deturpare quanto risulta immacolato. È una tendenza antica: sempre, di fronte allo spettacolo della virtù, emerge la voglia di oltraggiarla e di sfregiarne l’immagine per ricondurla alle proprie anguste proporzioni. Se anche lui è corrotto, se tutti sono corrotti, la mia propria corruzione può essere più agevolmente ridimensionata e resa ordinaria. È il meccanismo che legittima la filosofia del condono costituendone l’architettura politica e morale.
Nel tempo in cui il sovranismo è la misura dell’identità degli Stati nazionali, ma anche il principale sentimento delle relazioni sociali, che fonda le solidarietà piccole e corte, un messaggio come quello delle Ong del soccorso in mare suona davvero come eretico. In quanto basato sull’idea e sulla pratica della reciprocità: io salvo te perché so che qualora la mia vita fosse a repentaglio, tu salverai me. È il fondamento stesso del legame sociale, quello che segna il passaggio da individui isolati a comunità integrate.
L’affermazione di questa elementare verità – che è principio costitutivo della civiltà umana – echeggia come una sfida intollerabile per tutti i sovranismi individuali e nazionali; e produce, come reazione, quella livida tentazione di sfigurare tutto ciò che appare indirizzato verso l’incontro con l’altro. Questa inclinazione si affida a un sistema di menzogne, sintetizzabili come segue.
1) «Le Ong sono un fattore di attrazione (pull-factor) che incentiva l’arrivo di migranti e profughi».
È un’affermazione smentita da un dato storico e da uno congiunturale. È incontestabile che la percentuale delle persone sbarcate sulle nostre coste, nel corso del 2021 e del 2022, grazie alle imbarcazioni delle Ong, oscilla tra il 10 e il 15 percento del totale. La gran parte arriva in Italia grazie alle motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza o con propri mezzi di piccole dimensioni. In particolare, nelle ultime tre settimane – in assenza delle navi delle Ong – gli arrivi sono stati il doppio rispetto al corrispettivo periodo dell’anno precedente. Ne è una conferma quanto dichiarato al Manifesto da un portavoce di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, tradizionalmente ostile verso le Ong, secondo il quale queste ultime sarebbero solo uno dei «molti fattori di spinta e attrazione».
2) «Le Ong operano in accordo con i trafficanti di esseri umani».
È, va da sé, la più velenosa delle accuse, ripetuta dagli esponenti del governo e dai loro trombettieri. La verità dei fatti dice l’esatto contrario: dal 2015 a oggi non c’è stata alcuna condanna, nemmeno in primo grado, relativa a complicità tra appartenenti a Ong e scafisti. Per scrupolo ricordo che una indagine della Procura di Trapani, relativa a fatti avvenuti nel 2016, accusa alcune Ong di favoreggiamento dell’ingresso illegale sulla base di intercettazioni ambientali e di affermazioni di agenti sotto copertura. Un solo episodio, tutto da dimostrare, in oltre sette anni di attività.
3) «Le Ong non salvano naufraghi ma traghettano migranti».
Le convenzioni in materia di naufragio e di soccorso, recepite dal nostro Codice della navigazione, prescrivono che chiunque si trovi in stato di pericolo in mare ha il diritto di essere salvato. E non si fa alcuna differenza tra chi «provenga da uno yacht in avaria davanti a Posillipo, da una imbarcazione monoposto per regate nell’Atlantico o da una carretta del mare partita dalla Libia»
(Valigia Blu). E l’opera di salvataggio trova la sua conclusione solo con lo sbarco sulla terra ferma più prossima.
4) «Le navi delle Ong battenti bandiera straniera devono portare i naufraghi nei porti dei rispettivi paesi».
Non è affatto così. Secondo le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare, elaborate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), il comandante della nave che ha prestato soccorso ha la piena responsabilità di trarre in salvo i naufraghi, mentre spetta agli Stati delle aree di soccorso interessate coordinarsi per individuare un porto sicuro dove liberare quanto prima la nave dai suoi obblighi. Non esiste al proposito alcuna differenza tra navi Ong e navi mercantili. Dunque, i requisiti della prossimità e della rapidità sono determinanti.
5) «Non possono essere gli scafisti a selezionare gli arrivi in Italia».
Certo, ma non può essere una autorità italiana a respingere i profughi in base a un giudizio
preventivo e generalizzato. Dunque, la decisione su chi può entrare e chi non può entrare deve essere assunta da organismi istituiti a tale scopo, previsti e regolamentati dalla legge: non quindi attraverso «ordini del governo relativi a gruppi di persone costretti per lunghi giorni a bordo delle navi, le cui origini e condizioni sono sconosciute alle autorità» (Vladimiro Zagrebelsky).
6) «Le Ong salvano i migranti privilegiati».
È l’indecente imputazione indirizzata alle Ong dall’autorevole direttore di un autorevole giornale di destra. I «migranti privilegiati» sarebbero quelli in grado di pagare migliaia di euro per ottenere la possibilità di tentare la via del Mediterraneo. Con ciò si vorrebbe ignorare che dietro quelle migliaia di euro c’è la sofferenza di individui e famiglie che, per anni, hanno messo da parte denari da investire in quell’ultima chance di salvezza che è la traversata. E che arrivano a quella tappa estrema dopo un percorso fatto di violenza e prigionia, di persecuzioni e torture.
Se non si riesce non dico a vedere, ma a immaginare tutto ciò, è fatale che le Ong rappresentino un fattore di turbamento per le nostre false coscienze; e che deturparne l’immagine costituisca una sorta di rivalsa per la vergogna – che è responsabilità di tutti, sia chiaro – di quelle migliaia di morti nelle acque del Mediterraneo.