qualcosa sembra che cambi davvero nella chiesa!

 

LA LOTTA DEI MOVIMENTI FA BENE ALL’UMANITÀ
L’INCONTRO DELLE ORGANIZZAZIONI POPOLARI IN VATICANO

sinodo

 

 

 

 

questa sembra davvero la volta buona, che qualcosa cambi davvero nella chiesa! Il pontificato di papa Francesco sembra procedere lentamente ma coerentemente verso un cambiamento: sembra rappresentare un ‘cambiar verso’ non alla Matteo Renzi ma averso la direzione giusta

il grande evento dei giorni scorsi ne è la dimostrazione più evidente: l’evento che  ha visto protagonisti i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo convenuti a Roma per l’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi, con l’appoggio esplicito di papa Francesco

di seguito la bella sintesi che dei lavori e delle presenze assolutamente impensabili prima di ora hanno fatto Claudia Fanti e Alberto Bobbio:

 

 È stato un momento storico, come l’ha definito Ignacio Ramonet sottolineando che qualcosa sta cambiando nella Chiesa e sta cambiando «nella direzione giusta», quello che ha visto protagonisti i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo convenuti a Roma per l’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi, con l’appoggio esplicito di papa Francesco.

Un momento storico perché mai prima d’ora si era svolta in Vaticano e con l’avallo del pontefice un’assemblea che si può considerare come una sorta di Forum Sociale Mondiale, convocato con il preciso obiettivo di individuare le cause strutturali dell’esclusione e i modi per combatterle, tracciando nuovi cammini di inclusione sociale, a partire da tre grandi tematiche: Pane (lavoratori dell’economia informale, giovani precari e nuova problematica del mondo del lavoro); Terra (contadini, problematica ambientale e sovranità alimentare, agricoltura); Casa (insediamenti informali e problematica delle periferie urbane).

Un incontro inteso come una grande esperienza di dialogo, punto di partenza del processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa, come ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, introducendo i lavori. Un incontro, ha spiegato il cardinale, che non può non richiamarsi all’insegnamento di Giovanni XXIII, il quale «voleva che la Chiesa tenesse le finestre spalancate sul mondo», nella convinzione che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco» nel cuore dei discepoli di Cristo. E, a distanza di quasi 50 anni dalla chiusura del Concilio, «è questo – ha evidenziato Turkson – il motivo principale per cui vi abbiamo invitato qui», rispondendo all’esortazione rivolta dal papa alla Chiesa e al mondo tutto ad ascoltare il grido dei poveri e degli esclusi, i quali devono essere, ha sottolineato il cardinale, «non semplici e passivi destinatari di elemosine altrui», ma artefici della propria vita, protagonisti della ricerca di una vita più dignitosa e di un diverso modello di sviluppo. 

vedere…

Un protagonismo di cui i rappresentanti dei movimenti presenti hanno dato senz’altro grande prova, raccontando le proprie esperienze di lotta e di liberazione, in base al programma del primo giorno dei lavori, quello destinato a mettere a fuoco la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti, secondo il metodo, proprio della teologia latinoamericana, del vedere-giudicare-agire.

A prendere la parola sono stati quindi i/le rappresentanti del popolo degli esclusi, a cominciare dalla cilena Luz Francisca Rodriguez, di Via Campesina Internazionale, la quale ha espresso tutto l’orgoglio dell’identità contadina, della missione – la più nobile che vi sia – di garantire alimenti sani per tutta l’umanità, proteggendo al contempo la Madre Terra. Ma anche denunciando l’avanzata senza freni del capitale sulle campagne; la mancanza di adeguate politiche agrarie da parte dei governi; il disprezzo nei confronti delle conoscenze e delle culture contadine; il ruolo di una scienza al servizio del capitale, disposta persino a mettere a repentaglio la vita, attraverso per esempio l’imposizione delle colture transgeniche.

