pamela adami e agostino rota martir al ccit 2014

bambino rom

 

Sinti e rom in Italia: lettura socio-culturale e quadro pastorale

Di cosa e chi parliamo? lettura socio-culturale

Pamela Adami

Questa prima parte presenta dei dati: dunque sembra che il problema sia solo trovarli [i dati] e enumerarli, indicando suddivisioni e mostrando proporzioni. In realtà anche questo primo punto richiede alcuni rilievi critici, che spiegano la difficoltà a individuare “numeri” precisi: – un censimento su base etnica è sempre implicitamente discriminatorio – quando è stato compiuto in Italia in regime di presunta “emergenza” ha avuto tratti intimidatori che sono stati anche denunciati alle autorità di garanzia – c’è comunque molta reticenza a dichiarare un’identità disprezzata: questo l’ha ben spiegato la dott.ssa jovanovic. Anche chi non vuole essere identificato su base etnica “esiste” e deve comunque essere rispettato.
Anche il rapporto UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscrimazioni Razziali), cioè il documento che delinea le strategie di inclusione 2012-2020, in risposta alla Comunità Europea’ parla di questa difficoltà. Di fronte alla richiesta di dati numerici, anche l’autorevole documento riferisce la stima complessiva ormai tradizionale – da 110.000 a 180.000 unità – pari allo 0,23% della popolazione nazionale. Quando presenta prospetti su base regionale, si limita a dividere proporzionalmente la cifra. Molto probabilmente questi rilievi sono sottodimensionati, ma in ogni caso i numeri non sono neppure lontanamente paragonabili a quelli degli altri paesi europei, soprattutto dell’Est. E’ importante osservare tuttavia che a fronte di una esiguità numerica, la presenza rom è spesso oggetto di interventi dei mass-media e pretesto per campagne politiche identitarie e razziste. La relazione che si instaura tra contesto maggioritario e fenomeno rom è perciò una sorta di “termometro” della salute nazionale.
Presentiamo dunque la situazione dal punto di vista a) delle denominazioni b) delle appartenenze religiose c) della cittadinanza d) delle tipologie abitative e) dell’emergere di associazioni politiche e culturali rom.
a) Le denominazioni. Ci riferiamo, come d’abitudine nella realtà italiana, a Sinti e Rom, coppia di termini [endiadi] che attraverso le due suddivisioni principali vuole indicare tutti i gruppi romane presenti in Italia. Per noi – per la mia personale esperienza e per la pastorale italiana – il termine zingari è dispregiativo e per questo evitiamo di utilizzarlo2. Quando utilizziamo il termine Rom lo facciamo in senso generale, senza badare alle sottodistinzioni, alle diverse forme di plurale “includendo” il femminile.
b) Appartenenza religiosa. Data la particolare “ingegneria culturale” praticata [assunzione selettiva di elementi del contesto maggioritario di inserimento] non stupisce che un grande numero sia battezzato nella chiesa cattolica; i rom di origine serba e dei paesi vicini sono prevalentemente ortodossi; quelli originari di Kossovo, Macedonia, Montenegro, Bosnia sono musulmani, con una presenza anche di Dervisci, soprattutto fra i Kossovari e Macedoni. Pur a prezzo di generalizzazione, si può affermare che una religiosità molto profonda spesso si accompagna a scarsa fidelizzazione alle istituzioni confessionali. In questo senso le eccezioni confermano la regola: tale è il caso delle famiglie che da anni sono legate a gruppi di presenza pastorale e che sono più consapevolmente “appartenenti” a una chiesa di riferimento, con relativa iniziazione e pratica sacramentale. Diversa l’appartenenza evangelical pentecostale, caratterizzata da pratica assidua, spesso dalla manifestazione di profonde convinzioni che entrano a far parte non tanto di quello “che si dice se richiesti” ma della autoconsapevolezza di gruppo. In questo caso l’appartenenza religiosa alla Missione Evangelica Zigana3 legata alle Assemblee di Dio in Italia fa parte di un più ampio fenomeno di identità e visibilità, che si manifesta sia in prospettiva religiosa che culturale e politica.
c) Cittadinanza. In maggioranza si tratta di cittadini italiani da molte generazioni (Sinti; Rom detti abruzzesi – italiani.. da quando esiste un’anagrafe nazionale (!) e Rom kalderasha cittadini dalla fine dell’800) e di cittadinanze più recenti, fra i discendenti di persone [di origine istriana, slovena e croata] che hanno fatto l’opzione per la cittadinanza italiana dopo il secondo conflitto mondiale. Vi sono poi cittadini “comunitari” UE, come i Rom rumeni di relativamente recente immigrazione e alcuni “extracomunitari”, con passaporti delle repubbliche ex-Jugoslave, come i Rom di origine Serba e Kosovara. Difficile in questo senso la situazione di coloro che sono giunti negli anni ’60 da Bosnia e Montenegro: i loro figli e nipoti sono nati qui, ma spesso non hanno documentazione valida né del paese di provenienza, che non “esiste più” come tale, né italiana. Come suggestivamente si esprime Leonardo Piasere, si tratta di un “mondo di mondi” (Piasere 1999), la cui storia in Europa (Piasere 2004) si ricostruisce soprattutto attraverso i bandi di cacciata e le persecuzioni, fino alla Shoà o ad iniziative raccapriccianti come quelle realizzate dalla Pro luventute, che sottraeva i bambini jenisch alle loro famiglie, sterilizzando le bambine. Ricerche italiane – su finanziamento Migrantes – hanno permesso di mostrare anche un fenomeno di adozioni, tale da poter parlare di “sottrazione di bambini rom” (Saletti Salza).
d) Situazione abitativa. Si deve distinguere fra le metropoli – Milano, Roma, Napoli – e il più vasto territorio italiano. Nelle grandi città ci sono insediamenti numerosi e a questa realtà si riferisce in prevalenza la realizzazione dei “campi” (campo= lager; terrain). Vi è però anche una presenza sul territorio nazionale molto diffusa: a fronte di alcuni campi pubblici e/o riconosciuti, vi sono insediamenti in roulottes/case mobili in terreni privati – di affitto o proprietà; famiglie che abitano in case rurali e anche in appartamenti in città, questi prevalentemente di edilizia popolare. Nel sud italiano i grandi concentramenti sono soprattutto di rom di origine
rumena e kossovara, mentre i cosiddetti “rom italiani” abitano in case, spesso vicini tra loro. Come si è detto sopra, non sono infrequenti i casi di persone che, qualora sia possibile, non svelano la propria origine rom. Non si può nascondere che a fronte di un interesse diffuso e di buone pratiche – o comunque di buone intenzioni nello svolgerle – si deve registrare molto pregiudizio, che arriva a posizioni intolleranti, a atteggiamenti razzisti, a pratiche escludenti.
e) associazioni e studiosi rom: anche se non si può paragonare la situazione italiana con il resto dell’Europa, sempre di più si sta facendo strada un ceto intellettuale rom e soprattutto un associazionismo che prende parola sul terreno politico ed è in costante contatto sul web.

