l’entusiasmo di L. Boff per papa Francesco continua
Leonardo Boff
“papa Francesco è uno di noi”
intervista a Leonardo Boff
a cura di Joachim Frank
in “www.ksta.de”
Il brasiliano Leonardo Boff, nato nel 1938, è discendente di immigrati italiani. Nel 1959 è entrato nell’ordine francescano e per cinque anni ha studiato in Germania. Negli anni 80 Boff, come principale rappresentante della teologia della liberazione e a causa delle sue critiche alla Chiesa ufficiale, entrò in conflitto con il Vaticano e con il suo massimo “guardiano della fede”. Dopo aver avuto per due volte un divieto di esprimersi pubblicamente, Boff uscì dall’ordine e abbandonò il presbiterato.
Signor Boff, le piacciono i canti di Natale? Che cosa crede?
(canta): “Stille Nacht, heilige Nacht…”. Viene cantata in ogni famiglia che celebra il Natale. È tradizione da noi in Brasile come da voi in Germania. Questo tipo di Natale non le pare kitsch e commerciale? La cosa è diversa da paese a paese. Certo Natale è diventato un grande business. Ma con tutto ciò, è rimasta comunque viva la gioia, il riunirsi della famiglia, per molti anche un momento di fede. E da come io ha vissuto il Natale in Germania, è una festa del cuore, molto suggestiva, meravigliosa.
Come si accorda una fede che a Natale parla di un “Dio della pace”, con la discordia che viviamo ovunque?
La fede è soprattutto promessa. Ernst Bloch dice: “La vera genesi non è all’inizio, ma alla fine, ed essa inizia a cominciare solo quando la società e l’esistenza diventano radicali, cioè mettono radici”. La gioia del Natale sta in questa promessa: la Terra e gli uomini non sono condannati a continuare sempre così come sperimentano ora – con tutte le guerre, la violenza, il fondamentalismo. Nella fede ci è promesso che alla fine tutto sarà buono; che nonostante tutti gli errori, le strade sbagliate, le sconfitte, ci avviciniamo ad una fine buona. L’autentico significato del Natale non è che “Dio si è fatto uomo”, ma che è venuto per dirci: “Voi uomini mi appartenete, e quando morirete tornerete a casa”.
Il Natale significa che Dio viene a prenderci?
Sì. L’incarnazione significa che qualcosa di noi è già divino, è diventato eterno. Il divino sta in noi stessi. In Gesù si è mostrato nel modo più evidente. Ma è in tutti gli uomini. In una visione evolutiva, Gesù non viene dall’esterno nel mondo, ma cresce dal mondo. Gesù è l’apparizione del divino nell’evoluzione – ma non è l’unica. Il divino compare anche in Buddha, nel Mahatma Gandhi e in altre grandi figure di fede.
Non mi sembra un pensiero molto cattolico.
Non dica così. Tutta la teologia francescana del Medio Evo ha inteso Cristo come parte della Creazione – non solo come il redentore da colpa e peccato che scende nel mondo. Certo, incarnazione è anche redenzione. Ma prima di tutto e soprattutto è una esaltazione, una divinizzazione della Creazione. E nel Natale è importante anche un’altra cosa. Dio appare nella figura di un bambino. Non come un vecchio con capelli bianchi e lunga barba bianca…
Come Lei…
Appunto, io assomiglio piuttosto a Karl Marx. Quello che ritengo importante è questo: quando alla fine della nostra vita dovremo rispondere davanti al divino giudice, saremo davanti a un bambino. Ma un bambino non condanna nessuno. Bisogna mettere in rilievo questo lato della fede.
La teologia della liberazione latinoamericana, di cui Lei è uno dei più importanti rappresentanti, è tornata in auge con papa Francesco. Ci sarà una riabilitazione per Lei personalmente dopo le lunghe battaglie con papa Giovanni Paolo II e il massimo guardiano della fede Joseph Ratzinger, divenuto poi papa Benedetto XVI?
Francesco è uno di noi. Ha reso la teologia della liberazione un bene di tutti nella Chiesa. E l’ha estesa. Chi parla dei poveri, oggi deve parlare anche della Terra, perché anch’essa è saccheggiata e profanata. “Ascoltare il grido dei poveri” significa ascoltare il grido degli animali, dei boschi, dell’intera Creazione maltrattata. La Terra intera grida. Quindi, dice il papa, e così facendo nomina il titolo di uno dei miei libri, oggi dobbiamo ascoltare insieme il grido dei poveri e della Terra. Ed entrambi devono essere liberati. Io stesso mi sono molto occupato un tempo di questa estensione della teologia della liberazione. Che è anche ciò che è fondamentalmente nuovo nella “Laudato si’”… Cioè nell’Enciclica ecologica del papa del 2015.
E quanto Leonardo Boff c’è in Jorge Maria Bergoglio?
L’enciclica è del papa. Ma ha consultato molti esperti.
Ha letto i suoi libri?
Ancor di più: per la Laudato si’ mi ha chiesto del materiale. Gli ho dato i miei consigli e gli ho mandato qualcosa che ho scritto. E che lui ha usato. Alcuni mi hanno detto che, leggendo, si erano detti: “Ma questo è Boff!”. Del resto, papa Francesco mi ha detto: “Boff, per favore, non mandare i documenti a me direttamente”.
Perché no?
