quando i politici hanno il coraggio dell’onestà …

monsignor Galantino ha ragione: la politica harem di cooptati e furbi

 

GALANTINO
 

 monsignor Galantino ha ragione. “Un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi “. Non avrei trovato definizione migliore. Nessuno escluso.

La politica vista da dentro, vissuta nei corridoi e nelle stanze fumose alle quali non hanno accesso nemmeno i più vispi sguardi e le orecchie più attente del giornalismo nostrano, è uno spettacolo deprimente, un esercizio di cinismo e ambizioni personali che nulla hanno a che vedere con l’ispirazione e la speranza per la quale molti di noi si sono avvicinati all’impegno civile e politico.

Non si prova solo nostalgia per De Gasperi, (come per Dossetti, La Pira, Zaccagnini e tanti altri), per il loro pensiero e per i maestri che lo hanno ispirato, ma si prova inquietudine e profonda solitudine in un ambiente dominato da metodi spietati di prevaricazione sull’altro e da un certo pragmatismo avaloriale che nel migliore dei casi induce al disincanto se non all’adattamento. Qui il cristiano – ma qualunque altro cercatore di Dio – impegnato in politica non può che sentirsi straniero, come nella lettera a Diogneto.

“Il nichilismo e il sarcasmo regnano nelle nostre società”, scriveva profeticamente Olivier Clément. Oggi assistiamo a una politica show business in cui conta apparire, in cui si ricerca continuamente la telecamera e la visibilità, in cui assurgono al ruolo di leader coloro che collezionano più presenze nei talk show, si ricerca la battuta che funziona in tv, al fine di mera promozione di un individualismo o di un consorzio di individualismi si creano movimenti , partiti e correnti fino ai tormentoni, gli slogan. Nel vuoto culturale ed ideologico conta solo l’appartenenza, fedele, scaltra, furba a filiere personali e alle opportunità del momento.

Così la superficialità diventa un paradigma, ricercata e calcolata finemente da un consigliere comunale milanese e dai suoi tristi epigoni locali a Roma e in giro per l’Italia, o dai vari populisti che da eroi dei due mondi o semplici leoni da tastiera decidono di puntare tutto sul risentimento, sul razzismo latente e sulla disinformazione, niente più logos, solo pathos, “è talmente sconvolgente che deve essere vero”, perché esasperare i toni “funziona”. Non a caso alcuni di questi casi sono passati per i provini di un talent o di un reality show, quello che conta è arrivare davanti alla telecamera, ammiccare, saperci restare, affermare sé stessi nel maldestro tentativo di colmare un vuoto esistenziale che con queste premesse non può che essere destinato a rimanere tale.

Si fa fatica a scorgere come tanta mal dissimulata abnegazione al servizio di se stessi possa contribuire a “svolgere il piano di Dio nella storia dei popoli” secondo la massima di Giorgio La Pira. Dov’è la speranza, dov’è lo spendersi senza riserve, fino a bruciarsi per gli altri, dov’è il servizio, dove la promessa di lasciare un mondo almeno un poco migliore di come lo si è trovato? Che spazio rimane per progettualità e missione?

Scriveva ancora Olivier Clément che “La chiesa, o il “consiglio delle chiese”, a seconda dei tempi e dei luoghi, è chiamata a diventare a suo rischio, con umiltà e fermezza, la coscienza della società. Coscienza che propone senza imporre, a rischio di un’emarginazione manifesta, quando non addirittura di una persecuzione, più o meno scoperta”. Il grande merito di mons. Galantino, vista anche l’origine di gran parte delle critiche, è aver rimesso in tutti i sensi “la chiesa al centro del villaggio”.