la preghiera di un “figlio” ad un’Europa malata
da: Adista Notizie n° 19 del 21/05/2016
Si definisce “un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede”. E, proprio come figlio, quindi parte della casa, può permettersi di coglierne le rughe e le stanchezze. Gli aggettivi che papa Francesco usa per definire l’Europa di oggi paiono impietosi: stanca e invecchiata; decaduta; che vuole dominare spazi invece che generare processi; affaticata. E tutto questo perchè oggi, di fronte alle nuove sfide, non è capace di operare quella “trasfusione della memoria” che le impedisca di “fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati”
Ha bisogno di fare memoria questa Europa, evocando i suoi padri fondatori che “seppero cercare strade alternative in un contesto segnato dalle ferite della guerra”. E fa questo richiamo davanti a chi ormai ha svenduto l’Europa al modello vincente del pensiero unico e all’ideologia del mercato. Lo dice mentre in Grecia il governo è costretto ad abbassare salari e pensioni, per rispondere ai dogmi della grande finanza. Mentre in Francia il mondo del lavoro protesta per una riforma che priva di diritti dei lavoratori sacrificandoli sull’altare del profitto ad ogni costo. Lo dice mentre non solo si continuano a costruire muri all’interno dei confini europei ma, con l’accordo con la Turchia, ci si affida un governo totalitario pagandolo perchè faccia da baluardo ad una presunta invasione. Costruendo, quindi, un muro invalicabile fra l’Europa e il resto del mondo.
Questa Europa, non facendo memoria, rischia di perdere la propria identità. Di dimenticare le proprie radici. Radici che si sono consolidate “imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro”. Di qui una identità “dinamica e multiculturale”.
Qualcuno ha voluto leggere in questo passaggio una sorta di superamento di quelle che normalmente vengono definite “le radici cristiane dell’Europa”. Dimenticando però che fin dalle sue origini, il cristianesimo è stato proprio capace di operare questa sintesi e che, forse, le stesse radici cristiane dell’Europa stanno proprio in quella capacità di sintesi tra culture. Insiste molto Francesco su questo aspetto: l’Europa deve promuovere una integrazione che trova nella solidarietà la capacità di fare storia. Una solidarietà che genera opportunità per tutti, che supera l’inserimento puramente geografico, per portare ad una “forte integrazione culturale”.
Da questa identità plurale deriva la necessità del dialogo “che dovrebbe essere inserita nei curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline”. “La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo”, realizzando coalizioni non militari o economiche, ma culturali capaci di smascherare i giochi di potere dei gruppi economici.
Solo un’Europa così tornerà ad essere madre, capace di generare. Per questo deve smetterla di vedere i giovani come “il futuro”. Essi sono il “presente”. Perciò devono essere coinvolti attivamente nella sua costruzione. Ma per questo sono necessari modelli economici “più incisivi e più equi” che “perseguano come priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti”. Non ha futuro un’Europa dove i giovani non trovano lavoro.
Detto ai dirigenti europei che da trent’anni hanno scelto di inchinarsi totalmente alle lobby finanziarie, che strangolano i popoli in nome del pareggio di bilancio e del Fair play finanziario, che stanno per firmare il TTIP, questo intervento di Francesco appare non tanto un’invettiva, quanto piuttosto la domanda accorata di un figlio, perchè, ritornando alle proprie origini, l’Europa recuperi un ruolo unico e insostituibile nel mondo.
Eugenio Melandri è saggista e giornalista, missionario saveriano e pacifista negli anni ‘70 e ‘80, già parlamentare europeo con Democrazia proletaria, è oggi presidente dell’organizzazione “Chiama l’Africa”