E non si poteva parlare di Terra, di Pane e di Casa, senza affrontare il nodo dell’emergenza ambientale e climatica, «un problema – ha sottolineato l’esperto di cambiamenti climatici Veerabhadran Ramanathan – che si trasformerà ben presto in un disastro». Per risolverlo, secondo Ramanathan, occorre operare profondi cambiamenti nel nostro atteggiamento nei confronti della natura e degli altri, in una mobilitazione che non può fare a meno dell’aiuto dei leader religiosi. È un problema, peraltro, che chiama in causa la giustizia, dal momento che, ha evidenziato, i tre miliardi di poveri che contribuiscono alle emissioni di gas ad effetto serra per meno del 5% sono anche quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale. 

E a indicare i veri colpevoli ci ha pensato Silvia Ribeiro dell’Etc Group, ricordando come l’1% più ricco dell’umanità controlli quasi il 50% della ricchezza globale e come al 70% della popolazione mondiale resti meno del 3% delle ricchezze. «Gli esperti chiamano Antropocene l’attuale fase planetaria, per sottolineare l’impatto dell’umanità sulla vita della Terra. Non sono d’accordo», ha concluso: «Quella attuale è l’era della plutocrazia, quella in cui 85 miliardari, da soli, consumano risorse quanto la metà della popolazione mondiale».

… giudicare…

La seconda giornata dei lavori ha avuto il suo culmine nell’incontro con papa Francesco che ha esordito riconoscendo il protagonismo dei poveri, i quali, ha sottolineato, non sono solo coloro che soffrono l’ingiustizia, ma anche coloro che lottano contro l’ingiustizia, che non aspettano passivamente gli aiuti degli organismi internazionali, che non attendono da altri soluzioni che non arriveranno mai.  

Questo incontro, ha evidenziato, esprime l’anelito concreto verso quei «diritti sacri» che devono essere garantiti a tutti: terra, casa, lavoro. E a chi dice che «il papa è comunista» non si può non ricordare che «è questo il fulcro del Vangelo». 

Al principio, ha sottolineato il papa soffermandosi sul primo di questi «diritti sacri», Dio ha creato l’essere umano come custode del creato. Un compito che viene tradito con l’accaparramento di terre, con la deforestazione, con l’appropriazione delle fonti d’acqua, con la trasformazione del cibo in merce. Contro tutto ciò, il papa ha dichiarato con forza che «la fame è un crimine», «l’alimentazione è un diritto inalienabile», «la riforma agraria è non solo una necessità politica, ma un obbligo morale». 

Quanto alla casa, il secondo dei diritti sacri, ha ricordato che le città che conosciamo, nel momento stesso in cui offrono tutti i servizi possibili a una minoranza ricca, negano un tetto a migliaia di abitanti, chiamati elegantemente «persone di strada»: è incredibile – ha notato il papa – quanto proliferino gli eufemismi nel mondo dell’ingiustizia. E come, dietro a ogni eufemismo, si nasconda sempre un crimine. Basti pensare alle tristi immagini degli sgomberi forzati, così simili a «immagini di guerra».

Infine, il lavoro: «Non esiste peggiore povertà materiale di quella che impedisce alle persone di guadagnarsi il pane», come conseguenza di un sistema economico che pone gli interessi privati al di sopra della persona e dell’umanità, e come espressione di una cultura dello scarto che trasforma l’essere umano in un bene di consumo, in nome «di un sistema che mette al centro il dio Denaro». Un’aggressione a cui in tanti rispondono reinventandosi un’occupazione nell’ambito dell’economia popolare e del lavoro comunitario e questo, ha detto il papa, «non è solo lavoro, è poesia».

E, per finire, un’esortazione ai movimenti popolari, perché continuino a organizzarsi, rivitalizzando le nostre democrazie, in maniera che non vi sia più nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza diritti. «Voi avete i piedi nel fango, sapete di polvere di strada, di popolo, di lotta. Senza di voi – ha detto – tutti i buoni propositi dei discorsi ufficiali rimangono lettera morta»: «Continuate a lottare perché la vostra lotta è una benedizione per l’umanità».

E se una delle grandi sfide dei movimenti popolari è, come ha evidenziato Margaret Archer, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, quella di tradursi in «forma legittima di governo», secondo il principio di «una democrazia partecipativa che trasmetta dal basso verso l’alto le esigenze dei poveri», nessuno era più indicato di Evo Morales, leader cocalero diventato presidente della Bolivia, per affrontare la questione.

