Vi racconto l’inferno
di Khalid Chaouki
Qui a Lampedusa è notte ormai. Mi appresto ad andare nella stanza dove un gruppo di profughi
siriani mi hanno offerto ospitalità.
Questa è loro malgrado la loro casa e io sono loro ospite. Mi è stato consegnato dal direttore del
Centro il kit dei profughi. Asciugamani, un lenzuolo, spazzolino da denti e una coperta. Stare qui
insieme ai profughi e insieme ai volontari di questo Centro è stata una scelta estrema, forte e
difficile. Ma non me la sono sentita. Per l’ennesima volta di salutare e tornarmene a casa. Fare
qualche comunicato, denunciare via Facebook e depositate un’interrogazione. La nostra routine di
palazzo qui non regge più. Come non regge nemmeno a ponte Galeria o al Cara di Mineo. Serve
un’azione concreta da parte delle Istituzioni. Qui ho conosciuto e sto scoprendo storie e volti segnati
dalla guerra e dalle persecuzioni. Siria, Somalia ed Eritrea, tre Paesi rappresentati qui tra le 219
persone, tra cui sette scampati alla tragedia dello scorso 3 ottobre.
Il gesto di un nuovo italiano che spalanca la porta sull’orrore
di Gad Lerner
in “la Repubblica” del 23 dicembre 2013
Un gesto davvero onorevole perché nobilita la funzione del parlamentare, chiamato a farsi prossimo
di una sofferenza che ha generato scalpore ma che finora non ha rotto il muro d’indifferenza delle
istituzioni.
Chaouki è un giovane cittadino italiano nato in Marocco di fede musulmana, da tempo impegnato
nel dialogo contro ogni forma di integralismo. Non stupisce che incontrando i superstiti del
naufragio del 3 ottobre scorso ancora detenuti a Lampedusa, e gli altri migranti in sciopero della
fame contro il trattamento umiliante che loro stessi hanno filmato, sia scattato in lui un impulso
d’immedesimazione. Non lo aveva programmato, aveva in tasca il biglietto aereo di ritorno a Roma.
Proverà cosa vuol dire dormire al freddo e nella sporcizia di quella struttura diroccata che in troppi
visitano per poi voltarle le spalle. Il suo esempio testimonia quant’è importante che sia approdata in
Parlamento l’esperienza di vita dei nuovi italiani, ormai una percentuale significativa della nostra
popolazione. Ma sarebbe miope relegare la sistematica violazione dei diritti umani dei migranti a
questione marginale, riguardante solo una sia pur cospicua minoranza. La negligenza delle strutture
amministrative coordinate dal ministero degli Interni nel tutelare profughi e richiedenti asilo, così
come la prolungata reclusione nei Centri di Identificazione e Espulsione di cittadini stranieri privi di
documenti in regola, configura un degrado di civiltà cui sarebbe pericoloso assuefarsi. Deturpa la
natura democratica dello Stato e quindi incrina i pilastri della nostra convivenza civile.
Già la legge Bossi-Fini e i suoi successivi inasprimenti col reato di clandestinità e con la proroga
dei limiti di detenzione nei Cie, ha trasformato questi Centri in focolai di disperazione. Se otto
ragazzi di vent’anni senza pendenze giudiziarie sono giunti a cucirsi la bocca per protesta nel Cie
romano di Ponte Galeria, significa che l’infezione è degenerata, senza che le ripetute denunce
abbiano mosso il governo a intervenire.
Decenni di allarmismo e propaganda hanno costruito purtroppo un vasto consenso intorno alle
misure discriminatorie varate dai governi di destra. Ancora ieri c’è chi ha reagito con stizza alla
protesta del deputato Chaouki, compiacendosi che sia tornato “fra i suoi simili” perché non riescono
ad accettare l’idea che un nativo del Maghreb possa diventare cittadino italiano e addirittura
rappresentante del popolo. Soffriamo un ritardo culturale drammatico che ha incentivato la pavidità
delle istituzioni. Il ministro Alfano è ancora lì che adopera espressioni anacronistiche come “prima
gli italiani” per giustificare le sue inadempienze. Fingendo di ignorare che il flusso migratorio ci ha
già profondamente trasformati come nazione, e che il riconoscimento dei diritti dei migranti e dei
profughi rappresenta un’urgenza dell’intera comunità italiana.
Chaouki è giunto a Lampedusa all’indomani della visita del segretario del suo partito, Matteo Renzi
che vuole modificare la legge Bossi-Fini. Ma nel frattempo? Ci era già andato in pellegrinaggio
papa Francesco, scuotendo le coscienze. Il presidente della Commissione europea Barroso e il
premier Letta vi hanno versato lacrime di indignazione. Com’è possibile che in tutti questi mesi la
situazione non sia cambiata, anzi, se possibile, è peggiorata? Sorge legittimo il sospetto che la
nomina di un ministro dell’integrazione nella persona significativa di Cécile Kyenge sia stata
escogitata come mero atto dimostrativo. Possibile che in tutti questi mesi nulla sia stato fatto per
correggere l’obbrobrio dei Cie e del Centro di Lampedusa? Possibile che il governo non abbia
varato alcuna modifica della Bossi-Fini e neppure un disegno di legge per la cittadinanza dei minori
figli di immigrati?
La stessa Kyenge dovrebbe finalmente battere il pugno sul tavolo, se non vuole apparire una foglia
di fico del menefreghismo altrui, come le ha ricordato nei giorni scorsi Chaouki. Ma intanto c’è da
augurarsi che l’esempio di quest’ultimo sia seguito da altri parlamentari, non solo “nuovi italiani”,
perché la violazione dei diritti umani è una vergogna che tutti ci accomuna