buone notizie da Bruxelles per l’accoglienza migranti

Migranti, Ue: “Regole uguali su asilo”

criteri standard e 10mila euro per ogni rifugiato

la proposta di revisione approvata serve ad armonizzare le norme sull’accoglienza

saranno gli Stati membri a decidere quanti profughi saranno legalmente accolti

 finalmente una proposta decente sui migranti. L’Italia dovrà adeguarsi agli standard europei e non a quelli Libici.
Così potrà essere “controllata” dall’Europa. Certo queste regole potranno essere migliorate, ma almeno l’Italia dovrà smettere di fingere e di mantenere un atteggiamento di arroganza verso i migranti: tempi brevi per consegna dei Permessi di Soggiorno; ci sono Questure che impiegano 9 mesi per il rilascio e consegnano il permesso soggiorno con scadenza dopo 3 mesi!! Per non parlare della spesa: 200 € cada. In Europa questo non avviene (p. Agostino Rota Martir)

 

BRUXELLES – Un sistema unico e uguale per tutti: la Ue ha approvato una proposta di revisione delle regole comunitarie in materia di asil, valida allo stesso modo per gli Stati membri, con procedure, tempi, criteri e standard, in modo da evitare che i migranti possano scegliere tra un Paese Ue e l’altro in cerca di condizioni migliori. Le modalità di gestione dei richiedenti asilo, quindi, saranno meno nazionali e più europee.

Regole uguali per tutti. La proposta della Commissione Ue intende sostituire l’attuale direttiva con un regolamento definito, in modo da arrivare più rapidamente a ridurre tempi e differenze nell’accettazione delle domande di asilo nonché garantire gli stessi diritti a tutti i migranti.

“Queste modifiche creeranno un sistema di procedure d’asilo comuni e garantiranno che tutti i richiedenti asilo siano trattati in modo appropriato”, ha chiarito il commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos. Per concedere protezione ci sarà una scadenza massima di sei mesi, con la possibilità di una sola proroga di tre mesi in caso di “pressione sproporzionata” sul sistema nazionale d’asilo o di “complessità” del singolo caso in esame.

Unica lista di Paesi sicuri. Le domande inammissibili o infondate dovranno invece essere completate in tempi compresi “tra uno e due mesi”. Ogni Stato dovrà prevedere scadenze comprese fra una settimana e un mese per i ricorsi dei migranti e un periodo da due a massimo sei mesi per le decisioni di primo appello. La Commissione Ue, inoltre, propone di introdurre una sola lista di Paesi sicuri, per sostituire le ventotto liste nazionali attualmente in vigore.

Diecimila euro per ogni reinsediamento. La Commissione,poi, propone che il Paese di accoglienza riceva dalla Ue 10 mila euro per ogni migrante arrivato in base al sistema dei reinsediamenti. E ancora: il regolamento prevede anche di mettere in piedi un sistema di reinsediamenti funzionante su base annuale dove saranno gli Stati membri a decidere quanti rifugiati saranno legalmente accolti e i Paesi di provenienza: “È una finestra legale genuina per chiudere la porta agli arrivi irregolari”, ha detto Avramopoulos, che ha criticato le differenze nelle procedure d’asilo e nelle condizioni offerte ai migranti negli Stati membri dopo i “movimenti secondari”, cioé di coloro che chiedono asilo in Paesi diversi da quello del primo arrivo. La proposta sarà valutata dai governi nazionali e dal Parlamento europeo.

Asilo ‘a tempo’. Il diritto d’asilo per i richiedenti sarà concesso e riconosciuto nell’Unione europea per un tempo determinato, prevede la proposta di riforma. Come ha spiegato Avramopoulos, sarà introdotto il principio per cui “viene garantita protezione  finché si rende necessario”. A tal fine, si vuole prevedere una revisione periodica obbligatoria dello status di rifugiato in funzione degli sviluppi nel Paese di provenienza, per considerare cambiamenti che potrebbero modificare le condizioni.

parole chiare dal parroco

la lezione del parroco

“Sbandierate tradizioni col cuore pieno di marciume”

il parroco di Pontoglio, don Angelo Mosca, domenica in chiesa ha espresso la posizione cattolica sui cartelli stradali che invitano a lasciare il paese: “Sbandierano tradizioni ma hanno il cuore pieno di marciume”

Parole pesantissime, come un macigno. Sono le parole di don Angelo Mosca, parroco di Pontoglio dal 2008: in chiesa, domenica mattina, ha voluto dire la sua – o meglio, la posizione della chiesa cattolica – sul tema dei cartelli stradali in cui a caratteri cubitali, e su sfondo marrone, si viene invitati ad allontanarsi dal paese – definito “a Cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana” – chinque non intenda “rispettare la cultura e le tradizioni locali”.

