papa Francesco sette mesi dopo

papa-francesco1

un bilancio provvisorio del pontificato di papa Francesco dopo sette mesi fatta da ‘noi siamo chiesa’:

Papa Francesco sette mesi dopo

Il nuovo papa si è posto al centro dell’attenzione della cultura laica e del mondo cattolico in modo che nessuno poteva prevedere. I sistemi chiusi, almeno nelle dimensioni di vertice (in questo caso il Vaticano, il collegio dei cardinali e molti vescovi) hanno spesso, quasi per loro natura, rotture improvvise e inattese. Molte opinioni circolano underground, sono magari condivise ma poco proclamate. Mi rendo conto che si tratta di un meccanismo poco comprensibile dall’esterno e poco piacevole per chi, dall’interno della Chiesa, chiede sempre trasparenza, discussione aperta, in poche parole democrazia ( parola aborrita dall’establishement ecclesiastico, che preferisce parlare di “comunione”). Evidentemente la circolazione sotterranea è avvenuta se molte delle sensibilità e dei punti di vista dell’area “critica” del cattolicesimo (tra queste, in primis, quelle espresse dal movimento “Noi Siamo Chiesa”) vengono ora a galla con papa Francesco e trovano legittimità e ascolto quando, solo fino a qualche mese fa, erano silenziate con le buone (con la censura) o con le cattive (provvedimenti canonici) maniere.
E l’autorità morale del papa nella Chiesa cattolica ha una tale forza che le sue sole parole, anche se non seguite subito dai fatti, danno la linea.
Ma tutto ciò non basta a spiegare il ciclone Francesco. Il secondo fattore determinante della nuova situazione è dato dalla crisi (diciamo pure dal fallimento) del pontificato di Benedetto XVI, anche per la sua evidente incapacità di governo con la delega disastrosa a Bertone. Non è necessario essere degli informati vaticanisti per affermare che i fatti recenti, da tutti conosciuti e oggetto di uno scandalo conosciuto in tutto il mondo, hanno contato molto. Il Bergoglio candidato bruciato nel conclave del 2005 dalla personalità di Ratzinger e dalle incertezze e paure dei cardinali che volevano continuità dopo papa Wojtyla, si è presentato come la soluzione ottimale per una situazione di emergenza. Uomo del terzo mondo, lontano ed estraneo ai circuiti vaticani e italiani, sempre più torbidi, con una immagine accattivante e impegnato in un approccio pastorale, e non dottrinale, ai problemi, egli ha fatto l’unità della destra e della sinistra e, a quanto si capisce, soprattutto dei cardinali sparsi nel mondo. Per capire veramente la situazione bisogna tenere ben presente che il candidato alternativo era Scola; sarebbe stata una soluzione meno che mediocre, forse capace di un po’ di pulizia interna ma autoritaria, autoreferenziale e continuista. Questa candidatura, si suppone, non è veramente decollata sia perché troppo sponsorizzata da Ratzinger (col trasferimento da Venezia a Milano) sia perché percepita come, comunque, italo-vaticana, e quindi, nella situazione del marzo 2013, da contrastare.

Francesco e l’opinione laica
La prima evidente reazione di quella opinione laica che segue distrattamente l’universo cattolico è stata di meraviglia per la rapidità e l’efficienza dell’esito del conclave. La contraddizione con la situazione della politica italiana, impantanata dopo le elezioni di febbraio, ha creato invidie a non finire. Ma la sorpresa, dopo la percezione che qualcosa di sostanza cambiava veramente in campo cattolico, è stata la lettera di papa Francesco a Scalfari e la successiva intervista. La differenza dalla situazione di prima è più che evidente: basta relativismo, basta radici cristiane dell’Europa, primato della coscienza, nuovo rapporto con la modernità, nessuna pretesa di pretendere una verità assoluta, dialogo alla pari con i non credenti, la figura di Gesù come dominante e la Chiesa come comunità e via di questo passo. Niente di eretico ma ispirazioni e verità che furono riscoperte dal Concilio Vaticano II e che ora sono rilanciate da Francesco (si tratta della “brace sotto la cenere” di cui parlava l’ultimo Martini) .
Lo sconcerto del mondo cattolico ufficiale è testimoniato dal fatto, sfuggito agli osservatori, che l’Avvenire (il giornale dei vescovi) relegava la notizia della lettera e dell’intervista in un modesto articolo nelle pagine culturali. Ora la cultura laica è da una parte spiazzata, abituata com’era alla ripetitività del contrasto e delle polemiche,dall’altra è messa alla frusta, deve accettare la sfida e, a sua volta, ripensare ai suoi tradizionali criteri critici di giudizio sul rapporto tra la Chiesa e la modernità, sulla religione come causa di sterilizzazione dell’azione dei credenti nel mondo, sulla sua permanente diffidenza nei confronti della scienza e via di questo passo.