Ed è con il suo racconto dell’esperienza di rifondazione della Bolivia che si è conclusa la seconda giornata dei lavori, evidenziando la necessità per i movimenti di passare dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale, in nome di una democrazia che rappresenti gli interessi del popolo e non del mercato e che sia dominata non dalla logica della maggioranza e della minoranza, ma da un processo decisionale fondato sul consenso. 

Ma se apprezzatissimo è stato il discorso del papa, non sono comunque mancate critiche all’istituzione ecclesiastica: al ruolo da questa giocato nel passato, nei confronti per esempio dei popoli indigeni, e nel presente, riguardo, ad esempio, al sostegno prestato al colpo di Stato in Honduras, sulle cui conseguenze si è soffermata un’appassionata lettera consegnata a papa Francesco dal Copinh (Consejo civico de organizaciones populares e indigenas de Honduras) e letta in plenaria dalla dirigente Berta Caceres: «Vogliamo che in Honduras – si legge nella lettera – rinasca una Chiesa impegnata con i più impoveriti e le più impoverite, come auspicavano i nostri santi e i nostri martiri, da p. Guadalupe Carney a mons. Romero, non con cardinali che concedono la loro benedizione a colpi di Stato e a sistemi di potere che perseguitano quanti percorrono il cammino di liberazione all’interno della stessa Chiesa». Dove il riferimento è chiaramente al card. Rodriguez Maradiaga, ribattezzato dal suo popolo, all’epoca del colpo di Stato, “cardinale golpista” o “cardeMal”, per il suo aperto appoggio al regime golpista, e poi scelto da papa Francesco per presiedere il gruppo di cardinali incaricato di elaborare un progetto di riforma della Curia. 

agire!

L’ultimo giorno dei lavori è stato invece incentrato sull’elaborazione e la discussione dei documenti finali dell’incontro, quelli ad uso interno come pure la Dichiarazione finale dell’incontro dei movimenti popolari (che può essere letta sul sito www.movimientospopulares.org). Né è mancata una sintesi di tutto il dibattito svoltosi nell’ultimo giorno, affidata a João Pedro Stedile, leader del movimento dei Senza Terra, e a Paola Estrada, dell’Alba dei movimenti, e articolata attorno ai tre ambiti tematici della terra, del lavoro e della casa.

Così, rispetto alla Terra, il proclama «non vi sia nessun contadino senza terra» va affiancato a quello «nessun popolo senza il suo territorio»: i movimenti popolari sono chiamati a lottare per una Riforma Agraria Popolare, integrale, democratica, centrata sulla sovranità alimentare, sull’accesso universale all’acqua, sul controllo delle sementi, sull’agroecologia, sulla produzione di alimenti sani per tutto il popolo. 

E poi, sviluppando il principio «non vi sia nessun lavoratore senza diritti», occorre lottare perché tutti abbiano diritto a un lavoro degno e a un reddito tale da garantire una vita dignitosa, perché a tutti vengano riconosciuti i diritti del lavoro e perché tutti possano trovare lavoro nei propri luoghi di vita, senza essere costretti ad emigrare. Ma i movimenti sono anche chiamati a lottare contro ogni forma di discriminazione e ogni forma di schiavitù e a denunciare la subordinazione di Stati, governi e sindacati agli interessi delle transnazionali.

In base quindi al principio «non vi sia nessuna famiglia senza una casa dignitosa», i movimenti si impegnano, tra l’altro, a trasformare le periferie degradate in spazi comunitari di solidarietà e buen vivir, a combattere la speculazione finanziaria e immobiliare, a promuovere processi di autogestione cooperativa, a lottare per il diritto al ritorno di tutte le popolazioni sfollate, a difendere occupazioni collettive di edifici e di terreni inutilizzati per risolvere il problema della casa. 

