se questa immagine di un bambino siriano
annegato su una spiaggia del nostro Mediterraneo
non cambierà il nostro atteggiamento verso i rifugiati
e le troppe tragedie dei nostri giorni cosa potrà mai riuscirci?
Cosa ci sta succedendo?
Cosa siamo diventati?
Queste immagini devono essere viste.
Da tutti. Fino a quando non ritroveremo la nostra umanità.
Guardiamola questa immagine!
Anche se è straziante. Anche se ci fa stare male.
Guardiamoci dentro.
E domandiamoci se stiamo facendo tutto quello che è giusto fare.
Lasciamo scorrere le nostre lacrime.
E chiediamo perdono per quello che non abbiamo fatto.
Non possiamo sempre fare finta di niente!
Non ci possiamo sempre voltare dall’altra parte.
Non possiamo sempre chiudere gli occhi.
Perugia, 3 settembre 2015 – www.perlapace.it – T 335.6590356 – 075.5736890
quel bambino che ci accusa
di Christine Pedotti
in “temoignagechretien.fr” del 3 settembre 2015
quel bambino ci accusa
Fino a quando, fino a quando? È il grande grido dei profeti d’Israele, è il grido che lanciamo anche noi. Bisogna sentirlo. Bisogna lanciarlo, sentirlo, e reagire. Dobbiamo reagire. L’immagine insostenibile di quel bambino morto, annegato, col volto nella sabbia di una spiaggia turca saprà generare in noi un sussulto, uno slancio di umanità? Sapremo dire NO? Non ci sono ragioni che tengano, né economiche, né di sicurezza, che valgano la morte di quel bambino. Sì, bisogna cedere all’emozione perché è il meglio di noi stessi ed è la sola capace di abbattere i nostri terribili egoismi. Ascoltiamo il nostro cuore, il nostro miglior consigliere. Quel bambino è nostro figlio, nostro nipote, il nostro figlioccio, il nostro piccolo vicino, il figlio di non so chi, ma è nostro figlio. Apriamo i nostri cuori e le nostre porte. Non accusiamo i governi, accusiamo le nostre paure, di cui i governi sono i nostri portavoce.
la candela di p. Agostino per i profughi mai arrivati
una candela per i piccoli e grandi profughi mai arrivati tra noi
questa mattina ho acceso una candela sulla spiaggia di Marina di Pisa, pregando in silenzio perché il dolore soffocava rabbia, idee e parole..
Che Dio perdoni la nostra ipocrisia.
Ago
la newsletter di Combonifem:
Se servisse la tua immagine sulla spiaggia, bambino mio, per scuotere gli animi, far capire l’orrore, aprire le frontiere, organizzare navi che traghettino la disperazione da un lato all’altro del mare, la pubblicheremmo ogni giorno. Passeremmo notti intere a tappezzarne i muri delle città, le ambasciate e le chiese, i palazzi istituzionali e le scuole. Cosicché l’orrore di vederti disteso con quella tua magliettina rossa e pantaloncini blu, quei capelli che sembrano pettinati dalla mano compassionevole del mare, possa cambiare lo scorrere degli eventi, evitare che la tua morte e tantissime altre avvengano ancora. > Se servisse l’immagine di quel tuo sonno eterno, adagiato su un arenile di un’estate in cui il mare è gioia di schiamazzi di bimbi che si rincorrono, di castelli di sabbia, di nuotate e sole, passeremmo le giornate a inviare mail affinché tutti condividessero quella ultima parte del tuo viaggio, affinché (come già sta accadendo sui social) diventi virale. Ma sai, bambino mio, pochi giorni fa circolavano foto di altri corpicini come il tuo e non è accaduto nulla. > Nulla ha evitato che altri bimbi come te, più fortunati di te, venissero marchiati con dei numeri, riportando alla memoria altre storie e dolori. Nulla ha evitato che si continuino a innalzare i muri, che uomini, donne e minori si rimpallino, come oggetti sgraditi, da un Centro di “accoglienza” a un altro, tra Paesi europei che si puntano il dito l’un l’altro per stabilire a chi tocchi farsi carico di altri numeri… Oggi, diversi giornali pubblicano la tua foto, i direttori delle testate cercano di giustificare la scelta. Una giustificazione che nasce dall’intima consapevolezza che non è giusto. Dicono che è una foto che scuoterà l’Europa, shoccherà i potenti. Affermano che così non si potrà dire non sapevamo, che non si potrà più far finta di nulla. A noi pare che occorra pietas, che occorra ricordarsi che la morte necessita dignità sempre, che se fossi davvero un bimbo dei “nostri”, se ti vivessimo come tale, sentendo empatia e rispetto nei tuoi confronti, non saresti in prima pagina e non ci sarebbero parole per avvalorare una scelta differente. > Ancora si è convinti che una foto possa scuotere. La verità è che di foto, in questo tempo, ne abbiamo viste tante. E tutte ci hanno straziato il cuore. Tutte, compresa la tua. E ogni volta il senso di vuoto e impotenza, la sensazione di pugno allo stomaco è andata aumentando. Ma sai, bambino mio, niente è cambiato. Sembra che l’asticella dell’esposizione al dolore si possa alzare sempre di più. E la nostra paura è che arrivi un domani in cui esporre un piccolo corpo non provochi più alcun dolore, che l’assuefazione abbracci anche quel che di più caro ha questo mondo: le bambine e i bambini.