Le parole del prete, benzina sul fuoco. Che si sommano alle polemiche infinite – anche degli stessi pontogliesi, più di un centinaio le firme raccolte in poche ore per chiedere la rimozione di quei cartelli – che avvolgono la contestata decisione del sindaco Alessandro Seghezzi. Don Angelo, senza fare nomi, in chiesa attacca “coloro che si lavano le mani sbandierando tradizioni, ma con il cuore pieno di marciume”.

E ancora: “Le porte aperte, e non chiuse, sono il messaggio di Dio. Gesù augura la pace a tutti gli uomini, e non a chi appartiene a una sola cultura. Questo è un messaggio distorto, l’uso strumentale del Vangelo per ideologie e secondi fini. Utile ai falsi profeti che predicano la divisione, e non l’unità”.

In conclusione: “La chiesa è misericordia. Dio non è una tradizione, Dio è per sempre”. La notizia dei cartelli intanto ha fatto il giro d’Europa: ne ha scritto anche il Telegraph. Che parlando di Lombardia cita anche la ‘Northern League’, la Lega Nord: “Il partito di destra che guadagna voti con la sua retorica anti-immigrati e anti-rifugiati”.

parrocchie col presepe ma con le porte chiuse … per gli immigrati

porte chiuse agli immigrati

la solidarietà flop delle parrocchie

a tre mesi dall’appello di Papa Francesco solo poche centinaia di letti per i profughi

di JENNER MELETTI

 Porte chiuse agli immigrati: la solidarietà flop delle parrocchie

Viene subito in mente – sarà colpa delle luminarie – la poesia di Guido Gozzano. “La neve. Ecco una stalla. Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…”. Difficile, per Giuseppe e Maria, trovare un rifugio per la nascita di Gesù. Difficile – anche in questi giorni di nenie e presepi – per le famiglie di migranti trovare quell’ospitalità chiesta con forza – più di cento giorni fa, il 6 settembre – da Papa Francesco

“Ogni parrocchia – disse il pontefice all’Angelus – accolga una famiglia”. Non esiste un censimento ufficiale ma bastano pochi numeri per raccontare come sia stato e sia difficile, nelle 25.000 parrocchie italiane, rispondere all’appello. A Roma città (334 parrocchie) entro la fine di gennaio saranno accolti 170 migranti. A Milano (1.000 parrocchie perché la diocesi comprende anche Brianza, Lecco e Varese) sono a disposizione – o lo saranno presto – 400 posti letto. A Bologna su 416 parrocchie soltanto quattro hanno dichiarato la loro disponibilità. Assieme a cinque privati, due comunità religiose e due altri enti, nell’arcidiocesi bolognese sono offerti in tutto 30 posti letto. E nella quasi totalità dei casi l’accoglienza viene finanziata con i contributi delle prefetture.

Maria Cecilia Scaffardi, direttrice della Caritas di Parma, ammette le difficoltà ma ringrazia comunque il Papa. “Francesco ci ha obbligati a riflettere e ha messo in moto un grande processo di apertura. Anche noi ci siamo impegnati: una decina di parrocchie su 350 (che sono state accorpate in 56 “nuove parrocchie”) ci hanno detto che possono ospitare una famiglia di immigrati. Due di queste parrocchie comunque hanno deciso di accogliere famiglie italiane che erano state sfrattate. Per accogliere bene – questo il motivo del ritardo – non basta il buon cuore: serve professionalità. Non si tratta solo di trovare un appartamento o una canonica. Servono persone capaci di guardare negli occhi le altre persone. Se pensi solo a un tetto e a un letto, rischi di trasformare l’accoglienza in un concentrato di esclusione”.

l’entusiasmo e le difficoltà dell’accoglienza dei profughi

facile dire accoglienza

bambino siriano

di Ferruccio Sansa
in “il Fatto Quotidiano” del 10 settembre 2015

 

“Sono entusiasta, come quando sono diventato sacerdote. Non sarà tanto la Chiesa che salverà i rifugiati, ma loro che le ridaranno vita”.

