La “porta chiusa” di papa Francesco
La delusione delle donne sul tema del sacerdozio femminile
Se i riconoscimenti tributati a papa Francesco in occasione della Giornata mondiale della gioventù dello scorso luglio sono stati tanti ed entusiastici, molte donne sono rimaste però profondamente deluse dalle sue parole di chiusura rispetto all’ordinazione femminile: «Questa porta è chiusa», aveva detto il papa nel suo colloquio con i giornalisti sul volo di ritorno dalla Gmg, aggiungendo che una «teologia della donna» resta ancora da fare e che, come Maria è più importante degli apostoli, così la donna nella Chiesa lo è rispetto a vescovi e preti.
Non ha nascosto il suo disappunto, in un articolo pubblicato su Brasil de Fato (2/8), la nota teologa brasiliana Ivone Gebara, la quale, pur riconoscendo come, «di fronte alle acclamazioni generali», qualsiasi annotazione critica «potrebbe risultare inopportuna», esclama: «Dopo tanti anni di lotta, povera me, se me ne stessi zitta!». La teologa non nasconde la gioia provata «nel sentire la simpatia, l’affetto e la vicinanza» del papa argentino come pure la coerenza di alcune posizioni rispetto alle strutture della Curia romana, ma si domanda: «Come può papa Francesco semplicemente ignorare la forza del movimento femminista e la sua espressione nella teologia femminista cattolica?». Evidenziando come l’abbondante e innovativa produzione teologica femminista continui a risultare «inadeguata per la razionalità teologica maschile» e a rappresentare «una minaccia al potere maschile dominante nelle Chiese», Ivone Gebara denuncia come «la maggior parte degli uomini di Chiesa e dei fedeli» consideri la teologia «una scienza eterna basata su verità immutabili e insegnata soprattutto da uomini», oppure, e in seconda battuta, dalle stesse donne ma «secondo la scienza maschile prestabilita». E, rivolgendosi a Bergoglio, lo invita ad informarsi «su alcuni aspetti della teologia femminista, almeno nel mondo cattolico. Forse – aggiunge – il tuo possibile interesse potrebbe aprire percorsi nuovi per cogliere il pluralismo di genere nella produzione teologica!». Quanto alle parole del papa sulla grandezza di Maria, si tratta ancora una volta, sottolinea, di un’espressione consolatoria astratta della teologia maschile: «Si ama la Vergine distante, e vicina all’intimità personale, ma non si ascoltano le grida delle donne in carne e ossa. È più facile innalzare lodi alla Vergine e inginocchiarsi di fronte alla sua immagine che rivolgere l’attenzione a quel che avviene alle donne in molti luoghi lontani del nostro mondo». Di più: il rischio, a suo giudizio, è che, se Benedetto XVI, «con le sue posizioni rigide», aveva alimentato «una critica del clericalismo e dell’istituzione papale», ora molti fedeli e operatori di pastorale «si abbandonino alla simpatica e amorevole figura di Francesco promuovendo un nuovo clericalismo maschile e una nuova forma di adulazione del papato». «Il momento – conclude – esige prudenza e una critica vigile, non per screditare il papa, ma per aiutarlo» a realizzare «una Chiesa plurale e rispettosa dei suoi molti volti». Ma Ivone Gebara non è l’unica delusa.
Nel suo blog su Religión Digital, la teologa laica Patricia Paz, pur convinta della necessità di condurre una rilettura del ministero ordinato «alla luce del Vangelo e della prassi di Gesù» e dunque «non particolarmente interessata» alla questione dell’ordinazione delle donne, rivolge una critica dettagliata alle parole del papa. «Possono esserci – si chiede – formulazioni definitive in un mondo in cui si scoprono in ogni momento cose nuove e cadono paradigmi di ogni tipo?». E aggiunge: «Che dolore sentire che qualcosa di tanto importante per tanta gente si scontri con una “porta chiusa”! Forse non seguiamo Gesù proprio perché ha aperto tante porte», superando «paradigmi sociali, culturali e religiosi?». E ancora: «Mi risulta inaccettabile continuare a sentir parlare delle donne come se fossimo un gruppo di persone immature che non possono assumere decisioni e hanno bisogno che altri, gli uomini, dicano loro cosa possono o non possono fare. È ora di iniziare a parlare con le donne e non delle donne». Non se ne può più, dice, del fatto «che esaltino la nostra dignità, la nostra importanza, il nostro genio e poi ci escludano». E, infine, «in che senso siamo più importanti dei vescovi e dei preti se manchiamo di autorità e di potere decisionale?».
È quanto sottolinea anche la teologa statunitense Mary Hunt, contestando «la stessa teologia trita e ritrita secondo cui la Vergine Maria è più importante di chiunque altro nella storia» quando «di fatto le donne non possono prendere decisioni a livello ecclesiale né esercitare il ministero sacramentale e neppure compiere scelte etiche». Respingendo qualsiasi esaltazione della donna che non sia accompagnata da «cambiamenti strutturali concreti», la teologa assicura che «le donne non resteranno a guardare passivamente gli uomini, papa compreso, mentre cercano scuse» per il rifiuto dell’ordinazione femminile. (claudia fanti)
da: Adista Notizie n. 29 del 31/08/2013