Ha detto: “Se no, i sottosegretari li intercettano e a me non arrivano. Manda il tutto piuttosto all’ambasciatore argentino, con cui sono in buoni rapporti, così arrivano sicuramente nelle mie mani”. Deve sapere che l’attuale ambasciatore in Vaticano è un vecchio conoscente del papa fin dai tempi in cui era a Buenos Aires. Hanno spesso bevuto mate insieme. Un giorno prima della pubblicazione dell’enciclica, il papa mi ha fatto telefonare per esprimermi i suoi ringraziamenti per il mio aiuto.
Un incontro con il papa però non è ancora in vista?
Ha cercato la riconciliazione con i più importanti rappresentanti della teologia della liberazione, con Gustavo Gutierrez, Jon Sobrino e anche con me. Io gli ho detto, in riferimento a papa Benedetto: “Ma l’altro è ancora in vita!”. Questo non l’ha accettato. “No”, ha detto, “il papa sono io”.
Possiamo star tranquilli.
Lì vede il suo coraggio e la sua fermezza.
Allora perché non è ancora riuscito a fargli visita?
Avevo un invito ed ero anche già atterrato a Roma. Ma proprio quel giorno, subito prima dell’inizio del Sinodo sulla famiglia del 2015, 13 cardinali – tra cui anche il cardinale tedesco Gerhard Müller, prefetto della Congregazione della fede – avevano provato a fare un’insurrezione contro il papa con una lettera indirizzata a lui, ma che poi – miracolo! – è apparsa anche sui giornali. Il papa era furente e mi ha detto: “Boff, non ho tempo. Devo metter pace nel Sinodo. Ci vediamo un’altra volta”.
E la faccenda del metter pace non è che gli sia riuscita…
Il papa sente la durezza del vento contrario nelle sua fila, specialmente dagli USA. Il cardinal Burke, Leo Burke che ora – con il vostro cardinale emerito di Colonia Meisner – ha di nuovo scritto una lettera, è il Donald Trump della Chiesa cattolica. (ride) Ma, a differenza di Trump, ora Burke nella curia non ha più potere. Grazie a Dio. Queste persone pensano effettivamente di dover correggere il papa. Come se stessero al di sopra del papa. È qualcosa di inusuale, anzi senza precedenti nella storia della Chiesa. Si può criticare il papa, discutere con lui. Io l’ho fatto spesso. Ma che dei cardinali accusino pubblicamente il papa di diffusione di errori teologici o di eresie – questo, a mio avviso, è troppo. È un affronto, che il papa non può accettare. Il papa non può essere condannato, è dottrina della Chiesa.
Nonostante tutto il suo entusiasmo per il papa, non si vedono le riforme della Chiesa che molti cattolici avevano sperato da Francesco.
Concretamente non è successo molto… Vede, a mio avviso, il centro del suo interesse non è più la Chiesa, non è più il funzionamento interno, ma la sopravvivenza dell’umanità, il futuro della Terra. Entrambi sono in pericolo, e dobbiamo chiederci se il cristianesimo può dare un suo contributo per superare questa grande crisi, che minaccia di distruggere l’umanità.
Francesco si preoccupa per l’ambiente e lascia che la sua Chiesa vada a sbattere conto un muro?
Credo che per lui ci sia una gerarchia tra i problemi. Se la Terra si distrugge, anche tutti gli altri problemi sono sistemati.
Ma per quanto riguarda le questioni interne alla Chiesa, aspetti! Poco tempo fa il cardinal Water Kasper, che è una persona di fiducia del papa, ha detto che ci saranno presto grandi sorprese. Lei cosa si aspetta?
Chissà! Forse il diaconato femminile. O la possibilità che preti sposati possano essere riammessi nella pastorale. Questa è una espressa richiesta dei vescovi brasiliani al papa, specialmente del suo amico, il cardinale brasiliano Claudio Hummes. Ho sentito che il papa aveva intenzione – inizialmente in una fase sperimentale in Brasile – di dar corso a questa richiesta. Quel paese, con i suoi 140 milioni di cattolici dovrebbe avere almeno 100 000 preti. Ce ne sono invece solo 18 000. Dal punto di vista istituzionale, è una catastrofe. Non meraviglia che i fedeli vadano a frotte dagli evangelicali e dai pentecostali, che non hanno mancanza di personale. Se solo le molte migliaia di preti sposati potessero svolgere ancora il loro compito, sarebbe un grande passo per il miglioramento della situazione – e al contempo un impulso affinché la Chiesa cattolica tolga l’obbligo del celibato.
Se il papa dovesse decidere in questo senso – anche lei, ex frate francescano, potrebbe riprendere la sua funzione di presbitero?
Personalmente non ho bisogno di tale decisione. Per me non cambierebbe niente, perché io fino ad ora faccio ciò che ho sempre fatto: battezzo, celebro funerali e se arrivo in una parrocchia senza prete, celebro la messa con le persone.
È una cosa molto “tedesca” che le chiedo: le è permesso farlo?
Finora, nessun vescovo che io conosca lo ha contestato o proibito. I vescovi ne sono anzi contenti e mi dicono: “Il popolo ha diritto all’eucaristia. Continua tranquillamente così!”. Il mio professore di teologia, il cardinale Paulo Evaristo Arns, purtroppo morto alcuni giorni fa, era ad esempio di grande apertura su questo. Arrivava al punto chiamare all’altare accanto a sé dei preti sposati che vedeva nei banchi e celebrava con loro l’eucaristia. Lo ha fatto spesso e ha detto: “Sono pur sempre preti – e tali rimangono!”.