una saggia riflessione di M. Ovadia sulla nostra attualità che vede nelle nostre piazze uno scatenarsi di violenza anche dura e gratuita come modo di risoluzione di problemi politici: la grande lezione che, attualissima, ci viene da Gandhi e Mandela:
La violenza delle piazze e la lezione di Gandhi e Mandela
di Moni Ovadia
in “l’Unità” del 14 dicembre 2013
L’esplosione di violenza, intesa come violenza «strictu sensu», ovvero quella fisica, incontrollata o apparentemente tale, lo scontro cercato con le Forze dell’Ordine, l’attacco distruttivo ai simboli del potere, all’indomani del loro manifestarsi, ricevono fiumi di esecrazione e di espressioni scandalizzate a carattere eminentemente retorico. È un rito consuetudinario, si sa. Ora, per essere chiari, io personalmente sono non solo politicamente contrario a tale forma di violenza, ma lo sono anche antropologicamente. Considero oltretutto che, alla fine, si riveli sempre essere un boomerang che si ritorce anche contro la migliore delle cause che cada nella trappola di servirsene. Porta con sé il rischio di coinvolgere, inutilmente, persone incolpevoli che si trovano per caso nel teatro della violenza stessa. Solo la rivolta contro un regime tirannico e liberticida giustifica una violenza insurrezionale per abbatterlo e dopo le grandi lezioni di Gandhi e di Nelson Mandela, anche questa opzione sbiadisce sullo sfondo di altre opzioni di lotta. Fatta questa premessa necessaria, è inevitabile porsi una domanda retorica ma cogente. Come mai tutti coloro che si scandalizzano tanto per la violenza che esplode nelle strade e nelle piazze, non hanno aperto bocca di fronte alle mille e più vili forme di violenza sotto i loro occhi quale la perdurante ingiustizia, ininterrottamente perpetrata contro i ceti più deboli, la violenza del privilegio, la violenza della privazione del lavoro, della sua dignità, la violenza della distruzione della dignità sociale e di quella personale con la riduzione della nobiltà del lavoratore a condizioni servili, massacranti e umilianti? La vasta parte del ceto politico, ha gozzovigliato con le risorse nazionali, le ha sprecate per favorire gli amici degli amici sottraendole alla ricchezza comune, ha passato interi anni a chiacchierare nei talk show prendendo solennemente impegni che non avrebbe mantenuto, ha raggirato gli elettori, ne ha ignorato la volontà con trucchi da mediocre prestidigitatore e si è esercitata nel più sconcio narcisismo mentre il Paese sprofondava nella polverizzazione sociale e il ceto medio si sgretolava dando la stura ad un pauroso incremento della disoccupazione e della sfiducia esistenziale. I sussiegosi stigmatizzatori della violenza di piazza, si sono guardati bene dal condannare la violenza dei grandi speculatori e delle banche che, con le loro azioni banditesche hanno generato la paurosa crisi che divora le nostre vite ed è grazie al marasma sociale creato da questi furfanti che nelle sacrosante ragioni della protesta, possono anche annidarsi fascisti e imbecilli che lanciano accuse sinistre sui banchieri, non in quanto tali, ma in quanto ebrei. Come se i banchieri non ebrei fossero invece dei benefattori. Ma per questa feccia di antisemitismo a Milano abbiamo un detto eloquente: «La razza dei pirla l’è mai finida».