mentre esultiamo per la determinazione che papa Francesco esprime nella direzione di una ‘rivoluzione’ spirituale dentro la chiesa che sia più evangelica e sappia dialogare davvero col mondo contemporaneo sentiamo che tutto ciò non sarà facile
si rende espressione di questo nostro comune timore e delle oggettive difficoltà che inevitabilmente papa Francesco troverà l’articolo di p. Enzo Bianchi uscito su ‘Jesus’ di questo mese:
La riforma della Chiesa sarà a caro prezzo, prepariamoci!
di Enzo Bianchi
in “Jesus” del dicembre 2013
Non posso dimenticare che uno dei miei primi interventi pubblici con una certa risonanza avvenne
durante un convegno organizzato da p. Balducci e p. Turoldo a Firenze, nel primo post-concilio, e
divenne poi un articolo pubblicato su Rocca. Era la stagione dell’entusiasmo dovuto alla primavera
inaugurata da papa Giovanni e dal Vaticano II: stagione della “vittoria” di un nuovo modo di vivere
la chiesa e di edificarla da parte di tutti i cristiani; stagione di “riforma” contrassegnata da
un’atmosfera di fervore e di impazienza; stagione sulla quale io avvertivo però tanta presunzione,
circa gli sviluppi possibili di quella straordinaria svolta.
Sorprendendo non poco gli amici con i quali si dialogava intensamente di riforma liturgica, allora
ancora allo studio, di vita ecclesiale in stato di conversione per una conformità più profonda alla
chiesa come il Signore l’aveva voluta e di dialogo nella mitezza e nella povertà dei mezzi con
l’umanità contemporanea, io misi in guardia da un facile ottimismo. Se davvero si fosse imboccata
la strada della riforma evangelica della chiesa e del suo ordinamento (papato, episcopato, laicato) –
dissi –, si sarebbe andati incontro a un tempo in cui ogni trionfalismo sarebbe stato contrastato da
fatica, da sofferenza e finanche da lacerazioni, perché c’è una necessitas passionis della chiesa che è
dovuta alla necessitas passionis vissuta dal suo Signore Gesù Cristo. Sarebbe avvenuto per la chiesa
come per Gesù: le potenze messe al muro dalla “logica della croce” (1Cor 1,18) si sarebbero
scatenate e ci sarebbe stato un “urto” anche con il mondo, sicché nella vita ecclesiale molti
avrebbero dovuto soffrire (sì, occorre dirlo, patire!). Se infatti la conversione personale richiede
rinuncia, fatica, distacchi e quindi sofferenza, tanto più la conversione delle comunità e delle chiese.
Si sarebbe soprattutto vissuta una duplice tentazione. O arrendersi al mondo, mondanizzandosi, non
mostrando più la differenza cristiana, svuotando la croce, annacquando il Vangelo, piegandosi alle
richieste del mondo; oppure affrontare il mondo con intransigenza e munirsi delle sue stesse armi:
presenza gridata, volontà di contare e di contarsi, atteggiamento da gruppo di pressione, assunzione
di compiti non assegnati dal Signore. In ogni caso, restava più difficile la via di “una chiesa povera
e di poveri”, di una chiesa che contasse solo sul Signore e non sui “potenti di questo mondo” (1Cor
2,6.8; cf. Mt 20,25), di una chiesa dialogante con gli uomini nella mitezza e nella libertà, senza
paura e senza l’ossessione di doversi difendere e vivere come cittadella assediata.
Le chiese sono diverse e si può dire che tutte queste scelte sono state imboccate, ora qui ora là, e in
modo diverso nelle diverse chiese. Sappiamo bene cosa abbia scelto la chiesa italiana, dimenticando
che la sua libertà non può essere vissuta al pari delle altre libertà di cui parla il mondo, perché la
chiesa non è mai tanto libera come quando il mondo la contraddice e la umilia. Sì, per la chiesa c’è
una pace che è più malefica di ogni guerra, “pax gravior omni bello”!
Oggi è nuovamente in atto per la chiesa una primavera, inaugurata da papa Francesco. L’entusiasmo
è molto: non voglio certo spegnerlo, ma ancora una volta sento il dovere di mettere in guardia me
stesso e i miei fratelli e sorelle nella fede. Siamo disposti a bere il calice che Gesù ha bevuto (cf. Mc
10,38; Mt 20,22)? Ogni riforma della chiesa, se è evangelica, è a caro prezzo: per tutti e anche per il
successore di Pietro che non potrà attendersi, almeno dall’interno della chiesa, dai suoi, dalla sua
casa, facile riconoscimento e facile obbedienza. Sarà più facile che lo ascoltino – come è avvenuto
per il Battista e per Gesù – “pubblicani e prostitute” (cf. Mt 21,2; Lc 7,34; 15,1), “samaritani e
stranieri” (cf. Lc 17,38; Gv 4,39-40).
Queste ipotesi turbano e non vorremmo sentirle; eppure, se è accaduto a Gesù, al Signore, c’è forse
un discepolo che è più grande del maestro (cf. Mt 10,24; Lc 6,40; Gv 15,20)? O un un successore di
Pietro che non conosca la passione e la tentazione di sfuggirla rinnegando il Signore e il Vangelo? Èora più che mai di pregare per Pietro, non per una gloria mondana che non può essere sua, ma
perché, consolato dal suo Signore, resti saldo e possa confermare noi suoi fratelli (cf. Lc 22,31-32)
nel faticoso cammino verso il Regno.