l’opportunità di un anno nuovo

 

 

2014 fiorito

Anno nuovo: come continuare a camminare

“Nella nostra civiltà meccanica siamo dominati dal tempo metrico degli orologi. Ne subiamo il ricatto”.

Non ricordo in quale delle molte prefazioni scritte per le varie Mostre di Roma Umberto Eco ha così, lapidariamente, liquidato il nostro rapporto con il tempo; tempo che S. Agostino diceva di saper bene cosa fosse finché non gli venisse chiesto, ma di non saperlo più quando gli veniva domandato di darne una definizione.

Nondimeno Umberto Galimberti, su Repubblica del 25 marzo 1998, scriveva testualmente: “Il senso del nostro tempo è sempre meno tempo dell’uomo e sempre più tempo della tecnica che ha fatto crollare tutte le ideologie“.

Non sono molto tenero con questi riti sguaiati di fine anno, che sembrano esorcizzare l’usura del tempo e il tramonto dei sogni. Uno dei trionfi della ragione umana è stato quello di aver dato un ordine al tempo dividendolo secondo misure precise in modo di avere l’illusione di dominarlo. “Ciò che si misura si domina”! Con la funesta conseguenza di considerate il tempo solo in termini quantitativi e non più nella sua qualità.

“L’anno che è passato”; “l’anno che viene”; “quanti anni hai?”; “quanti anni mi rimangono?”; “ci siamo fatti vecchi”… Tutte espressioni che connotano il nostro rapporto con il tempo imprigionato in una unidimensionalità che ammuffisce la ricchezza esperienziale del già vissuto e sterilizza le potenzialità sorgive di un futuro tutto verboso, ridotto a semplice bella copia del presente, senza più l’ardire di pensare e di osare l’impossibile.

Nonostante il progresso, o forse per sua disgrazia, siamo ancora figli della cultura greco-pagana che vedeva il tempo come un ripetersi ciclico di fatti e misfatti, un succedersi circolare di enti ed eventi.

Mentre non abbiamo tenuto in considerazione la concezione cristiana del tempo inteso come “καίρόσ”: opportunità, occasione propizia, tempo giusto. Mummificati dalla dittatura del pensiero unico e drogati dall’etica del consumismo, abbiamo imprigionato anche il cosiddetto “tempo libero”, talmente condizionato e manipolato, che le sue possibilità umanizzanti e socializzanti appaiono ormai gravemente compromesse.

L’inizio di un anno, pertanto, mentre pone una questione filosofica che ci porta a meditare sul tempo, dovrebbe aprirci anche ad una questione etica: come continuare a camminare?

 

 

 

 

 

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2014 anno nuovo?

 

 

2014

“Comincia un anno nuovo. Se solleviamo lo sguardo incontriamo orizzonti appesantiti da grosse

nuvole che minacciano tempesta. Che fare? Arrendersi, scappare, deprimersi, disperare? La

tentazione c’è, ma pure qualcosa ci dice che dobbiamo dare un calcio ai lamenti e ai mugugni se

vogliamo entrare nell’anno nuovo col piede giusto”

così D. Maraini che ci invita, nonostante tutto a guardare con speranza al futuro e al nuovo anno che oggi inizia; ha delle parole convincenti:

2014 anno nuovo

Quando la speranza ci fa rischiare

 

di Dacia Maraini

in “Corriere della Sera” del 31 dicembre 2013

 

Comincia un anno nuovo. Se solleviamo lo sguardo incontriamo orizzonti appesantiti da grosse

nuvole che minacciano tempesta. Che fare? Arrendersi, scappare, deprimersi, disperare? La

tentazione c’è, ma pure qualcosa ci dice che dobbiamo dare un calcio ai lamenti e ai mugugni se

vogliamo entrare nell’anno nuovo col piede giusto. Vogliamo cominciare con una parola desueta e

impopolare? Una parola screditata perché apparentemente morbida e fragile. Ma che pure ha un

cuore di ferro. La parola speranza. Che ad alcuni suscita un risolino beffardo, ad altri uno sbadiglio

di noia. Ma pure bisogna riconoscere che senza speranza la realtà la si imbalsama come fosse un

corpo morto. Un corpo dal cervello piatto che, nell’euforia dell’onnipotenza tecnologica, teniamo in

vita pompando sangue dentro vene inerti.

2014 fiorito

Ma davvero è quello che vogliamo? Eraclito, che non era certo un ottimista, diceva che «senza

speranza è impossibile trovare l’insperato». Sperare infatti non vuol dire mettersi a braccia conserte

ad aspettare la manna dal cielo, ma rimboccarsi le maniche e darsi da fare. «Se ti trovi davanti due

strade», scrive Terzani, «una che va in su e una che va in giù, prendi sempre quella che sale». La

discesa è più facile, certo, ma di solito ti porta in un buco. Andare in salita è faticoso, ma è una sfida

e ti porta in alto. Pur sapendo che la speranza, come dice Bernanos, è piena di rischi. È addirittura

«il rischio dei rischi». Ma se non rischi e ti fermi impaurito, alla fine sarai travolto. Perché, come ci

suggerisce quella piccola cosa poetica che è l’orologio, tutto corre e si muove e chi resta fermo

viene spazzato via dalla gran scopa della storia. «La speranza è una cosa dotata di ali», pare di

sentire la voce maliziosa e intelligente di Emily Dickinson, «che mette su casa nello spirito e canta

un canto senza parole e non si ferma mai». Con quel poco di voce che ci è rimasta, ci tocca cantare,

se vogliamo che qualcosa in noi voli. Il pericolo della stasi, suggerisce Naomi Klein, sta nel creare

vuoti. «La politica odia il vuoto. Se non è pieno di speranza, qualcuno lo riempirà di paura». E la

paura fa sognare draghi dalle mille teste che soffiano fuoco. Per tagliare quelle teste, ci armiamo e

partiamo verso guerre inutili e micidiali. La paura arma la mano del razzista, del fanatico, del

guerrafondaio.

Faccio gli auguri alle persone che sanno sperare, come suor Rita e le sorelle di Casa Rut che

raccolgono le prostitute minorenni per le strade di Caserta, come gli organizzatori del teatro del

carcere di Latina guidate dal generoso Giorgio Maulucci, come il magistrato Di Matteo che sfida la

mafia e le sue minacce oscene, come a tutti coloro che, anziché nascondersi dietro il luogo comune

«tanto non c’è niente da fare, tanto sono tutti uguali», prendono per mano la vita come fosse un

bambino e si incamminano verso una salita impervia con cuore allegro

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