Nomadi, tutti d’accordo: “Non c’è aggressione mediatica”. La discussione s’infiamma
Fazzi: “Avrei potuto far di più”
Turri: “Aiutandoli si risparmia”
Colmegna: “Testa sotto la sabbia”
così G. Testa resoconta il ‘dibattito pubblico’ sul progetto di riorganizzare il ‘campo di transito’ dei sinti e rom a Lucca:
- le mie considerazioni sul rapporto rispettoso e non ‘manageriale’ con loro: ridotte a questione di sentimenti
- la relazione di S. Bontempelli: neanche menzionata
- le riflessioni di un non relatore (l’ex sindaco Fazzi) valorizzate in primo piano e più di quelle dei relatori
- la denuncia da più parti venuta (dal Toschi e da me) di una vera e propria aggressione mediatica negata spudoratamente
… e uno si domanda: ha ancora un po’ di consistenza e valore l’onestà professionale?
LUCCA, 14 gennaio
Recriminazioni, proposte, analisi. Il dibattito sulla questione dei campi nomadi di Lucca si accende. E contemporaneamente si cercano di abbattere paure e preconcetti. Mentre la Caritas locale avanza le sue proposte, torna a parlare l’ex sindaco Pietro Fazzi. Don Luciano, il cappellano che segue rom e sinti, punta alle relazioni e ai sentimenti. Mentre don Virginio Colmegna critica l”atteggiamento diffuso di chi “nasconde la testa sotto la sabbia”. Alla fin fine nessuno se la prende davvero con i giornalisti. Anzi, in molti leggono nell’attenzione mediatica un’opportunità. Un’occasione per discutere, analizzare, dibattere. E magari – perché no? – trovare anche una risposta adeguata.
Di questo si è parlato nel corso del doppio appuntamento in programma oggi a Villa Bottini. Il tema principale non era quello dei nomadi, bensì il concetto di inclusione. Ma il riferimento è inevitabile. E così sul tema è intervenuto anche l’ex sindaco Pietro Fazzi. “Come ex primo cittadino riconosco di non essere stato perfettamente adeguato al mio ruolo”, confessa. “Per il campo nomadi non ho potuto fare tutto quello che avrei voluto”. Il suo mandato si sarebbe concluso prima di qualsiasi passo concreto.
Ma se fosse potuto intervenire, cosa avrebbe fatto Fazzi? Ce lo spiega lui stesso. “Era in corso la ricerca di accordi”, dice. “Volevamo dare a ciascuno una sistemazione. Mi riferisco a chi abitava i campi di via della Scogliera e via delle Tagliate”. L’obiettivo di Fazzi era quindi quello di attuare una delocalizzazione concordata. “Del resto il regolamento urbanistico lo consentiva”, aggiunge. “Eravamo alla ricerca di una collocazione decorosa. Volevamo prima di tutto attenuare il più possibile i problemi igienici. Del resto , se si vuole, questo è un problema che si risolve in poche settimane. Teoricamente è sufficiente un provvedimento ordinario”. Le linee di Fazzi? Si basavano sue due linee di intervento: nessuna demolizione e nessuna deportazione. “Arrivare nel campo con le ruspe non mi sta bene. In nessun caso”, precisa l’ex sindaco. “Una cosa del genera non l’avrei mai fatta. Avrei effettuato spostamenti concordati. E’ invece discutibile il fatto che ci siano idee illuminate da seguire sulle questioni abitative”.
Sulle scelte condotte finora dall’attuale amministrazione, Fazzi si mostra critico soprattutto sul coinvolgimento e la partecipazione del primo cittadino: “Perché non se ne occupa in prima persona? Questo è un tema che ha segnato la storia della città per più di quarant’anni. La gestione non dovrebbe essere rimandata ad altri. Soprattutto quando alla fine si fa affidamento alla Caritas. Su questo non sono per niente d’accordo”.
La replica arriva direttamente da Donatella Turri, direttore di Caritas Lucca e relatrice dell’evento organizzato a Villa Bottini: “Tra la Caritas e il Comune di Lucca c’è la collaborazione su un percorso di supporto alla scolarizzazione che ormai va avanti da quindici anni. Stiamo solo proseguendo un intervento ‘storico’ che si rinnova di anno in anno. Tutte attività che proseguono in continuità con le amministrazioni precedenti. In questo senso il problema proprio non esiste”.
Poi la Turri si sposta sui contenuti. “E’ importante disegnare uno scenario realistico, capace di spostare il dibattito dal piano dell’emotività a quello della discussione aperta e lucida. L’obiettivo? Favorire l’inclusione”. L’attenzione si concentra soprattutto su obiettivi a breve termine. “Prima di tutto occorre risolvere le situazioni di emergenza, come quella sanitaria all’interno del campo e l’inclusione scolastica”, spiega la Turri. “Ci sono già molti interventi che proseguono da anni. La strategia su sinti e rom prevede infatti quattro linee di intervento: scolastica, lavorativa, sanitaria e la politica dell’abitare. Le parole chiave? Accompagnamento e mediazione. Con la cittadinanza è infatti possibile attivare percorsi più razionali sull’accesso ai servizi sanitari”.
Nel tentativo si spiegare l’utilità di queste azioni, per farsi capire il direttore della Caritas punta anche al portafogli: “Dal campo nomadi si rivolgono sempre al pronto soccorso”, dice. “Ma se rispondiamo subito è possibile attuare interventi destinati a un utilizzo più razionale delle risorse. Lasciare le cose così come sono significa pesare sulla collettività. Perché tutto ha un costo. Se provassimo a dare risposte diverse, in modo concertato e partecipativo, sicuramente potremmo risparmiare anche parecchi soldi”.
Su una cosa Fazzi e Turri sono d’accordo: il problema non è dei media. “Sui giornali non c’è aggressione, si parla in maniera civile”, dice l’ex sindaco. “Nel trattare l’argomento, mediaticamente non c’è stato alcun atteggiamento razzista”, spiega il direttore Caritas. “Semmai la città ha molta paura. Quando si fa leva su quella senza agire sulla comprensione, be’, tutto diventa più complicato. Riconosco all’amministrazione Tambellini di aver messo mano con coraggio al tema dell’abitare. Un passaggio necessario per affrontare la questione delle minoranze. Ma per raggiungere una reale inclusione c’è ancora molta strada da fare. Riconosco a questa amministrazione la voglia di lavorare. Mi auguro che la tempesta mediatica non faccia posare definitivamente una pietra sulle possibili azioni, facendo venir meno la voglia di fare qualsiasi cosa”.
Al di là delle questioni locali, don Virginio Colmegna affronta il problema da un’altra prospettiva. Lui offre una fotografia diversa della popolazione rom, una delle più grandi minoranze svantaggiate in Europa. Del resto si parla pur sempre di circa 12 milioni di persone. “Spesso si ragiona con la pancia e non con elementi che ci fanno confrontare serenamente”, dice. “Spesso hanno aspettative di vita più breve, vivono in alloggi svantaggiati. E’ un pezzo di umanità e di storia che ci appartiene. E’ un gruppo fortemente discriminato e molte situazioni sono lasciate degradare”. Ma com’è possibile affrontare i problemi? “Occorre innanzitutto avviare un confronto sul piano degli investimenti, valutando i possibili risultati”, sostiene Colmegna. “Quello che non vogliamo è mettere la testa sotto la sabbia e fare finta di nulla. Non lo possiamo fare per rispetto di tutti i cittadini, perché poi cresce la paura. Sono convinto che lavorare per l’integrazione è un’opportunità. Non dobbiamo abbandonare questa strada…”.
gianluca testa