p. Maggi e Pagola commentano il vangelo
VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO
Mt 13,44-52
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
commento al Vangelo della domenica diciassettesima (27 luglio)
del tempo ordinario di p. Maggi:
Gesù non parla mai di sacrifici per il regno, bensì di gioia. La parola “sacrifici” nel vangelo di Matteo appare solo due volte ed è per negarli. Gesù, rifacendosi all’espressione del profeta Osea, ribadisce che il Signore non chiede sacrifici rivolti a lui, ma misericordia, cioè lo stesso atteggiamento d’amore rivolto verso gli uomini. Se Gesù mai parla e richiede dei sacrifici per il regno, invece continuamente parla di gioia. Il termine “gioia” nel vangelo di Matteo appare sei volte. E qui lo ritroviamo alla fine delle sette parabole che riguardano il regno, al capitolo 13 di Matteo, versetti 44-52. Scrive l’evangelista: “«Il regno dei cieli»”, ricordo che regno dei cieli è un’espressione tipica di Matteo che significa il regno di Dio, quindi non un regno nell’aldilà, ma il regno di qua, un’alternativa alla società che Gesù presenta. Ebbene Gesù presenta questa alternativa come “«Simile a un tesoro»”, il termine tesoro apre e chiude il brano liturgico di oggi, “«nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia»”, letteralmente “per la gioia”. E’ la motivazione. L’aver trovato nel messaggio di Gesù, nell’alternativa di società, la risposta al desiderio della propria pienezza di vita. “«Vende tutti i tuoi averi e compra quel campo»”. Quindi non è frutto di chissà quali sforzi o rinunce, ma è per la gioia. Non consiste nel lasciare qualcosa, ma nel trovare tutto. E qui non si parla di una ricompensa esterna, ma di una pienezza interiore. Quindi l’immagine del regno che Gesù presenta è quella di aver trovato nell’alternativa di società e nel suo messaggio, la risposta al desiderio di pienezza di vita che ogni uomo si porta dentro. Questo è fonte di gioia. Il rischio c’è, e l’abbiamo visto nei vangeli, ed è quello di lasciare senza trovare, allora si cerca di recuperare quello che si è perduto. Come quando Pietro dice: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa ne avremo?” Ma chi lascia e trova questo tesoro, perché lo trova questo tesoro, ha una gioia incontenibile, una gioia che è la caratteristica del credente. Ugualmente la seconda parabola. “«Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose»”, il mercante è uno che se ne intende di affari, “«trovata una perla di grande valore …»”, ne capisce l’importanza e tutto il resto perde valore. Anche Paolo nelle sue lettere, in quella ai Filippesi scrive “Quello che per me era un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura”. Quindi Gesù invita a vedere nel suo messaggio la pienezza di vita alla quale ogni uomo aspira. E quando si trova questa pienezza di vita tutto il resto perde valore. La terza parabola è differente e parla del risultato di questa scelta. “«Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere …»”, l’evangelista non scrive “di pesci”, è un’aggiunta del traduttore. Perché non scrive “di pesci” anche se di questi si tratta? Perché si rifà alla missione dei discepoli ad essere pescatori di uomini. Gesù li chiama a pescare gli uomini. Pescare un pesce significa tirare fuori dal suo habitat naturale nell’acqua dove hanno la vita per dargli la morte; pescare un uomo significa invece tirarlo fuori da ciò che può dargli la morte per dargli la vita. “«Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via …»”, ecco qui l’evangelista non adopera il termine “cattivi”, che può indicare un giudizio, con un significato morale. L’evangelista adopera il termine “marcio”. I pescatori non danno un giudizio morale sui pesci, i buoni e i cattivi, ma si trovano quelli che sono pieni di vita, e quelli che invece sono già morti in stato di avanzata putrefazione. E’ la stessa espressione che Gesù ha usato per l’albero, un albero marcio che non può che produrre frutti cattivi. Quindi non è un giudizio quello di Gesù, ma una constatazione. Tra chi ha pienezza di vita e chi è invece nella putrefazione della morte. L’accoglienza del messaggio di Gesù conduce l’uomo ad una pienezza di vita tale che è quella definitiva; il rifiuto di questo messaggio, vivere soltanto per sé, porta alla morte definitiva, alla putrefazione della propria esistenza. E l’evangelista continua: “«Così sarà alla fine dei tempi. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi»”, ma letteralmente il termine è maligni, quelli che si comportano come il loro padre, il maligno, il diavolo, “«dai buoni»”, letteralmente i giusti, “«e li getteranno nella fornace ardente»”. Il termine fornace ardente l’evangelista lo prende dal libro di Daniele, capitolo 3, versetto 6, in cui rappresentava la pena per chi non adorava la statua di Nabucodonosor. Quella che era la pena per chi non adorava il potere diventa invece la fine per chi ha adorato il potere. Chi orienta la propria vita per il bene degli altri, si realizza. Chi ha pensato soltanto a sé, chi ha pensato al proprio potere in realtà si distrugge. Vediamo il finale. Scrive l’evangelista: “«Dove sarà pianto e stridore di denti»”. E’ un’immagine biblica che indica la constatazione del fallimento della propria esistenza. Gesù già dirà “a che serve guadagnare il mondo intero e poi smarrire se stessi”! E Gesù chiede ai suoi discepoli: “«Avete compreso tutte queste cose?» Gli risposero: «Sì». Ecco la conclusione nella quale l’evangelista probabilmente mette la sua firma. “Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba»”, lo scriba è il grande teologo, colui che quando parlava era Dio stesso che parlava, era colui che aveva la più grande importanza, il più grande prestigio nel mondo di Israele. “«Per questo ogni scriba, divenuto discepolo»”. Gesù è abbastanza ironico. Lo scriba, colui che insegna, di fronte alla novità portata da Gesù, deve tornare scolaro, deve farsi discepolo. “«Discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro»” – ecco il brano è iniziato col tesoro e termina col tesoro – “«cose nuove e cose antiche»”. E’ importante questa dinamica, prima le cose nuove. Il messaggio di Gesù ha la precedenza su quello di Mosè. E quello di Mosè si accoglie soltanto nella misura in cui è conforme al suo insegnamento.
LA DECISIONE PIÙ IMPORTANTE
il commento di p. Pagola:
Il vangelo raccoglie due brevi parabole di Gesù con uno stesso messaggio.
In entrambi i racconti, il protagonista scopre un tesoro enormemente prezioso o una perla di valore incalcolabile. Ed i due reagiscono allo stesso modo: vendono decisamente con gioia quello che hanno, e si impadroniscono del tesoro o la perla.
Secondo Gesù, così reagiscono quelli che scoprono il regno di Dio.
All’opinione, Gesù teme che la gente lo segue per interessi diversi, senza scoprire la cosa più attraente ed importante: quel progetto appassionante del Padre che consiste in condurre su una strada più giusta l’umanità verso un mondo, fraterno e felice, avviandolo così verso la sua salvezza definitiva in Dio.
Che cosa possiamo dire oggi dopo venti secoli di cristianesimo? Perché tanti cristiani buoni vivono rinchiusi nella loro pratica religiosa con la sensazione di non avere scoperto in lui nessun “tesoro”?. Dove sta la radice ultima di quella fetta di entusiasmo e di gioia in non pochi ambiti della nostra Chiesa, incapace di attrarre verso quel nucleo del Vangelo tanti uomini e donne che si vanno allontanando da essa, senza rinunciare però per questo motivo a Dio e a Gesù?
Dopo il Concilio, Paolo VI fece questa precisa affermazione: ” Solo il regno di Dio è assoluto. Tutto il resto è relativo”. Alcuni anni più tardi, Giovanni Paolo II lo riaffermò dicendo: “La Chiesa non vedrà mai la sua fine, perché è orientata verso il regno di Dio del quale è germe, segno e strumento”.
Papa Francesco ci va ripetendo: “Il progetto di Gesù è instaurare il regno di Dio.” Se questa è la fede della Chiesa, perché ci sono cristiani che neanche hanno sentito parlare di quel progetto che Gesù chiamava “regno di Dio?” Perché non sanno che la passione che incoraggiò tutta la vita di Gesù, fu la ragione di essere e l’obiettivo di tutta la sua attuazione, annunciare e promuovere quel progetto umanizzatore del Padre: cercare il regno di Dio e la sua giustizia!
La Chiesa non può rinnovarsi dalla sua radice se non scopre il “tesoro” del regno di Dio. Non è la stessa cosa richiamare i cristiani a collaborare con Dio nel suo grande progetto di fare un mondo più umano più tosto che vivere distratti in pratiche e abitudini che ci fanno dimenticare il vero nucleo del Vangelo.
Papa Francesco sta dicendoci che il regno di Dio ci “reclama”. Questo grido ci arriva dal cuore stesso di quel Vangelo. Dobbiamo ascoltarlo. Sicuramente, la decisione più importante che dobbiamo prendere oggi nella Chiesa e nelle nostre comunità cristiane è quella di recuperare il progetto del regno di Dio con gioia ed entusiasmo.
Cerca di scoprire il tesoro nascosto del regno di Dio.
José Antonio Pagola