1 Il documento si può scaricare agevolmente: http://109.232.32.23/unar
2 Il termine “zingari”, che ha dei corrispettivi in tutte le lingue europee, è una categoria sintetica che si riferisce con uno stigma negativo a gruppi dalle diverse autodenominazioni, Leonardo :Piasere parla di categoria politetica rossi d’Europa. Una storia moderna, Laterza, Roma-Bari 2004, 3;151 Osserva inoltre: «Ci sono almeno due modi di guardare e descrivere i rom e gli altri gruppi detti “zingari”. Il primo ruota attorno ai concetti di integrazione e anomia, anche quando tali termini non sono apertamente pronunciati. […]. Il secondo considera il rapporto tra rom e non zingari come fortemente radicato nel continuum spazio-temporale della modernità europea e come suo momento strutturale profondo» (ibidem, VII)
3 Httn-//wwwme,italia blogsnot it vvww.adi-mez. it che dà voce alla Missione Evangelica Zigana e alla più recente aggregazione dei Sinti Italiani Evangelici

 Quadro pastorale

Agostino Rota Martir

agostino

Non è certo facile raccontare l’attenzione pastorale della Chiesa verso I Rom-Sinti, è un cammino lungo, articolato e complesso, dove non sono mancati strappi e divergenze. Senz’altro è un cammino ricco di intuizioni, di scelte coraggiose e profetiche, grazie anche a persone che sono state capaci di leggere l’azione dello Spirito che agiva, non solo dentro la Chiesa ma anche dentro la vita dei Rom-Sinti. Basti pensare che fin dal 1930 don Dino Torregiani, con l’aiuto di donne già si dedicava alla cura spirituale di queste persone. Da queste attenzione nascerà all’interno della Chiesa Italiana “L’assistenza religiosa agli spettacoli viaggianti e ai Circhi equestri” e in seguito la “Missione Cattolica tra gli zingari”. Nel 1963 un altro sacerdote don Bruno Nicolini fonderà l’Opera nomadi, che curava soprattutto la promozione sociale e l’O.A.S.N.I. (Opera Assitenza Spirituale Nomadi in Italia). Altre figure si inseriranno in questo percorso, alcune note altre quasi del tutto sconosciute, arricchendolo con le proprie energie, intuizioni e carismi. Lo stesso don Mario Riboldi, prete milanese che poco prima del Concilio Vaticano II è inviato dall’allora cardinale Montini (vescovo di Milano), con il compito di evangelizzare questi gruppi che giravano nel territorio. Quasi contemporaneamente anche una fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù andò a vivere in carovana, condividendo la vita dei Rom. Da queste esperienze si svilupperanno altre presenze di sacerdoti, religiosi e laici che andranno a vivere tra i Rom-Sinti in diverse città italiane. Queste presenze tra i campi Rom-Sinti sono espressioni sia della Chiesa locale o di singole Congregazioni religiose, ma non meno importanti quelle di tanti laici e famiglie che attraverso la loro presenza e amicizia con i Rom porteranno un contributo significativo alla nascita dell’U.N.P.R.eS. nel 1987, settore della Migrantes (Ufficio Nazionale Pastorale Rom e Sinti), che di fatto sostituirà l’OASNI. Per vari decenni coloro che faranno riferimento alla “Chiesa che vive tra le carovane”, si daranno fedelmente appuntamento in diverse località per rinnovare la propria fedeltà al Vangelo, per conoscere e approfondire aspetti della cultura Romanes, il senso di una presenza e amicizia con i Rom-Sinti e per leggere e capire meglio le variegate dinamiche sociali. A scadenza biennale veniva anche organizzato