Accanto a questi, altri impegni sono stati proposti dai rappresentanti dei movimenti, come la creazione di una rete di solidarietà che consenta di mobilitarsi contro ogni caso di ingiustizia e di persecuzione in qualsiasi Paese del mondo, la collaborazione con tutte le tradizioni religiose per coscientizzare il popolo sulla necessità dell’organizzazione, il ricorso all’insegnamento di papa Francesco per diffondere tra i popoli l’esigenza di lottare per i cambiamenti necessari nel mondo, la promozione di nuovi modi di consumo e di nuovi stili di vita, in maniera, ha evidenziato Stedile, che «nessun lavoratore insegua il sogno di diventare un piccolo borghese». Infine, l’accento dei delegati è stato posto sulla necessità di continuare a riunire i settori organizzati in lotta per la terra, il lavoro e la casa, di creare una piattaforma di comunicazione tra i partecipanti per la promozione di azioni comuni, di mantenere un dialogo continuo con papa Francesco in vista della creazione di un’istanza di collaborazione permanente. (claudia fanti) (Rimandiamo alla nostra pagina Facebook per la lettura integrale dei resoconti della nostra redattrice)

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Per tre giorni l’Incontro mondiale dei Movimenti Popolari: da Banca Etica ai Sem Terras ai centri sociali italiani un centinaio di sigle portano le voci delle periferie in Vaticano.

Alberto Bobbio
Si chiama Incontro mondiale dei Movimenti popolari e si svolge in Vaticano per tre giorni da lunedì 27 ottobre coordinati dal Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace e dalla Pontificia Accademia delle scienze. In pratica è il Social Forum mondiale che si trasferisce da papa Francesco. E’ lui che ha voluto far incontrare e parlare con loro, le organizzazioni di base che lavorano nell’ambito della giustizia sociale e che di solito non hanno alcun riconoscimento da parte delle istituzioni. Sono un centinaio di sigle di tutto il mondo, a loro volta rappresentanti di reti nazionali e internazionali, che operano nei Paesi ricchi e nel Terzo Mondo e che una volta all’anno si trovano nel “Social forum”, una sorta di congresso- happening, nato in Brasile a Porto Alegre anni fa con lo slogan “Un altro mondo è possibile” per poter contrastare le analisi dei banchieri e degli imprenditori globali riuniti ogni anno a Davos in Svizzera. Al Social Forum da dieci anni partecipano anche alcune organizzazioni cattoliche, tra cui Caritas italiana, sacerdoti, missionari e vescovi.

