Quando le attiviste sono rom
rom attiviste dei diritti umani
Succede in Romania, in Spagna, in Italia: le donne rom si impegnano nella difesa dei diritti umani. Ma l’opinione pubblica non lo sa. Per ricordarcelo c’è voluto Amnesty.
Il titolo del convegno è esplicito:
Il ruolo delle donne rom nella tutela dei diritti umani e in tempi di crisi economica.
così Stefano Galieni resoconta in Corriere informazioni:
Lo ha organizzato a Roma la sezione italiana di Amnesty International, riunendo quattro donne unite da forti motivazioni, esperienza, capacità comunicative e competenza: Isabela Michalache, attivista per i diritti delle donne in Romania, Beatriz Carrillo, presidente dell’associazione Fakali, per i gitani nella regione spagnola dell’Andalusia, Dijana Pavlovic, dell’associazione Rom e Sinti insieme che opera in Italia, e Dzemila Salkanovic, per l’associazione 21 luglio.
Isabela Michalache, nel denunciare l’aumento delle discriminazioni, le difficoltà nell’accesso al lavoro e ai servizi pubblici (è successo che anche i medici, a volte, abbiano rifiutato le cure), ha toccato anche il delicato tasto delle problematiche interne alle stesse comunità, dai casi di violenza fra le mura domestiche al ripristino di regole ancestrali come quella sulla verginità e ai matrimoni precoci. A causa della crisi, ha spiegato, le donne sono divenute ancora più vulnerabili. In Romania era stato approvato un piano strategico nazionale che prevedeva interventi a lungo termine, soprattutto nel campo della formazione e dell’istruzione, ma non ci sono le risorse per attuarlo. «Bisognerebbe – ha affermato Michalache – operare per rendere le donne più autonome, fornendo libri di testo, sussidi alle famiglie, favorendo la concessione di crediti per chi ad esempio in Moldavia, vuole lavorare la terra, bloccare sfratti e sgomberi che creano emarginazione e disagi, produrre cambiamento anche valorizzando le ong composte da rom. Ci sarebbero mille piccoli interventi alla nostra portata, non solo in Romania, e che produrrebbero cambiamenti importanti e duraturi».
Beatriz Carrillo, con un intervento molto appassionato, ha voluto aprire una riflessione su quella che ha definito “storia muta e invisibile”, anche se è consapevole che la situazione spagnola finora è stata fra le migliori d’Europa. Sarà per una presenza numericamente molto consistente, stabile e nata da tempi lontani e per una programmazione di interventi messi in atto per la salute, il lavoro, l’istruzione, fatto sta che in Spagna sono nate istituzioni partecipate e riconosciute dal governo come il Consiglio statale del popolo rom e l’Istituto di cultura gitana. In Spagna si è tenuto il primo congresso mondiale delle donne gitane senza aver bisogno di intermediari. «La Spagna in questo senso è un modello da seguire – ha dichiarato la relatrice – Ma da noi è stato più facile anche grazie all’alto numero di gitani che esercitano professioni che hanno avuto influenza nella cultura spagnola e che si sono amalgamati con la società». L’immagine che però viene riaffermata anche in Spagna delle popolazioni rom è carica di negatività, tanto che nelle scuole, a detta di Carrillo, spariscono la lingua, le differenze e anche la rivendicazione di identità. «Anche da noi, come nel resto d’Europa, le cose peggiorano. Gruppi estremistici entrano nei governi e nei parlamenti con un messaggio razzista e discriminatorio. Gruppi che vengono condannati a parole ma mai concretamente sanzionati. La situazione è poi precipitata anche da noi con la crisi. Non vogliamo essere un fanalino di coda, ma essere ad armi pari. Non siamo disposte a vedere annientati i nostri valori culturali, vogliamo affrontare anche con gli uomini la società gitana. Fakali è impegnata per l’emancipazione femminile e per far valere i nostri valori di solidarietà e rispetto rifiutando però l’assimilazione». E c’ è stato anche modo e tempo per ricostruire un percorso che attraversa gli anni bui della dittatura franchista e che ha una svolta nel 1978 quando, nel primo governo democratico, trova posto anche un rom che si era distinto per l’impegno in anni scomodi. Le donne rom hanno operato anche insieme alle altre cittadine spagnole, per una legislazione più paritaria, sono entrate nelle università e hanno fatto sentire anche politicamente la propria voce.
Dijana Pavlovic ha stupito e commosso recitando una parte del monologo Vita mia parla, basato sulla vita di Mariella Mehr, scrittrice e poetessa jensh (nome dato ai rom svizzeri), che nel paese elvetico fu vittima del programma di sterilizzazione forzata imposto dagli anni Venti fino al 1974 tramite l’istituzione Pro Joventute. Un testo violento e diretto, in cui si raccontano con crudo realismo le violenze subite e l’odio accumulato, torture che non sembrano possibili e che pure sono state reali in un Europa cieca e pronta a girarsi dall’altra parte. Dzemila Salkanovic, invece, come racconta nella lunga intervista che ci ha rilasciato, ha parlato della vita difficile che nella capitale italiana conducono i rom, tanto divisi e poco capaci ancora di fare fronte comune.
Numerose le domande che hanno trovato puntuale e non scontata risposta. A chi criticava il machismo spesso diffuso nelle comunità rom è stato comunemente risposto come il machismo, la violenza sulle donne, gli elementi di problematicità a volte drammatica, siano caratteristica comune e da combattere in ogni cultura. Non nascondendosi dietro alla presunzione che il problema riguardi solo universi ritenuti inferiori, ma mettendosi, come uomini e come donne, in discussione. Fra i tanti elementi emersi, che meriterebbero ulteriori approfondimenti, il peggioramento delle condizioni nell’Est europeo dopo il crollo del muro e dei regimi. C’era concordia nell’affermare che la privatizzazione di ogni servizio abbia approfondito le disparità, tolto ai rom diritti acquisiti come la casa, la sanità, la scuola e il lavoro. Duro accettare che tali disagi vengano comunemente imputati alla “democrazia”. È comune la richiesta di una moratoria continentale della politica degli sgomberi, capaci solo di produrre disperazione. E a dirlo, a spiegarlo non sono attivisti neutri di associazioni che si occupano dei rom, ma donne rom in carne ed ossa.
Stefano Galieni