un Convegno Nazionale con lo scopo di sensibilizzare e approfondire argomenti di carattere biblico, antropologico e sociale. Era un appuntamento importante che serviva non solo per saldare amicizie e conoscenze, ma anche per rafforzare il senso di appartenenza ecclesiale. Una caratteristica dell’U.N.P.R.eS. sarà quella di essere attenta e rispettosa della cultura dei Rom-Sinti, cercando di vivere di fatto e “dal di dentro la spiritualità dell’incarnazione” (non a distanza!) e di stimolare il più possibile l’attenzione delle Chiese locali verso queste persone. I Rom e i Sinti non sono di chi si “occupa di loro” (Associazioni, singoli..) ma fanno parte della Chiesa di quel territorio: “Voi siete nel cuore della Chiesa”, come ebbe a dire papa Paolo VI ai Rom. Ci siamo riusciti? Difficile dirlo anche perche le difficoltà ci sono, visioni differenti.. e le ferite rimangono tutt’ora aperte.. Dovendo sintetizzare il rapporto attuale della Chiesa Italiana con i Rom-Sinti elenco 3 tipi di linee fondamentali che mi sembra di cogliere, anche se spesso queste 3 presenze a volte s’intrecciano, dialogano ma anche si scontrano tra di loro. Senz’altro, ognuna a modo suo esprime con sensibilità diverse l’attenzione pastorale della Chiesa verso i Rom-Sinti. 1. La Chiesa dei “progetti” per l’integrazione. 2. La Chiesa che evangelizza. 3. La Chiesa con “l’odore delle pecore”.
1. La Chiesa dei “progetti” per l’integrazione.
In genere la società italiana vede i Rom come un problema. Non mancano di certo Associazioni Cattoliche e religiose, Caritas, il ricco mondo del volontariato, le cooperative sociali, la comunità di S. Egidio e altre più nascoste impegnate in tal senso: perché spesso l’imput è quello di “risolvere il problema Rom”, spesso è questo che la società chiede alla Chiesa, di offrire un contributo di fronte a questo difficile problema. E’ quello della Chiesa un impegno variegato, anche se spesso saltuario e discontinuo, che sintetizzo sotto la voce promozione umana e sociale dei Rom e che si propone direttamente la loro integrazione, attraverso l’assistenza, la scolarizzazione, la collaborazione a progetti di inclusione delle singole Amministrazioni locali. Se da un lato c’è da riconoscere un lodevole impegno di collaborazione con le realtà laiche del tessuto sociale, dall’altro spesso queste iniziative non sono studiate con l’effettiva partecipazione e coinvolgimento dei diretti interessati. Avvengono quasi sempre a “distanza di sicurezza” dai Rom e Sinti.
2. La Chiesa che evangelizza.
Anche qui il discorso diventa variegato, ricco di testimonianze e di stimoli differenti tra loro. Le iniziative non mancano e anche ricche di esperienze e approcci significativi. Anche se non sono poche le Diocesi che impegnano personale e catechisti per un annuncio del Vangelo ai Rom-Sinti, soprattutto in occasione dei Sacramenti, o di funerali ma permane nelle singole Chiese locali una diffidenza di fondo o la completa incapacità di porsi in una relazione normale con le famiglie Rom. E’ possibile evangelizzare senza una relazione umana di amicizia e di un minimo di conoscenza del mondo “zingaro”? In questo senso è significativa l’esperienza pluridecennale di don Mario Riboldi capace di coniugare insieme, il ricco e paziente lavoro di traduzioni in diverse lingue romanes di testi della Bibbia con momenti di preghiera e catechesi a diversi gruppi Rom-Sinti.