L’incontro che si apre lunedì in vaticano si intitola “Terra, Domus, Labor”. Bergoglio li conosce bene perché quando era arcivescovo di Buenos Aires creò un apposita vicaria per coordinare con loro il lavoro della Chiesa per i poveri. Scorrendo l’elenco si rimane sorpresi. Tra i movimenti italiani, oltre a Banca etica e all’Associazione Trentini nel mondo, che si occupa di cooperazione internazionale, c’è il centro sociale Leoncavallo di Milano, uno dei centri sociali storici del nostro Paese, e la rete “Genuino Clandestino”, un network di centri sociali che coordina i No-Tav e i movimenti No Expò, bocciato con lo slogan “Affamare il pianeta, energie per le lobby”. Genuino Clandestino nasce nel 2010 per sostenere il cibo contadino contro la grandi industrie alimentari dell’agrobusiness e contro i sistemi ufficiali di certificazione, ma è diventato via via una rete in cui convivono molte iniziative, si legge nella presentazione in rete, “fiero di essere clandestino” e di portare “avanti le sue lotte e la sua esistenza con o senza il consenso della legge”.
E c’è anche “Ri-Maflow” il progetto degli operai licenziati dalla Maflow, una multinazionale a capitale italiano e stabilimenti in tutto il mondo, nel cui sito di Trezzano sul Naviglio lavoravano 330 persone, una fabbrica ridotta al fallimento non già per crisi industriale ma per speculazione finanziaria e chiusa definitivamente nel dicembre 2012, che si sono riappropriati della fabbrica, decisi a dimostrare che una fabbrica autogestita, senza padroni e senza sfruttamento, può funzionare. Ci sono  gli “Indignados” spagnoli e la rete di “Democracia Real YA”, il nucleo storico degli indignados quelli che diedero il via al movimento occupando nel 2011 per molti giorni Puerta del Sol a Madrid. Dalla Spagna arriva, oltre la Gioventù operaia di Azione Cattolica, anche Enhe Bizkaia, il sindacato basco che esprime le posizioni del braccio politico dei separatisti. C’è il network internazionale di Via Campesina nelle sue varie articolazioni nazionali, a partire dall’associazione francese di José Bové, che anni fa guidò il movimento contadino d’Oltralpe nelle rivendicazioni contro la multinazionali del cibo e il governo di Parigi, e diventò un eroe nazionale quando assaltò insieme ad altri un McDonald’s a Millau, dove venne arrestato.
Il comunicato con  il quale il Vaticano ha annunciato l’incontro è firmato anche da Joao Pedro Stédile, leader dei Sem Terra brasiliani e coordinatore di Via Campesina Internacional, uno dei movimento sociali più influenti e potenti in Brasile. Stédile ha scritto alcuni anni fa che “un movimento contadino che contesta le classi dirigenti può considerare un trionfo il semplice fatto di esistere”. Poi c’è United Steelworkers, il maggiore sindacato americano del settore industriale impegnato per globalizzare le lotte dei lavoratori contro le multinazionali e per creare un’organizzazione mondiale di sindacati più incisiva nella difesa dei diritti dei lavoratori cosa che oggi non accade poiché i capitali sono globali mentre il lavoro è nazionale.
L’elenco comprende moltissime organizzazioni impegnate nella difesa delle sovranità alimentare dei popoli in tutti i continenti, tutte le associazioni che lottando in Africa contro il “land grabbing”, cioè l’acquisto di enormi appezzamento per culture intensive da destinare quasi sempre ai biocarburanti. Ci sono le comunità indigene, il coordinamento delle donne rurale di moltissimi Paesi, le organizzazioni che curano l’accesso al credito contro le regole delle grandi banche. Ma c’è anche la Cut, il potente sindacato brasiliano, il coordinamento dei movimento che in Grecia hanno contribuito al successo di Tzipras, i cartoneros e le empresas recuperadas argentina che hanno permesso a molta gente di sopravvivere con il riciclaggio di ogni cosa alla terribile crisi di Buenos Aires.
Il leader di questi movimenti argentini Juan Grabois, amico di Bergoglio dai tempi di Buenos Aires, e avvocato dei cartoneros era presente in Vaticano venerdì scorso alla conferenza stampa di presentazione dell’incontro: “Papa Francesco non si dimentica di noi, cioè di chi lotta, senza superbia, ma con coraggio, senza violenza, ma con tenacia per la dignità che ci hanno rubato e la giustizia sociale”.

Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze ha spiegato che il Papa “non teme la politicizzazione, anzi questa è necessaria perché i politici si rendano conto dei problemi e dunque ci vuole una certa pressione”. Sorondo ha aggiunto che “diverse conferenze episcopali e vescovi non  sono consapevoli del problema”. Anche il cardinale  AppiahTurkson, presidente del Pontifico Consiglio della giustizia e della pace, allontana rischi di strumentalizzazione e le critiche che si tratta soprattutto di movimenti di sinistra: “Beati i poveri è una frase del Vangelo”. Sorondo ha ricordato che “il papa ha detto che sono i marxisti ad aver rubato la bandiera” e che lo stesso Bergoglio ha detto di non essere “trotskista, ma ha molti amici trotskisti”.
In Vaticano dovrebbe esserci anche Evo Morales, il presidente boliviano, che viene però come leader storico dei cocaleros boliviani, il movimento dei contadini che hanno rivendicato in passato la coltivazione della foglia di coca, come coltura nazionale e non come base del narcotraffico. Per la prima volta nella storia della Chiesa, fa notare Frei Betto, il sacerdote domenicano brasiliano uno dei leader della teologia dalla liberazione, “il Papa cambia interlocutori e ascolta coloro che veramente rappresentano i poveri”. Frei Betto ricorda che l’unico precedente è stato un incontro di Karol Wojtyla nel 1980 durante il primo viaggio in Brasile nella cappella del Collegio Santo Americo a San Paolo con alcuni sindacalisti, tra cui Lula, “ma si trattò di un incontro protocollare”.

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