il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica

XIII Domenica Tempo Ordinario Anno C

Ronchi1

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. (…)

Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samaritani è logica e umana: farla pagare, occhioper occhio.

Gesù si voltò, li rimproverò e si avviò verso un altro villaggio.

Nella concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Uno che difende perfino la libertà di chi non la pensa come lui.

La logica umana dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece vuole eliminare il concetto stesso di nemico. E si avviò verso un altro villaggio.

C’è sempre un nuovo paese, con altri malati da guarire, altri cuori da fasciare, altre case dove annunciare pace. Gesù non cova risentimenti, lui  custodisce sentieri verso il cuore dell’uomo, conosce la beatitudine del salmo: beato l’uomo che ha sentieri nel cuore (Salmo 84,6). E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita il nostro cristianesimo a non recriminare sul passato, ma ad iniziare percorsi. Come accade anche ai tre nuovi discepoli che entrano in scena nella seconda parte del Vangelo: le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo. Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dal potere religioso e politico, sottoposta a rischio, senza sicurezza. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido sicuro non potrà essere suo discepolo.

Noi siamo abituati a sentire la fede come conforto e sostegno, pane buono che nutre, e gioia. Ma questo Vangelo ci mostra che la fede è anche altro: un progetto da cui si sprigiona la gioiosa fatica di aprire strade nuove, la certezza di appartenere ad un sistema apertoe non chiuso.Il cristiano corre rischio di essere rifiutato e perseguitato, perché, come scriveva Leonardo Sciascia, «accarezza spesso il mondo in contropelo», mai omologato al pensiero dominante. Vive la beatitudine degli oppositori, smonta il presente e vi semina futuro.

Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Una frase durissima che non contesta gli affetti umani, ma che si chiarisce con ciò che segue: Tu va e annunzia il Regno di Dio.Tu fa cose nuove. Se ti fermi all’esistente, al già visto, al già pensato, non vivi in pienezza («Non pensate pensieri già pensati da altri», scriveva padre Vannucci). Noi abbiamo bisogno di freschezza e il Signore ha bisogno di gente viva.

Di gente che, come chi ha posto mano all’aratro, non guardi indietro a sbagli, incoerenze, fallimenti, ma guardi avanti, ai grandi campi del mondo, dove i solchi dell’aratro sono ferite che però si riempiono di vita.

(Letture: 1 Re 19,16.19-21; Salmo 15; Galati 5,1.13-18; Luca 9,51-62).

Ronchi

 




il commento di A. Maggi al vangelo della domenica

PRESE LA FERMA DECISIONE DI METTERSI IN CAMMINO VERSO GERUSALEMME

TI SEGUIRO’ OVUNQUE TU VADA

commento al vangelo della tredicesima domenica del tempo ordinario (26 giugno 2016) di p. Alberto Maggi:

Maggi

Lc 9,51-62

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

I discepoli di Gesù lo accompagnano ma non lo seguono. Cioè, anche se sono vicini fisicamente, sono distanti perché loro proseguono l’idea di un messia vincitore e trionfatore. Nel capitolo 9 del vangelo di Luca, dal versetto 51 c’è un brano importante che purtroppo le traduzioni come minimo inesatte o inadatte, non rendono. Infatti se leggiamo questo vangelo è scritto che
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui elevato sarebbe stato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. E poi lo vedremo, in un villaggio di Samaritani non lo accolgono. Ma perché? Allora cerchiamo di tradurre letteralmente il testo e vedremo che questa incongruenza in realtà non lo è.
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui elevato sarebbe stato in alto, quindi Gesù viene presentato dall’evangelista già nel cammino finale verso la città assassina dei profeti, quella che lo ammazzerà. E qui l’evangelista non dice “egli prese al ferma decisione”, ma letteralmente scrive Indurì il suo volto verso Gerusalemme. Questa è un’espressione che appare anche nell’Antico Testamento che significa andare contro qualcuno.
Ad esempio nel libro del profeta Geremia, al capitolo 21, versetto 10, si legge: Volgo la mia faccia contro questa città per farle del male. E’ il Signore che parla. Oppure nel libro di Ezechiele al capitolo 21 versetto 7, il Signore dice: “Figlio dell’uomo, volgi la faccia verso Gerusalemme e parla contro i suoi santuari!”
Allora questa espressione che l’evangelista adopera: “indurì il suo volto verso Gerusalemme”, significa che Gesù va contro Gerusalemme, va per contestare questa città che pretendeva rappresentare Dio in realtà era l’assassina di tutti i profeti inviati da Dio.
Ma i discepoli non lo capiscono. Gesù manda dei messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani… sappiamo la rivalità e l’inimicizia che c’era tra Samaritani e Giudei, si detestavano, era un’inimicizia secolare. Per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Ma non dicono come era Gesù verso Gerusalemme, dicono che Gesù andava a Gerusalemme, ma i Samaritani pensano che, essendo ritenuto questo Gesù il messia, vada a Gerusalemme per prendere il potere e per poi sottomettere i popoli pagani e sottomettere anche i Samaritani.
Ecco perché non lo vogliono ricevere. Sono stati i discepoli che non hanno capito l’intenzione di Gesù. E che non lo comprendano si vede dalla reazione di due discepoli, i più fanatici, Giacomo e Giovanni, che Marco nel suo vangelo chiama “i figli del tuono” per il loro carattere autoritario, e chiedono: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” Il riferimento al profeta Elia che in un episodio localizzato proprio nella Samaria, brucia cinquanta alla volta degli emissari, dei soldati, che erano andati da lui.
Quindi credono che Gesù sia una sorta di Elia, un uomo che, con la violenza, faccia rispettare la legge di Dio, la volontà di Dio. Ma Gesù si voltò e li rimproverò esattamente come fa con i demoni.
E si misero in cammino verso un altro villaggio, sempre in Samaria. Quindi l’incomprensione, l’ostilità dei Samaritani è dovuta all’incomprensione da parte dei discepoli. E sempre in Samaria ci sono tre individui – uno di questi è invitato direttamente da Gesù – che chiedono di seguirlo. Il numero tre non vuole  essere numerico e indica la totalità, la completezza. Allora sono regole per la sequela di Gesù, valide per tutti. Un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù mette delle condizioni, gli fa capire: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi”. Volpi e uccelli sono gli animali più insignificanti che esistano,  “Ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
Quindi Gesù dice: “Attento! Mi vuoi seguire? Ma non pensare a onore, carriera o successo. Ma, peggio degli animali più inutili e insignificanti, io non ho neanche una casa, non ho nulla dove posare il capo. In mezzo invece l’evangelista presenta l’individuo che Gesù invita alla sua sequela. 
A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Può sembrare disumana questa risposta di Gesù “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”.  Non è una risposta disumana quella di Gesù. Il padre rappresenta il passato. Allora seppellire il padre significa tenere ancora in grande onore, in grande onore, in grande rispetto il passato.
Gesù no, Gesù chiede una rottura radicale con il passato. Il vino nuovo non può essere messo dentro gli otri vecchi, quindi “Lascia che la gente che vive nel passato – i morti – seppellisca i suoi morti. Tu va e annuncia la novità”.
E infine il terzo. “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Nella Bibbia c’era l’episodio conosciuto di Elia che consentì a Eliseo che consentì a Eliseo di andare a congedarsi dai propri familiari. Gesù invece no.
L’urgenza del regno di Dio non permette nostalgie per il passato, ma bisogna distaccarsene radicalmente. E Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”.
Questa frase di Gesù non significa avere un rapporto distaccato o disumano con la propria famiglia, nulla di tutto questo, ma che l’urgenza di annunziare la buona notizia, il regno di Dio, è talmente importante che non si può avere nessuna nostalgia per quello che appare soltanto come il passato.