i ‘preti di strada’ abbracciati da papa Francesco
La rivincita dei “pretacci” presi per mano da Francesco
Il pontificato di Bergoglio rivaluta i sacerdoti delle periferie
Insieme Papa Francesco e don Luigi Ciotti entrano in chiesa mano nella mano alla veglia per le vittime della mafie
L’effige della svolta è l’abbraccio alla veglia per le vittime della mafia tra Francesco e don Luigi Ciotti. Sabato il successore di Pietro e il sacerdote-simbolo del cattolicesimo di frontiera sono entrati in chiesa tenendosi per mano. Stravolte forma e sostanza all’ombra del Cupolone, nelle diocesi e nei movimenti agli «apostoli degli ultimi» viene riservato un posto d’onore. Una «riabilitazione» a tutto tondo per i «pretacci» che in passato furono quasi in odore di eterodossia per l’insofferenza al conformismo del potere e la vicinanza ai tormenti della società contemporanea.
E’ la rivincita della chiesa «sgarruppata», insomma. Erano gli ultimi e ora, evangelicamente, sono diventati i primi. Nella Chiesa trasformata da Bergoglio in un «ospedale da campo dopo la battaglia» la rivoluzione copernicana in atto capovolge le gerarchie ecclesiastiche e di fatto mette al centro del pontificato «le periferie esistenziali e geografiche», tradizionali terre di missione dei sacerdoti di frontiera. Tra Francesco e don Maurizio Patriciello, parroco a Caiano, il feeling è scoppiato a settembre al centro per immigrati Astalli. «Si sente subito che è uno di noi, che viene dalle favelas – racconta don Maurizio, in prima fila nella lotta alla camorra della Terra dei fuochi-. Bergoglio parla in modo limpido, si schiera dalla parte dei poveri che lo Stato ha abbandonato. Ci serviva un Papa così, che dice le cose in modo meno teologico e più esistenziale. Non siamo più soli».
Don Gino Rigoldi, presidente della «Comunità Nuova» e cappellano del carcere minorile «Beccaria» di Milano, confida: «Nei giovani che prima erano distanti e ostili, molti sono interessati alla figura e alla predicazione di Francesco e alcuni mi hanno chiesto di essere battezzati». Sulla stessa linea nelle Marche il fondatore delle comunità anti-droga Oikos, don Giuliano Fiorentini: «I nostri ragazzi sentono di essere amati e non giudicati, sentono di avere Francesco dalla loro parte nel cammino di ricostruzione delle loro vite provate dal dolore e dalla dipendenza». Infatti «per tanto tempo ci siamo sentiti ai margini anche della Chiesa, ora invece Bergoglio ha messo al centro del suo magistero il nostro essere periferici».
Don Mimmo Battaglia, presidente della federazione italiana comunità terapeutiche, attribuisce alla «profezia» di Francesco il «riavvicinamento della Chiesa al popolo». Una «rivoluzione sulle orme di Gesù», chiarisce don Battaglia, che «qui a Catanzaro sperimentiamo quotidianamente nell’accresciuta attenzione dei lontani al magistero pontificio». E per chi da sempre opera «nella trincea della pastorale sociale» l’aiuto di Bergoglio assicura una «provvidenziale boccata di fiducia» e si traduce in «una prossimità che supera qualunque emarginazione». Infatti, «sapere di avere il Papa accanto rende meno difficile la navigazione nei mari del disagio».
Alla comunità Papa Giovanni XXIII è un ritorno alle origini. «L’insegnamento di Bergoglio ci rimanda al carisma della condivisione diretta con gli esclusi che ci ha trasmesso don Oreste Benzi- osserva don Aldo Buonaiuto-. La carica spirituale di Francesco non è una moda passeggera, è un potente sostegno nella carità. Noi troviamo in lui il portavoce di chi non ha voce e il modello da seguire ogni giorno contro la dittatura dell’indifferenza».
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