Socci sui primi tre anni di Francesco
“Occhio, che cosa sta per crollare”
A tre anni dall’elezione di papa Bergoglio, sia i suoi sfegatati sostenitori, sia i suoi critici, sono d’accordo su un punto: egli rappresenta una rottura nella millenaria storia della Chiesa. Su questo c’è unanimità.
Molti però ignorano che la Chiesa – per la sua divina costituzione – non può avere rotture nella sua tradizione magisteriale.
Deve restare sempre fedele al «depositum fidei» ricevuto da Gesù Cristo e contenuto nella Sacra Scrittura: il Papa è servo della verità rivelata, non padrone. Non può mutarla o disporne a suo arbitrio, altrimenti decade dal papato. O sarebbe l’apostasia e la fine stessa della Chiesa Cattolica.
È proprio in mezzo a questo vertiginoso guado – fra una rottura radicale, che pare continuamente vagheggiata, e la paura di compiere lo strappo ufficiale – che sembra trovarsi oggi il pontificato di Bergoglio. La sua ambiguità, da Giano bifronte, ha indotto Newsweek a fare la celebre copertina: «Is the Pope Catholic?» (il Papa è cattolico?). Su nessun altro Pontefice si è mai potuta porre una domanda così inquietante. D’altra parte lo stesso Bergoglio nel 2013 dichiarò a Scalfari: «Non esiste un Dio cattolico».
Quell’intervista svelò il personaggio. Ross Douthat, sul New York Times, nei giorni del Sinodo 2015, ha firmato un editoriale («Il complotto per cambiare il cattolicesimo») dove scriveva: «In questo momento il primo cospiratore è il papa stesso. Lo scopo di Francesco è semplice: egli favorisce la proposta dei cardinali liberal» cioè «un cambiamento di dottrina».
Però, al Sinodo, Bergoglio è finito in minoranza, com’era accaduto già a quello del 2014 e al Concistoro. Dunque ora la patata bollente è tutta nelle sue mani perché se nell’Esortazione post-sinodale sulla famiglia, che firmerà il 19 marzo, per tirare le conclusioni, volesse davvero sancire l’ufficiale cambiamento di dottrina – ovvero il tradimento del Vangelo – non potrebbe nascondersi dietro al mandato del Sinodo (che non c’è stato), ma dovrebbe metterci la sua sola firma e assumersi – davanti a Dio e agli uomini – la responsabilità personale di una rottura che può diventare un tragico scisma. Se non lo farà potrebbe esplodere la delusione dei suoi sostenitori modernisti. Che già sobbollono.
Per esempio, Vito Mancuso sulla Repubblica dice: «Il problema di questo pontificato è che alla radicalità dei gesti non corrisponde quella del governo (…). La fortissima popolarità di Francesco, in particolare nel primo periodo, poteva consentirgli scelte di maggiore coraggio (…). Io temo l’effetto boomerang. Ci è apparso come un papa che avrebbe cambiato tutto, e invece è quasi tutto fermo».
Mancuso rimprovera a Bergoglio di non aver fatto subito un blitz rivoluzionario, cosa che ha permesso ai cattolici di capirne i pericoli e organizzare la resistenza.
Nel corso dei mesi, in effetti, di fronte al Bergoglio che civetta con i nemici della Chiesa, fino a esaltare la Bonino e Napolitano, il Bergoglio che accantona l’insegnamento della Chiesa fissandosi solo sugli immigrati (fino a esaltare i «benefici» di un’«invasione araba dell’Europa»), il Bergoglio che arringa il Centro sociale Leoncavallo e disprezza il Family day – il popolo cristiano si è raffreddato con lui.
Mancuso riconosce che «c’è stato un netto calo di fedeli alle udienze del 2015 rispetto al 2014. E anche il Giubileo non sta andando come previsto. Nella Chiesa Cattolica stanno aumentando di intensità due forze diametralmente opposte: gli innovatori come me, e chi invece chiede di tornare alla “sana tradizione”. Una caratteristica diffusa soprattutto tra i giovani sacerdoti. Il Papa sta al centro».
Mancuso gli chiede di decidere da che parte buttarsi. In effetti con Bergoglio il vecchio modernismo cerca l’assalto finale alla Chiesa: l’ideologia postconciliare del ’68 si sta giocando tutto per appropriarsi della Chiesa e ridurla a cimitero «politically correct».
