“sulla pelle dei rom”

le ‘emergenze rom’ che i rom pagano ‘sulla propria pelle’


negli ultimi anni la “questione Rom” è stata agitata con particolare cinismo per raccogliere un facile consenso elettorale. Nel libro “Sulla pelle dei rom” di Carlo Stasolla un’approfondita analisi delle politiche promosse da amministrazioni di ogni colore, culminate in un colossale fallimento sociale ed economico.

di Ulderico Daniele

Al di là di qualsiasi valutazione politica o morale, e a prescindere, se mai possibile, dalla spessissima coltre di pregiudizi che ricopre la “questione zingari”, il libro che Carlo Stasolla ha pubblicato per i tipi di Alegre ha un pregio fondamentale: il volume descrive con dovizia di particolari gli interventi realizzati a Roma verso i “nomadi” negli ultimi quattro anni, rivelando, grazie ad un prezioso lavoro di indagine e di documentazione, gli ingenti stanziamenti economici e raccontando al lettore le conseguenze delle rituali emergenze che i rom pagano “sulla pelle”.

Se confrontato al quadro spesso deprimente dell’informazione nel nostro paese e alla difficoltà che la ricerca scientifica ha di essere riconosciuta come strumento utile all’elaborazione delle politiche, il volume merita una ampia visibilità e una attenzione non superficiale da parte della classe politica, chiamata a non commettere gli stessi drammatici errori del passato, e da parte degli elettori, che potranno quantificare i costi, economici e sociali, che la comunità paga quando cede alle ossessioni della sicurezza e del controllo.

Questa operazione culturale e politica, frutto del lungo lavoro di indagine che Stasolla e i suoi collaboratori dell’Associazione 21 luglio portano avanti da diversi anni, risulta ancora più meritoria perché permette di vedere sotto una luce diversa un tema come quello di “zingari” e “nomadi” che storicamente, come segnalato nell’introduzione dall’antropologo Leonardo Piasere, ha funzionato da terreno di esercizio delle peggiori forme di razzismo e che negli ultimi anni è stato innalzato, come racconta l’autore, a strumento elettivo per raccogliere un facile consenso elettorale.

Il tema principale di interesse è il Piano Nomadi della giunta Alemanno, elaborato e realizzato all’interno dello Stato d’Emergenza dichiarato dal governo Berlusconi e recentemente difeso anche dal governo tecnico di Monti & Riccardi. Di questo “rivoluzionario” piano di interventi, presentato dall’allora ministro Maroni come una “buona pratica a livello europeo”, l’autore rintraccia le origini in quella lunga “notte della ragione” che a cavallo fra 2007 e 2008 ha preparato le elezioni politiche e amministrative a suon di episodi di cronaca nera che vedevano sempre i rom come colpevoli di atti efferati e disumani: dal tentato rapimento di un bambino a Ponticelli, rivelatosi in seguito come un affaire molto più complesso che nascondeva interessi camorristici e piani di riqualificazione, all’omicidio della signora Reggiani a Roma.

A questi eventi sono immancabilmente seguiti incredibili episodi di razzismo popolare, la cacciata dei rom di Ponticelli e l’incendio dei campi festeggiato da schiere di cittadini, ma anche iniziative politiche di stampo sempre più repressivo: l’emanazione da parte del governo Prodi del decreto n.181 fortemente voluto dall’allora sindaco Veltroni che limitava il diritto al libero movimento dei cittadini rumeni e ne facilitava l’espulsione, e poi la dichiarazione dello Stato d’Emergenza da parte del neoeletto governo Berlusconi, a cui sono seguiti i famigerati censimenti dei rom e, a Roma, il Piano Nomadi di Alemanno.

A quattro anni dall’emanazione di questo Piano, il bilancio che il volume di Stasolla presenta appare drammatico, soprattutto in tempi di spending review: 60 milioni di euro investiti per poco meno di 8000 rom residenti in città; quattro vecchi campi-nomadi chiusi, al costo dell’aumento dei residenti in alcuni grandi insediamenti che hanno già attirato le attenzioni e le denunce di numerosi organismi e istituzioni internazionali perché collocati al di fuori del perimetro urbano ed in pessime condizioni igieniche; un nuovo mega campo costruito ancora fuori città, per una spesa di soli 10 milioni di euro; centinaia di operazioni di sgombero degli insediamenti informali, quelli dove hanno perso la vita 5 bambini negli ultimi tre anni, che, al costo di diverse centinaia di migliaia di euro per il contribuente, hanno portato semplicemente alla ulteriore moltiplicazione degli insediamenti; infine, nessun visibile miglioramento né sul piano della legalità e della sicurezza per la cittadinanza, né, se a qualcuno interessa davvero, sul piano dell’integrazione dei rom.