don Mario

don Mario Rigoldi

Ma c’è anche un annuncio che si sviluppa all’interno della vita dei campi Rom-Sinti, fatto di incontri, di relazioni, di occasioni non programmabili ma altrettanto ricci di fascino evangelico e di Spirito che lavora misteriosamente e in silenzio, senza scalpore o tocco di campane e spesso al’insaputa dei stessi Rom. E’ pur vero che da diverso tempo la Migrantes Italiana sollecita le diocesi all’attenzione pastorale dei migranti, ma quasi sempre questa sollecitazione viene tradotta sempre in percorsi di carità o di progetti sociali: “Diteci cosa fare per risolvere questo problema dei Rom”.
3. Una Chiesa con l’odore delle pecore.
C’è una piccola porzione di Chiesa che “testardamente” crede che è possibile vivere il “Vangelo con i piedi” dentro queste periferie, che in genere sono i campi Rom-Sinti. Non a distanza ma dentro: condividendo, accompagnando e custodendo amicizie, percorsi anche difficili, ma vissuti insieme. La “missione” non è tanto quella di organizzare progetti, nemmeno quella di volerli integrare nei nostri schemi o di porsi come risolutori del “problema Rom”, ma semplicemente essere una “presenza ponte” capace di accogliere, di bene-dire, di comprendere punti di vista diversi. Un campo Rom-Sinti è sempre visto con sospetto e diffidenza e il fatto che dentro ci viva una comunità di suore, dei preti o è frequentato da “gagè” amici di Rom non cancella il sospetto, anzi spesso cade anche su costoro. .è l’odore delle pecore che avvolge chiunque frequenti i Rom-Sinti gratuitamente! Può forse essere credibile uno/a che sta semplicemente dalla loro parte senza offrire contributi di alcun genere? Ma è un “odore” che permette di decifrare il respiro del Vangelo, mischiato a tanti altri. .e di rendere grazie a quel Dio che “non fa preferenza di persone”.