E la resistenza più forte, a difesa della Chiesa di Cristo, viene proprio dai giovani cresciuti con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Se papa Bergoglio non ha fatto il «colpo» nei primi mesi, come auspicava Mancuso, probabilmente è proprio per la presenza silenziosa e carismatica del «papa emerito», la cui autorevolezza ha frenato e intimidito lo spirito rivoluzionario.
Bergoglio ha scelto un’altra via. In una memorabile copertina dello Spectator, col titolo: «Pope vs Church» (il Papa contro la Chiesa), Bergoglio era disegnato su una macchina demolitrice che, un colpo dopo l’altro, abbatteva una chiesa. Si è scelto di picconare gradualmente e quotidianamente l’edificio sacro, anziché abbatterlo di colpo.
Tuttavia i danni sono già enormi. Bergoglio, per esempio, ha sottratto alla Chiesa la sua missione di Kathécon, cioè di presenza che si oppone al dilagare del «mysteryum iniquitatis». Cioè all’Impero, all’ideologia anticristiana che ha deciso la cancellazione della legge naturale, della famiglia e della sacralità della vita (oltreché delle radici cristiane).
Fra gli applausi dei nemici di Cristo, Bergoglio ha accantonato la grandiosa opposizione di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II alla «dittatura del relativismo». Così ora la situazione sembra precipitare ogni giorno di più. C’è un impazzimento sempre più veloce delle società e degli individui.
Lo mostrano le vicende internazionali, ma anche le cronache di questi giorni, con tanti efferati delitti. E a quest’umanità precipitata in un abisso di follie, guerre, persecuzioni e atti di barbarie, la «nuova Chiesa» di Bergoglio si presenta con queste testuali parole affidate dal papa a Eugenio Scalfari: «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene».
Se così fosse anche i più sanguinari tiranni sarebbero legittimati perché non fanno che perseguire la «propria idea» di bene. Nessuno potrebbe condannarli.
Se il Bene e il Male non sono oggettivi, tutto è lecito. È la notte del relativismo dove il Bene è quello che piace a me o ciò che uno Stato o un tiranno impongono. È solo la forza a decidere.
E non si può nemmeno più ricordare che incombe su tutti noi il giudizio divino. Infatti la «nuova Chiesa» di Bergoglio – come si è sentito nei giorni scorsi – si scaglia addirittura sulla Chiesa di sempre perché avrebbe «per lungo tempo trasmesso una fede impastata di paura. Che ruotava attorno al paradigma colpa/castigo». Così ora nessuno più griderà, come Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, rivolto ai mafiosi: «Verrà un giorno in cui risponderete davanti al Giudice supremo» (anche Gesù aveva gridato: «Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo». E ancora: «Guai a te Korazym! Guai a te, Cafarnao!»).
Al contrario la Chiesa di Bergoglio vuole eliminare la paura (cioè il timor di Dio) e tace al mondo la luce della Verità. Così l’umanità finisce nel baratro e «il papa non s’immischia». Del resto le quotidiane picconate di Bergoglio hanno preso di mira soprattutto la dottrina cattolica fondamentale: quella dei sacramenti che sono i pilastri della Chiesa. Quasi non c’è sacramento che non sia stato terremotato dai tanti «sperimentalismi dottrinali» vagheggiati da Bergoglio o dai suoi supporter che – se fossero formalizzati in affermazioni magisteriali – sarebbero per la Chiesa più devastanti di Lutero. Abbiamo per ora Lutero in affitto.
Il momento della verità sarà dunque l’ormai prossima Esortazione post-sinodale dove Bergoglio dovrà uscire dal guado. Se vuol essere Papa non può rinnegare la verità cattolica. Vale infatti ciò che Ratzinger scriveva anni fa sottolineando che il papa non può «imporre una propria opinione», deve «richiamare proprio il fatto che la Chiesa non può fare ciò che vuole e che anch’egli, anzi proprio lui, non ha facoltà di farlo: in materia di fede e di sacramenti, come circa i problemi fondamentali della morale», la Chiesa può solo «acconsentire alla volontà di Cristo». Se no si autodemolisce.
di Antonio Socci