lo sguardo negativo dei nostri vescovi

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ritratti insieme nella foto, papa Francesco e il card. Bagnasco, sono però diversissimi nello sguardo che hanno sul mondo e la realtà contemporanea: tanto aperto all’accoglienza e alla ‘misericordia’ papa Francesco, muovendosi in questo sulle orme di Gesù che sa cogliere il bene anche in ciò che viene generalmente screditato e guardato con paura come ‘pericoloso’, quanto il card. Bagnasco sembra guardare al mondo della nostra contemporaneità con occhio negativo, con sguardo preoccupato che alla fine suonano condanna

” È raro ascoltare da un vescovo parole così cariche d’ira come quelle pronunciate dal card. Angelo Bagnasco nella prolusione al Consiglio permanente del 24-26 marzo”: così E. Cucuzza nello suo incisivo resoconto di questo ‘consiglio’ su Adista:

 

GLI STRALI DEL CARD. BAGNASCO CONTRO INDIVIDUALISMO, “NUOVE” IDEOLOGIE, EUROPA NON PIÙ CRISTIANA

 È raro ascoltare da un vescovo parole così cariche d’ira come quelle pronunciate dal card. Angelo Bagnasco nella prolusione al Consiglio permanente del 24-26 marzo. L’arcivescovo di Genova non se l’è presa solo con chi depreda e uccide, con chi per miope tornaconto personale rende vittime interi popoli. Se l’è presa soprattutto con la soggiacente cultura iperindividualista, origine di ogni male personale e collettivo. Se l’è presa con le ideologie – quelle che attentano alla famiglia e alle quali riserva, se possibile, le invettive più dure (v. notizia seguente) – che «sotto vesti diverse» da quelle del secolo scorso, «ma con la medesima logica e arroganza», distruggono il tessuto cristiano dell’Occidente contagiando in quest’opera devastatrice il resto del mondo.

Relativamente al ritorno delle ideologie, ha spiegato Bagnasco, «un segno sta nel fatto che l’obiezione di coscienza è ormai sul banco europeo degli imputati: non è più un diritto dell’uomo?». «E perché accade che in Europa alcune serie “raccomandazioni” sono tranquillamente disattese, mentre altre, non senza ideologismo, vengono assunte come vincoli obbliganti?» (il riferimento del cardinale è qui al programma per il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere previsto per tutti i Paesi membri, ma anche al richiamo del Consiglio d’Europa in materia di obiezione alla legge 194).

Ma «l’Occidente non è più il centro del mondo!», esclama Bagnasco. «Altri continenti e culture ne apprezzano tecnologia e benessere, ma guardano all’Occidente con sospetto e fastidio per quella specie di neocolonialismo culturale, che vuole imporre con mezzi spesso ricattatori finanziamenti in cambio di leggi immorali, contrari alle identità di popoli e nazioni che vogliono mantenere le proprie radici. È questo il cammino della civiltà?». «Se l’umanesimo plenario ha avuto la sua origine nel grembo europeo, e ha ispirato le grandi Carte internazionali, non è detto che trovi ancora in quel ceppo, tagliato dalle sue origini cristiane, la linfa ispiratrice. Se l’Occidente vuole corrompere l’umanesimo, sarà l’umanesimo che si allontanerà dall’Occidente e troverà, come già succede, altri lidi meno ideologici e più sensati».

Iperindividualismo

La condanna dell’«iperindividualismo» è tagliente. Secondo Bagnasco, par di capire, l’iperindividualismo è cultura che appartiene a pochi, «i potenti di turno» nella definizione di Francesco nella Evangelii gaudium. Il cardinale parte dall’elogio della Chiesa, «operosa» accanto a tutte le povertà materiali, «grande e convinta» nella sua attenzione «a tutto ciò che corrompe la mente e il cuore, rende smarrita e confusa la persona sulla sua identità, sul valore della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla nascita, dalla crescita alla piena maturità, dal declino fino alla morte naturale». «Seminare e codificare errori su queste realtà – seguita – fa incerti e fragili i rapportiۛ», «rende individualista la società». «Tutto ciò è la premessa, forse prevista e voluta, perché i più forti e senza scrupoli possano manipolare e piegare persone e Nazioni ai propri interessi». E allora, «bisogna andare contro la corrente di un individualismo scellerato che, applicato ai vari campi dell’esistenza privata e pubblica, porta a camminare sulla pelle dei poveri». «È una visione iperindividualista all’origine dei mali del mondo, tanto all’interno delle famiglie quanto nell’economia, nella finanza e nella politica».

«Ma il sentire profondo del nostro popolo è diverso», assicura il cardinale. Il popolo è dedito a coltivare, nelle relazioni familiari ed extrafamiliari, più il “noi” che l’“io”. Ecco la direzione giusta, continua: «Bisogna accelerare la conversione dall’io al noi e dal mio al nostro: non certo nel senso che non esistono più l’io e il mio, ma nel senso che mai più dovranno essere intesi come degli assoluti, cioè slegati dal resto del mondo fatto di “altri”: persone, istituzioni, aziende, Paesi». Un mondo che riconosca «i diritti del bambino, oggi sempre più aggredito: ridotto a materiale organico da trafficare, o a schiavitù, o a spettacolo crudele, o ad arma di guerra, quando non addirittura esposto all’aborto o alla tragica possibilità dell’eutanasia. Ciò grida vendetta al cospetto di Dio»; un mondo che bandisca «la tratta delle donne, la violazione, a volte fino alla morte, della loro dignità. In un mondo che si definisce evoluto e civile, quante sono ancora le forme di violenza e di barbara criminalità che assume anche forme organizzate e mafiose».

Per Renzi, un auspicio che sa di fiducia

Come da consuetudine di ogni prolusione, il card. Bagnasco non ha mancato di volgere lo sguardo alla situazione sociale e politica italiana. Gli oltre sei anni di crisi economica hanno richiesto «un prezzo altissimo al lavoro e all’occupazione», sia di persone non più in giovane età, sia dei più giovani. Questi «mostrano una grande pazienza, e danno prova d’intraprendenza», «ma ciò non è sufficiente» in assenza di «un tessuto industriale pronto a riconoscerne i pregi, a recepirne i risultati e a metterli in circolo su scala». Se «è necessario incentivare i consumi», osserva il cardinale, «è altresì indispensabile sostenere in modo incisivo chi crea lavoro e occupazione», come pure velocizzare i processi burocratici, nonché – qui il richiamo è ai sindacati, ma anche ai datori di lavoro –  «ripensare e rimodulare anche la concezione del lavoro: il vecchio schema di dura contrapposizione è superato e rischia di danneggiare i più deboli. È necessario promuovere sempre più una mentalità partecipativa e collaborativa dentro ai luoghi di lavoro». L’auspicio è che «il nuovo Governo, con la partecipazione convinta e responsabile del Parlamento, riesca a incidere su sprechi e macchinosità istituzionali e burocratiche, ma soprattutto a mettere in movimento la crescita e lo sviluppo, in modo che l’economia e il lavoro creino non solo profitto, ma occupazione reale». (eletta cucuzza)