Alessandro Cortesi
Commento Festa di tutti i santi – anno B
Nella grande visione dell’autore dell’Apocalisse Gesù Cristo è presentato nell’immagine dell’agnello ferito, ma in piedi. Nel simbolo dell’agnello e della ferita è da leggere il riferimento alla passione e alla morte: condotto come agnello al macello ha reagito con la nonviolenza all’ingiustizia e alla menzogna che l’hanno condotto al supplizio. La ferita mostra il sangue versato. Ma è in piedi. Ferito e vulnerabile è passato attraverso la morte ma questa non ha avuto potere su di lui: l’agnello inerme è così immagine del risorto che ha vinto la morte. La sua comunità, sa di dover vivere la prova e la sofferenza ma sa anche che Gesù Cristo è colui che può sciogliere i nodi che legano il libro della vita e della storia. Questo incontro ha i tratti di una grande liturgia che coinvolge il lettore. E’ così ‘vista’ una “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare…”. E’ la moltitudine di tutti coloro che hanno vissuto la loro testimonianza – tengono la palma, simbolo del martirio tra le mani – ed hanno percorso con fedeltà la strada di Gesù agnello inerme e indifeso.
Nella festa di tutti i santi i simboli dell’apocalisse invitano a leggere la vita della comunità che segue Gesù: è composta di tanti volti e tanti nomi che hanno testimoniato la via di Gesù seguendolo sulla sua strada. Sono innumerevoli e la loro testimonianza è quella di chi non ha avuto clamore, visibilità ma è stato fedele nel quotidiano, nella semplicità della vita ordinaria. E al centro sta la presenza di Dio.
La prima lettera di Giovanni richiama il cammino della fede, tra un ‘già’ che viviamo nel presente, ed un ‘non ancora’ da attendere e da affrettare. “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è.”
Ancora non è rivelato il nostro volto più profondo: sin d’ora siamo ‘figli’, partecipi di una relazione che è dono e che precede. Figlio e figlia, sono nomi di legame, di dipendenza da un dono di vita ricevuto che conduce a scorgere come la vita provenga da altri e da altrove. Siamo chiamati con il nome unico che Dio ha pronunciato per ciascuna e ciascuno. Ma questo nome è anche un seme che richiede cura, luce e spazio, per poter crescere. C’è nell’esistenza una chiamata che si sviluppa nelle varie tappe e circostanze della vita: diventare simili al volto di Gesù che ha fatto della sua vita un dono per il Padre e per gli altri. Nell’incontro con lui si compie così il nostro nome. La vita dei cristiani si colloca anche in una attesa che non è vuota: talvolta è piena di dolore ma soprattutto è piena di responsabilità. Lo vedremo così come egli è: questo incontro è già iniziato in quel vedere che è lo sguardo del credere, che si lascia trasformare nell’affidamento.
“Beati i miti perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”. Gesù propone una parola di felicità quale orizzonte dell’esistenza. I poveri in spirito, quelli che sono nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia, tutti voi quando vi insulteranno… sono chiamati a rallegrarsi. Quale è il motivo per rallegrarsi? Gesù non vuole per i suoi la povertà, la persecuzione, l’ingiustizia. Piuttosto annuncia che Dio sta dalla parte di tutti coloro che vivono in queste situazioni, e si rende vicino, per liberarli. Prende le loro parti. Gesù annuncia con la sua vita che Dio ‘ha guardato alla condizione umile dei suoi servi’, di tutti coloro che si affidano a lui e non hanno potenza e ricchezza e strumenti di affermazione umani. Questa è ragione del rallegrarsi: chi vive in questo orientamento è nella strada di Gesù. Nella pagina delle beatitudini in fondo si parla di Gesù che s’identifica con le vittime e i poveri: è lui il vero povero, mite, puro di cuore. Chi si appoggia in lui trovando in lui il senso della propria esistenza può aprirsi ad una vita bella, ad una gioia profonda, ad una felicità che non è assenza di problemi o spensieratezza, ma esistenza segnata dall’accogliere la presenza di Dio vicino e liberatore che a cuore la felicità delle sue figlie dei suoi figli e li rende strumenti di liberazione per altri.
Alessandro Cortesi