Ma accanto a questo importantissimo lavoro di indagine, che dovrebbe far riflettere sui costi e sulle conseguenze delle politiche elettoralistiche basate sulla sicurezza, il lavoro di Carlo Stasolla ha anche un altro merito fondamentale. Il testo mostra che la politica di allontanamento dei rom dalla città, la loro separazione e il loro concentramento nei “campi nomadi” rappresenta un elemento di forte continuità che lega senza differenze rilevanti gli interventi promossi da Alemmano a quelli dei suoi predecessori sullo scranno capitolino: i “buonisti” Veltroni e Rutelli, anche loro autori di piani risolutivi per “il problema nomadi”.

Il libro di Stasolla mostra come le ormai decennali politiche di espulsione e di concentramento dei rom nei campi-nomadi, mentre da un lato aggravano la condizione di segregazione dei rom ostacolando i percorsi di inclusione sociale, hanno creato, dall’altro lato, un sistema largo di interessi che si nutre delle risorse pubbliche investite e sopravvive nell’opacità grazie alle proroghe e alle procedure d’emergenza. Le transizioni per l’acquisto o l’affitto delle aree su cui vengono costruiti i campi-nomadi, l’acquisto e la manutenzione di container da 30 mq. dove vivono famiglie di 8 persone, l’acquisto della strumentazione per la videosorveglianza, i servizi di guardiania e di vigilanza e infine i progetti sociali che, anche questi a prescindere dalle diverse amministrazioni, si ripetono uguali a se stessi nei campi-nomadi, sono le principali voci di spesa di un modello di interventi che porta a spendere circa 250 euro al mese per ciascun individuo, senza alcuna valutazione dei risultati effettivamente raggiunti.

Di questo sistema che, come racconta l’autore, ha un fatturato paragonabile a quello di una media-grande impresa, non partecipano soltanto una serie di soggetti politici, imprenditoriali e associativi collegati a tutto il panorama politico-ideologico romano (dalla sinistra cooperativa, al mondo cattolico, fino alle neonate associazioni di destra), ma anche una fascia di rom “collaborazionisti”, pronti ad accettare qualsiasi inasprimento delle politiche in cambio delle briciole, a volte anche avvelenate, delle fette di finanziamento spartite sui tavoli delle amministrazioni.

In fondo a questo sistema si trovano, invece, le decine di operatori sociali, impiegati con contratti a progetto che durano pochi mesi, pagati, sempre in ritardo, molto meno di dieci euro l’ora, per un servizio di frontiera che raramente, date queste condizioni strutturali, può innescare cambiamenti. In fondo a questo sistema ci si trovano, soprattutto, le tante decine di rom che non partecipano della spartizione e che in alcuni momenti hanno dato vita ad inediti episodi di “resistenza”, come quello della Basilica di San Paolo durante la Pasqua 2011. Rom che si trovano immobilizzati da una rete di pregiudizi, di atteggiamenti strumentali e razzisti, di violenze simboliche e materiali, che li costringono a vivere, e a morire, all’interno di quel buco nero dei diritti e della cittadinanza che sono i campi-nomadi a Roma.

PREFAZIONE
di Leonardo Piasere, Università di Verona

Credo che il Piano Nomadi dell’amministrazione Alemanno entrerà nella storia dei rom, e non solo della storia italiana dei rom. Entrerà nella storia dei rom come uno degli esempi della capacità metamorfica dell’antiziganismo.

L’antiziganismo della tarda modernità è quello che ti confina in un lager proclamando che lo fa per il tuo bene. L’antiziganismo della tarda modernità non va per le spicce come si faceva in altri tempi, non ammazza rom e sinti a destra e a sinistra, non sputa loro direttamente in faccia chiamandoli “sporchi zingari”. No, li chiama “nomadi” e magari anche “Rom” (assolutamente con la “R” maiuscola), fornisce loro container e corrente elettrica, servizi sanitari e materiale scolastico. Assieme a vigilantes, telecamere a circuito chiuso e campi recintati. Ma guai a chiamarli “campi”, traduzione troppo letterale di “lager”: il termine bucolico di “villaggio” esprime meglio l’ipocrisia degli amministratori, e se poi sono “villaggi della solidarietà”, la coscienza segregatrice è proprio salva. In modo bipartisan.

