preti e laici di Lucca scrivono al papa
dopo le parole, la richiesta di riforme vere
preti e laici della diocesi di Lucca scrivono al papa e lo invitano alla coerenza su: collegialità, ruol0 della donna nella chiesa, preti sposati, finanza
Lo hanno preso sul serio, papa Francesco, quando parla di collegialità, quando sostiene che «il vero potere è il servizio» che ha «il suo vertice luminoso sulla Croce» e che, in quanto servizio, rimanda all’idea di «azione di governo» come «amministrazione», piuttosto che come imperium. Lo hanno preso sul serio, e gli hanno scritto, inviando a lui, ai vescovi toscani ed alla stampa le loro richieste di riforma nella vita della Chiesa. Sono un’ottantina di credenti della Versilia, la cui riflessione è stata guidata ed animata da tre preti piuttosto noti in zona: don Lenzo Lenzi, storico della Chiesa, esperto in particolare delle vicende ecclesiali del lucchese, parroco dei Sette Santi alla Darsena (la parrocchia cui appartiene anche la Chiesina del Porto, costruita da don Sirio Politi e dove giacciono le sue spoglie), animatore nel 2012 di una campagna di boicotaggio che ebbe una certa eco in zona e che chiedeva ai parrocchiani di evitare bar ed esercizi commerciali che ospitavano videopoker; don Antonio Tigli, già assistente nazionale dell’Azione Cattolica Ragazzi tra gli anni ‘70 e ‘80 ed attuale parroco a Don Bosco; don Bruno Frediani, da sempre a fianco dei migranti, ma anche fondatore e presidente del Ce.I.S. Gruppo “Giovani e Comunità” di Lucca (che si occupa di disagio, emarginazione, tossicodipendenza, ma anche di assistenza domiciliare, agricoltura biologica, turismo sociale). Alla stesura definitiva del testo ha contributo anche un laico, Pierangelo Sordi, collaboratore del settimanale diocesano di Pontremoli, il Corriere Apuano.
Il documento si inserisce sulla scia di analoghe iniziative di tante comunità di credenti, in varie parti di Italia: la prima fu quella della “Lettera alla Chiesa Fiorentina”, del 2007; nello stesso anno ci fu quella promossa da un gruppo di credenti poi riunitosi sotto la sigla “chiccodisenape” a Torino; e, più recentemente, la lettera dei gruppi aderenti alla Rete dei Viandanti inviata a tutti i vescovi italiani (v. Adista Notizie n. 11/13). «Noi riteniamo necessario – scrivono i cattolici della Versilia – che quei gruppi divengano sempre più numerosi; che i loro membri siano collaboratori attivi di parroci di grandi o piccole parrocchie, o che lavorino nelle Curie vescovili. Così approfondiranno le loro convinzioni sulla necessità di riformare la vita della Chiesa, le potranno comunicare nei modi più ampi possibili ai credenti che ancora non vedono tali necessità e le potranno inviare ai vescovi locali e alla S. Sede».Del resto, sottolineano, basta leggere il comma 3 del canone 212 del Codice di Diritto Canonico – il quale afferma che i fedeli hanno «il diritto, e anzi talora anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto anche agli altri fedeli» – per capire che tali iniziative non si iscrivono nell’alveo di alcuna contestazione o disobbedienza; ma nel legittimo, e anzi doveroso, esercizio del carisma laicale e presbiterale.
Meno papa, più sinodo
La riflessione parte così affrontando anzitutto l’attualissimo tema della collegialità: i firmatari chiedono che, nella preparazione di un sinodo, «le elezioni delle Conferenze episcopali non debbano essere approvate dal papa; che ai vescovi elettori ed eletti al sinodo sia data ampia libertà di indicare alcuni problemi che il sinodo potrà discutere, di presentare i propri modi di vedere i problemi proposti ai padri sinodali dalla S. Sede, i propri modi di affrontarli per cercare di risolverli». «Inoltre, si ritiene necessaria la pubblicazione integrale degli Atti dei Sinodi episcopali, delle discussioni e delle decisioni, in modo che sia possibile a tutti informarsi totalmente dei lavori sinodali».Si passa poi alla elezione del papa. Qui il documento chiede «che si abbandoni la prassi di eleggere necessariamente un cardinale» e che il papa «venga eletto non dai cardinali, ma dai vescovi dell’ultimo sinodo convocato, o da un gruppo di vescovi residenziali, anche non cardinali, eletti ogni 3-5 anni dalla Conferenza episcopale del proprio Stato (o di gruppi di Stati) e pronti, anche nel caso di morte improvvisa del papa, a venire a Roma ad eleggere il successore, essendosi tenuti informati delle persone più adatte a venire elette papa». Infine, si legge nel documento, «non si capisce quali siano i motivi per i quali la legge delle dimissioni dei vescovi al compimento dei 75 anni non valga anche per i papi, che sono tali solo perché vescovi di Roma. Per cui sarebbe del tutto logico che quella legge fosse obbligante anche per loro, ovviamente sottoposti, come tutti, ad infermità ed invecchiamento».
