Perego: nessuna invasione, proteste di irresponsabili
intervista a Giancarlo Perego, direttore della Migrantes
a cura di Ilaria Solaini
in “Avvenire” del 19 luglio 2015
“No immigrazione”, “Stop immigrazione”, “Lottare per non migrare”: sono gli slogan degli striscioni affissi la scorsa notte dai militanti di CasaPound al porto di Cagliari, dove ieri pomeriggio è avvenuto lo sbarco di 456 migranti, tra loro vi era anche un morto, deceduto durante la traversata, una decina di feriti e tre neonati. Le proteste e i disordini provocate in Italia dall’arrivo di alcuni profughi riflettono il disagio che suscita lo straniero. Come è possibile evitare altre situazioni di conflittualità sociale, dopo quelle che abbiamo visto a Treviso e Roma? Stiamo parlando di 20 persone, non parliamo di un’invasione, non sono certo numeri consistenti. Da un lato non è stato gestito con attenzione lo spostamento su questi territori dei profughi, dall’altra qualcuno ha soffiato sul fuoco, trasformando il loro arrivo in un motivo di contrapposizione e instabilità sociale. Quelle proteste sono state il frutto di un’irresponsabilità sul piano politico e sociale da parte di gruppi e di forze politiche che hanno strumentalizzato l’arrivo dei richiedenti asilo. Il diritto d’asilo viene garantito dalla nostra Costituzione, cosa si può fare concretamente affinché il sistema di accoglienza italiano funzioni a dovere? Il diritto d’asilo, garantito dalla nostra Costituzione, è stato rafforzato da altre forme di protezione internazionale, e dunque non può essere lasciato all’improvvisazione. La nostra proposta di organizzazione va oltre i grandi centri per la prima accoglienza, che hanno generato non solo la corruzione nella gestione e lo spreco di denaro, ma anche una nuova strada di guadagno delle mafie e la non tutela di alcuni diritti fondamentali, come il ricongiungimento familiare, la salute, la scuola per i minori. Quale può essere, quindi, l’alternativa ai grandi centri di accoglienza? L’accoglienza va ripensata attraverso un sistema strutturale che veda nei Comuni, tutti e 8mila, i soggetti che direttamente gestiscono il richiedente asilo. Un Paese di 60 milioni di persone che può ospitare 45 milioni di turisti all’anno non può essere messo in ginocchi di fronte a di fronte a 75mila profughi: se ogni famiglia prendesse in carico un richiedente asilo, si eviterebbe che l’arrivo di un gruppo di giovani profughi si trasformi in un’occasione nuova di conflittualità sociale. Va considerato anche l’arrivo di 12mila minori arrivati, il doppio rispetto a quelli accolti l’anno scorso: vanno tutelati subito al loro arrivo, attraverso una forma di affido presso alcune famiglie. “Chiesa senza frontiere: madre di tutti” sono parole del messaggio che il Papa ha rivolto per la giornata mondiale del rifugiato. Come si sta muovendo la Chiesa per gestire l’accoglienza? Le stesse contraddizioni sull’accoglienza dei profughi dividono anche le nostre comunità, com’è accaduto a Crema, in una diocesi con una grande tradizione sociale, dove si è verificata la non accettazione in una struttura adeguata di 16 richiedenti asilo. Anche le nostre famiglie rischiano di respirare la stessa aria di paura, di rifiuto e di contrapposizione ai migranti, ci aspetta, quindi, un forte lavoro culturale e sociale nelle nostre Chiese: da una parte non possiamo tornare al collateralismo nel lavoro sociale rispetto allo Stato, sostituendosi alle sue responsabilità e dall’altra dobbiamo evitare il rischio di non sentirci responsabili di un nuovo impegno sociale, per paura di vedere allontanarsi alcuni fedeli delle nostre comunità. Servono gesti e opere che siano segno di un amore e di un’attenzione verso chi ha perso tutto, verso i lontani che si sono fatti prossimo. In Europa è in corso la delicata trattativa per il piano di redistribuzione dei richiedenti asilo, come vede la situazione e il possibile accordo su cui si sta lavorando a Bruxelles?
Purtroppo l’Europa si sta frantumando sulla politica dell’asilo: quello della redistribuzione dei 60mila profughi è un primo passo verso il superamento di un forte nazionalismo che si è espresso anche nella protezione internazionale. L’Europa con 600 milioni di abitanti come può essere in difficoltà nell’accogliere 600mila persone, se si pensa che il Libano dove vivono 4 milioni di persone ha accolto un milione e mezzo di profughi.