L’antiziganismo della tarda modernità è quello che attua gli sgomberi per il bene degli zingari, non perché li odia, è quello che preferisce l’impiego dell’associazionismo all’esercito, dei volontari alle squadracce, anche se, a volte, quando ci vuole, ci vuole: e poliziotti, statali e locali, che sfondano povere baracche turandosi il naso schifati e con la paura di prendersi i pidocchi, e ragazzacci che lanciano molotov, non mancano e non si tirano indietro. L’antiziganismo della tarda modernità può essere ricco, molto ricco, e solidale, certo: mette a disposizione milioni di euro, milioni: per i campi recintati, per i vigilantes, per le associazioni che devono mantenere i propri membri altrimenti disoccupati, per opuscoli, video, conferenze, convegni, rimborsi. Ma anche per i rom: per tutti? Beh no, impossibile! Solo per alcuni, solo per i buoni, per quelli che fanno quello che dico io, io che in fin dei conti tiro fuori i soldi, per quelli che si vendono per cavare dalla miseria per lo meno la propria famiglia e i propri parenti, per i collaborazionisti disposti ad accettare un posto che ti fanno credere essere di prestigio, per cercare di dimenticare almeno per un momento di sapere che comunque sempre uno sporco zingaro sei considerato. I collaborazionisti sono sempre esistiti, non c’è da scandalizzarsi per la loro presenza. Ma è segno finalmente di maturità politica quando un’associazione di rom caccia il collaborazionista rom.

L’antiziganismo della tarda modernità è quello che si lascia vedere: non si realizza in lager segreti, da tenere nascosti (anche se non a tutti è permesso di entrare), ma in “villaggi” di cui ci si vanta, villaggi da esportazione. Fra gli altri, attirano gli sguardi di ricercatori postmoderni e postcoloniali giunti a Roma a frotte da vicino e da lontano (America, Francia, Inghilterra, Australia…), ai quali non sembra vero di trovare un esempio così trasparente di applicazione della foucaultiana biopolitica quale è insegnata nelle loro lontane Università, esempio bell’e pronto da spiattellare nei loro saggi peer reviewed, con un titolo pure preconfezionato ma accattivante per un’audience angloglobalizzata: “Rom in Rome”! Meglio di così! Ma sono puntualmente irriconoscenti: nessuno ringrazia, con l’usuale nota a piè di pagina, Veltroni o Amato, Pecoraro o Alemanno o Maroni d’aver dato loro questa insperata e al contempo facile opportunità di dimostrare le ragioni di Foucault…

La potenza di questo libro di Carlo Stasolla sta nella sua essenzialità, nella sua cruda esposizione, concatenazione e cronologia dei fatti. La potenza di questo libro sta nella sua dettagliata precisione, elencata da chi quei fatti li ha vissuti, li ha combattuti, ha avuto e continua ad avere il coraggio di denunciarli, cantando spesso fuori da un coro di associazioni colluse o zittite a suon di sovvenzioni.

Forse, solo il lettore più sensibilizzato leggerà con orrore il dispiegarsi di queste pagine, perché, come ha scritto Lorenzo Guadagnucci nel suo Parole sporche, “ciò che oggi condanna i rom, è la mancata elaborazione storica, culturale, sociale dell’antiziganismo”. E per cominciare ad elaborare questa forma di razzismo che abbiamo criptato nelle nostre coscienze, invito anch’io, come fa lui e come hanno suggerito di fare altrove il gruppo dei “Giornalisti contro il razzismo”, di mettere, nella lettura del presente libro, la parola “ebreo” ogni volta che compare “rom” o “zingaro” o “nomade”. Prima si legga il libro, e poi si rifletta sull’effetto che farebbe di sentire parlare del “Piano Ebrei”; del “Centro di Raccolta Ebrei”; dei “villaggi della solidarietà per ebrei”; delle “prime elezioni di un campo ebrei d’Europa”; che “la gestione della pulizia del ‘villaggio attrezzato’ di Castel Romano è stata destinata ai presidenti delle cooperative ebree per ripagarli di aver accettato il trasferimento”; che “nel 2006 il Comune di Roma ha speso per i 5.200 ebrei regolarmente presenti, 15 milioni di euro. Circa 250 euro a ebreo al mese”; di sentire le parole dell’assessore Belviso: “noi non ci siamo mai impegnati sul fronte case che sarebbero certo la soluzione finale migliore, ma non riguarda il Piano Ebrei di Roma capitale”, dove l’espressione “soluzione finale” fa da sola accapponare la pelle; o le parole di quest’”ebrea” che vive in un centro di accoglienza fuori città: “Ho sentito che vogliono toglierci i bambini (…) a me questo non potrà mai accadere, se ci provano scateno la fine del mondo”, forse sapendo che tante, tante, altre madri “ebree” in questi anni non sono state in grado di scatenare la fine del mondo, come ci aggiorna Carlotta Saletti Salza nel suo Dalla tutela al genocidio? – che effetto fa tutto ciò, appunto?

Se riusciremo a liberare le nostre coscienze dalla mancata elaborazione di quell’antiziganismo che abbiamo succhiato dal latte delle nostre madri, questo libro ci apparirà quale è: un monumento alla denuncia della democrazia razzista di tanti benpensanti e un monumento alla denuncia del razzismo applicato di stampo post-fascista.

“Sulla pelle dei rom” di Carlo Stasolla
con la prefazione di Leonardo Piasere
Edizioni Alegre, pp. 128, 2012

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