Da una parte c’è padre Roberto, 56 anni e trenta di sacerdozio, che vive in una chiesa sperduta dell ’Appennino dove Abruzzo, Molise e Lazio si incontrano. Nella sua voce ritrovi uno slancio che non sentivi da anni. Dall’altra c’è un anziano parroco del palermitano che con diplomazia manifesta molti dubbi: “Scrive il mio nome? ”, esordisce. No, non lo scriviamo. “Allora vi dico: io accoglierei tutti i rifugiati del mondo. Ma sono a malapena autosufficiente, come può aiutarli un prete che non sta in piedi da solo? Tantissimi sacerdoti ormai più che assistere hanno bisogno di una badante. Scompariremo”. Dopo l’appello di papa Francesco le diocesi in tutta Italia cominciano a mobilitarsi. Molte, a dire la verità, erano già attive da prima che la politica si accorgesse dell’emergenza rifugiati. Ma adesso c’è l’invito del Papa e nella Chiesa –tra curie, parrocchie e Caritas – l’attività si è fatta quasi febbrile. Basta visitare gli uffici della Caritas sparsi per l’Italia per rendersene conto: un viavai continuo, il telefono che squilla, scatoloni che entrano ed escono. Ma a colpire è l’atmosfera di confusione. E spesso di entusiasmo. COME A MILANO, dove i profughi già accolti dalla Caritas sono oltre 781, cui presto se ne aggiungeranno altri 130. Siamo quasi a mille per 1.100 parrocchie. “Nulla deve essere lasciato all’improvvisazione, non è che un parroco vede due profughi e se li porta in canonica”, sorridono in Curia. E spiegano: “Il coordinamento è affidato alla Caritas che ha stipulato un accordo con la prefettura. Il cardinale Angelo Scola ha incontrato i sacerdoti della diocesi, ha chiesto a tutti di individuare immobili che possano ospitare persone”. È solo il primo passo: “Poi i rifugiati saranno accolti, ma non saranno soltanto i parroci a doversene prendere cura. La Caritas si occuperà dell’assistenza, del coordinamento”. Non bastano le buone intenzioni, bisogna prendersi cura di persone, spesso di bambini. Come racconta don Ettore Dubini di Erba, nei locali della sua parrocchia vive con una famiglia di nigeriani (i genitori e due bambini di sei mesi e tre anni): “L’arrivo è stato drammatico. Questa povera gente aveva fatto il viaggio con il barcone, poi è stata sballottata per tutta Italia. Quando sono arrivati la bambina di 6 mesi era senza nemmeno più i vestiti. Nuda”. Un cambiamento mica da poco nella vita di un parroco: “Non basta dare un tetto e un piatto caldo. Bisogna fornire assistenza sanitaria, bisogna imparare a comunicare e a vivere insieme”. MA GIÀ STA NASCENDO una rete in parrocchia: c’è un corso di italiano, ci sono gli incontri e quei due piccoli che fanno di tutto per entrare in contatto con i bambini della loro età. “E già diverse famiglie di parrocchiani si sono offerte per ospitare dei rifugiati”, racconta don Ettore. Non è il solo. A Genova, Nicolò Anselmi, uno dei pochissimi vescovi-parroci italiani, ha aperto la chiesa delle Vigne, in pieno centro storico. E poi c’è il seminario genovese, dove fino a pochi decenni fa studiavano decine di aspiranti sacerdoti. Oggi le nuove vocazioni si contano sulle dita di una mano, ma nelle stanze, nei corridoi degli antichi palazzi sono arrivati 50 rifugiati. Altrove è più difficile, la disperazione si aggiunge alla disperazione. Come a Potenza: “La nostra sede è in una baracca”, raccontano dalla Caritas, “Il vescovo si sta organizzando per accogliere l’invito del Papa. Ma è difficile: bisogna aiutare senza urtare i poveri che vivono qui. C’è gente che vive in case di lamiera dal terremoto del 1980”. Sarà dura, ma, come ripete padre Roberto, “la Chiesa si muove, come non succedeva da anni”. Conclude: “Io vivo da solo, ci sono sere che darei chissà cosa per poter parlare, per sentire un rumore nella mia casa. Ora finalmente potrò avere compagnia”. E ieri il Papa aveva ribadito che

“le chiese, le parrocchie, le istituzioni con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei”

 

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