Trasparenza finanziaria e solidarietà
Altra vexata quaestio, quella delle finanze vaticane. La riforma profonda dello Ior, sostengono i credenti della Versilia, appare indispensabile e non più prorogabile. Riteniamo necessario «che lo Ior pubblichi integralmente il proprio bilancio, che sia orientato alla massima trasparenza e segua non soltanto le normative europee, ma si attenga alle disposizioni delle banche etiche. Queste non finanziano né la malavita, né la produzione di armi, né, in generale, tutto ciò che è contro l’essere umano». Per quanto riguarda l’immenso patrimonio immobiliare di proprietà della S. Sede, dai cui affitti si trae «un guadagno immenso», «utilizzato soltanto per i sacerdoti e per le diocesi senza dare conforto ai bisognosi di qualsiasi nazionalità», serve – afferma il documento – «una gestione trasparente. La maggior parte degli immobili proviene infatti da donazioni lontane nel tempo ed una rendicontazione puntuale si rivela indispensabile. La stessa necessità di trasparenza richiede una struttura efficiente con ampio uso di persone e mezzi». Certo, è pur vero che «nei confronti dell’intera umanità, la S. Sede ha il dovere di conservazione di opere artistiche, sia pittoriche, che scultoree, che architettoniche», ha «il dovere di contribuire allo sviluppo della cultura, continuando ad arricchire di volumi e di carte la Biblioteca Apostolica Vaticana e l’Archivio Vaticano», ma
tutto questo deve avvenire «con azioni che siano insieme ragionevoli e, ancora una volta, trasparenti». Inoltre, i firmatari chiedono anche «che la S. Sede studi la possibilità di utilizzare capitali per la vita interna della Chiesa, per dare aiuti maggiori, rispetto a quanto avvenuto fin qui, ai disoccupati, alle famiglie in difficoltà, ai popoli che hanno ancora un tenore di vita bassissimo, che mancano di istituzioni ospedaliere, che non hanno la possibilità finanziaria di acquistare farmaci già in uso da anni da popolazioni più ricche e che soffrono per questi e molti altri problemi».
Donne, preti sposati e formazione
Dopo aver analizzato alcune questioni di organizzazione interna della Chiesa italiana, suggerendo la riduzione del numero delle diocesi e l’accorpamento di molte parrocchie, il documento avanza proposte molto coraggiose, come l’abrogazione dell’obbligo del celibato per i presbiteri e la necessità di «promuovere le donne al diaconato (il concilio Ecumenico di Calcedonia del 451, canone XV, dà norme sulle diaconesse, che quindi esistevano) e al presbiterato», non tanto «come soluzione alla scarsità dei presbiteri», ma proprio a motivo dell’atteggiamento di Gesù «nei confronti delle donne e del loro modo di essere presenti, partecipi e protagoniste nelle comunità apostoliche». Collegato a questo tema, inevitabilmente, c’è quello della formazione dei candidati a diventare presbiteri. «Gli uomini, giovani e adulti, che vengono ordinati oggi, spesso hanno ricevuto la formazione in un movimento di forte intensità religioso-devozionale, hanno una spiritualità individualistico-intimista, sussiste in molti una mentalità profana con un alto tasso di ignoranza sul ruolo dei laici nella Chiesa, sul ministero sacro come servizio a tempo pieno e non a orario da impiegati». Nell’attesa di una riforma complessiva dei criteri di accesso al sacerdozio e della formazione dei candidati, il documento suggerisce «l’ordinazione al presbiterato di uomini sposati, preferibilmente non sotto i quaranta anni e non oltre i cinquantacinque».Bilanci parrocchiali e politica ai laiciSulla questione della partecipazione dei laici alla vita delle comunità parrocchiali e diocesane, il documento non si spinge fino a chiedere la perfetta orizzontalità tra laici e consacrati, con i parroci ed i vescovi primi inter pares all’interno degli organismi pastorali (eppure, i più significativi esperimenti di Chiesa conciliare realizzata furono proprio quelli che tra gli anni ‘70 ed ‘80 videro preti e parrocchiani lavorare in maniera paritetica – e su tutti i temi – all’interno dei consigli parrocchiali e diocesani); auspicando piuttosto una legge che imponga ai parroci «di affidare tutto il lavoro amministrativo, compresa la pubblicazione del bilancio annuale della parrocchia, a dei laici competenti e di fortissima moralità». Per poi concludere che «la corresponsabilità dei laici, quindi, deve essere non solo tollerata, ma promossa».