Francesco e i vescovi italiani
Ma c’è un problema evidente: in Italia? E’ forse sfuggita la notizia, sostanzialmente censurata dalla stampa cattolica, ma veicolata dall’autorevolissima penna di Massimo Franco (“Corriere” del 29 settembre) di un rapporto nuovo che Francesco ha aperto coi vescovi italiani . Essi sono stati sollecitati ad uscire dalla gestione autoritaria di Ruini (continuata, nella sostanza, da Bagnasco) e a prendersi le loro responsabilità, ad organizzare il ruolo delle Conferenze episcopali regionali, a fermare “l’elefantiasi che ha reso l’episcopato burocratico e autoreferenziale”, a ridurre il verticismo, ad occuparsi delle questioni politiche senza passare dalla segreteria di stato, a pensare a ridurre il numero delle 224 diocesi e via di questo passo. Sullo sfondo c’è la possibilità che i vescovi debbano in futuro eleggersi il proprio Presidente (ora è nominato dal papa, caso unico in tutta la Chiesa). Adesso i vescovi si trovano, a loro volta, spiazzati. Devono incominciare ad abbandonare l’abitudine di essere privi di opinioni generali (o di non manifestarle) sulle grandi questioni pastorali (finora tutte demandate a Roma, o al Vaticano o alla CEI) per occuparsi solo dell’ordinarissima amministrazione diocesana.

Tutto è rimesso in movimento nella Chiesa
Ma le conseguenze più importanti dell’arrivo di Bergoglio interessano il corpo della Chiesa, tanto strutturato e verticistico ma, per questo motivo, anche tanto capace di recepire stimoli che rispondano a bisogni profondi, a sensibilità inespresse e che siano omogenei con prassi già silenziosamente diffuse in tante parti vicine o lontane dell’universo cattolico, come quelle che riguardano l’amministrazione dei sacramenti, la liturgia ecc…
Il messaggio di Francesco ignora o trascura i principi, le definizioni, le identità, le appartenenze e mette in primo piano le sofferenze e le gioie, i sentimenti, la solidarietà, lo spirito di comunità….. Si tratta del cd approccio “pastorale” che dovrebbe costituire il senso stesso dell’essere chiesa, la costante dell’intervento di quanti hanno la responsabilità di gestire le comunità (parrocchie, scuole cattoliche, interventi caritativi…).
Prendono allora importanza nella Chiesa quelli che ordinariamente non hanno voce, ci si preoccupa delle “periferie esistenziali” mentre la gestione del denaro, che impegna troppe energie quotidiane nella Chiesa, deve diventare un problema di serie B o di serie C . Di Chiesa povera e dei poveri bisogna non solo parlare, tutte le strutture della Chiesa devono diventare più protagoniste e il dispotismo papale viene indirettamente messo in discussione, la guerra e la pace ritornano al centro delle preoccupazioni della chiesa universale. La linea non è “rivoluzionaria” , è sostanzialmente quella indicata dal Vaticano II, è abbastanza la linea del Card. Martini.

Il “dissenso” e la destra
Anche se se ne parla poco, sono in tanti nella Chiesa a cercare di capire come posizionarsi. Francesco corre, probabilmente si rende conto che non ha tempi indefiniti per realizzare una svolta, morbida fin che si vuole, ma svolta. L’area che da anni critica e propone, rifacendosi da una parte al Concilio e dall’altra a prassi e forme di vita cristiana dei primi tre secoli e che ha dato vita alla teologia della liberazione, ha già assunto una, quasi generalmente condivisa, posizione di accettazione, a volte entusiasta, della nuova linea. Essa continua a proporre cercando di alzare il tiro, per esempio chiedendo in tempi rapidi il superamento del sistema attuale di nomina dei vescovi che è ora riservata in modo esclusivo al papa per le diocesi di tutto il mondo. Si aspetta di avere una esplicita riabilitazione della teologia della liberazione, dopo che Bergoglio ha ricevuto il suo principale ispiratore Gustavo Gutierrez.
Per i fondamentalisti ed i movimenti, la situazione è opposta. Secondo logica, la loro è una condizione di disagio con il nuovo pontificato, tanto sono distanti i nuovi input dalle loro culture. Come reagirà la destra cattolica? Premesso che i lefevriani sono completamente fuori gioco fino ad ora le reazioni più pesanti sono state marginali anche, si pensa, perché è stata presa in contropiede dopo avere avute tutte le porte aperte sotto gli ultimi due papi. Non è pensabile che la svolta sia indolore e non ostacolata. Si tratterà di vedere come e quando nasceranno gli ostacoli principali per papa Francesco, quanto questa opposizione sia forte nelle strutture organizzate della Chiesa e quanto riesca a contare a fronte di un’opinione pubblica cattolica di base che pare, a oggi, largamente favorevole al nuovo corso. Certamente conteranno i tempi. Più saranno rapidi meglio sarà. Credo che Francesco sia del tutto consapevole di questa necessità e che si stia comportando in modo conseguente, come si può dedurre anche dagli interventi sulle questioni che riguardano tutte le strutture della finanza vaticana.

Milano, 12 ottobre 2013 Vittorio Bellavite