«l’Europa spende per bombardare, non per salvare vite»
intervista a Gian Carlo Perego
a cura di Massimo Solani
in “l’Unità” del 10 dicembre 2015
«Il rischio è che queste morti vengano lasciate in secondo piano, dimenticate in un clima di guerra come quello che si è creato nel contesto dell’Unione Europea dopo i terribili attentati di Parigi. Come se questi morti non meritassero lo stesso trattamento e la medesima attenzione»
monsignor Gian Carlo Perego è direttore della Fondazione Migrantes e i suoi numeri sulla strage silenziosa nelle acque del Mediterraneo hanno per un giorno riacceso i riflettori sulle tragedie dell’immigrazione che l’Europa sembra aver dimenticato, travolta dall’esigenza di sicurezza e contrasto al terrorismo
«Purtroppo – dice – l’esigenza della lotta al terrorismo genera una situazione di emergenza in cui rischiamo di dimenticare queste vittime e di mettere da parte il dibattito sul diritto di asilo».
Le cifre del 2015 ci dicono chiaramente che nel Mediterraneo è in corso un’ecatombe. E l’Europa cosa fa dopo tanto discutere?
«Il primo segnale negativo è stato l’abbandono delle missione Mare Nostrum e il passaggio a Triton che ha causato il doppio delle morti nel Mediterraneo. L’Europa non si è preoccupata di spendere 588 milioni di euro in una solo settimana per bombardare la Libia ma ha ritenuto eccessivo spendere appena un quinto di quella cifra per salvare invece delle vite in mare. Parimenti, adesso, non ci si pone il problema di spendere altri soldi per bombardare la Siria senza tuttavia preoccuparsi di investire soldi per mettere in atto sistemi realmente efficaci di soccorso in mare che permettano di evitare altre tragedie come quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni. Purtroppo, ancora una volta prevale la logica di guerra sul diritto umanitario e la solidarietà internazionale. Il secondo segnale preoccupante, invece, è quello a cui assistiamo in queste settimane di lotta al terrore con la creazione di altri muri in Europa e altre divisioni. Sta tornando a prevalere il concetto per cui le frontiere non sono più luoghi di passaggio fra Stato e Stato, ma barriere fisiche viste come argine alle migrazioni e agli spostamenti di popoli in cerca di aiuto. Eppure sia Papa Francesco che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno più volte segnalato che occorre evitare questo rischio»
. Ma in questo clima non può essere un caso la crescita di formazioni politiche marcatamente xenofobe come il Front National di Marine Le Pen.
«La cultura del terrore e la paura crescono e si rafforzano nei momenti di grande incertezza e proprio in condizioni come quelle attuale generano quello che Piero Calamandrei definiva “il sonno della ragione”. In quasi tutta Europa stiamo assistendo al progressivo rafforzamento di formazioni politiche che teorizzano il rifiuto dell’altro e che minano il necessario percorso di dialogo, convivenza e inclusione sociale. Si tratta di un pericolo grave che va sconfitto attraverso l’educazione: bisogna tornare a far prevalere la ragionevolezza perché la paura e la diffidenza generano soltanto nuovi scontri e radicalizzano ulteriormente le tensioni. Il dialogo, dobbiamo ricordarlo, rappresenta l’unica strada per la convivenza pacifica in Europa. La tragedia dei Balcani a cui abbiamo assistito soltanto pochi anni fa deve essere un monito: non possiamo restare inermi di fronte al crescere di nuovi focolai di tensione e scontro in quei Paesi che, ad est, stanno costruendo la nuova Europa».
Dopo l’emergenza umanitaria dell’estate e il cordoglio unanime per i lutti come quello del piccolo Aylan, l’Europa è tornata a voltare la testa dall’altra parte? Cosa è rimasto di quella mobilitazione?
«L’Europa si è resa conto che la costruzione di questa realtà politica manca ancora di pezzi importanti che riguardano la solidarietà e la tutela del diritto d’asilo. Dopo aver firmato l’accordo di Dublino sul diritto d’asilo europeo ci siamo accorti che di fatto solo 5 paesi su 28 accoglievano e avevano un piano di accoglienza dei richiedenti asilo. Ci siamo accorti che non tutti concepiscono le frontiere come luoghi di passaggio delle persone ma come luoghi di chiusura totale. Questo mondo di richiedenti asilo e rifugiati ci ha ricordato che un diritto fondamentale espresso nella costituzione europea e nelle costituzioni di tutti i Paesi europei di fatto non è salvaguardato e ha messo in luce la latitanza di tutti gli Stati sul piano della cooperazione internazionale di aiuto dei paesi più poveri. Un’urgenza che già Paolo VI, negli anni 60, aveva affermato con la sua “Populorum progressio”. Questa consapevolezza chiede un nuovo cammino insieme nella solidarietà in un momento in cui la solidarietà non sembra essere affatto premiale sul piano politico. E prova ne sono i risultati delle ultime elezioni regionali in Francia».