a proposito delle donne rom rinchiuse in una gabbia

operatori nella pastorale tra i rom e amici dei rom di fronte alla inumana violenza operata a due donne rom rinchiuse in un gabbiotto e apostrofate e umiliate con cinici sghignazzi moltiplicati viralmente on line

 

 

 

La vicende delle 2 donne Rom rinchiuse in una gabbia per la raccolta di cartone e di materiale buttato tra i rifiuti di un supermercato a Follonica, ha suscitato contrastanti reazioni, moltissime sui social media, meno sui quotidiani. Ammirevoli alcune prese di posizioni, come quella del sindaco della stessa Follonica che ha condannato senza alcuna riserva il gesto, le parole di un sacerdote intervistato (di Follonica?) che ha manifestato il suo sbigottimento per quel gesto, come pure l’immediata presa di posizione della direzione del Supermercato. Ma non si contano quanti hanno applaudito i sequestratori, andando ben oltre un semplice commento di irrisione. A distanza di pochi giorni la notizia è scomparsa, già rimossa.

Gli autori di questo gesto hanno anche voluto filmare la scena con le grida disperate delle due povere donne in trappola, mentre i dipendenti si divertivano e ridevano soddisfatti e hanno postato il filmato su Facebook come fosse un “trofeo di vittoria” , di disprezzo e intolleranza da immortalare e sventolare. Anche facendo le debite differenze , la spettacolarizzazione e l’esibizione delle sofferenze e dell’umiliazione di queste due donne rom, richiama l’esposizione e l’esecuzione pubblica dei loro ostaggi da parte di gruppi e movimenti che hanno fatto della disumanizzazione di chi non è come loro, uno strumento di minacciosa propaganda e violenze. Certo, i tre giovani dipendenti di Follonica non avevano l’intenzione di giustiziare nessuno, ma i commenti di approvazione del loro operato, apparsi sul Social, erano messaggi di incitamento esplicito alla violenza, ad usare il fuoco per eliminare i rom, e di esaltazione del razzismo. La barbarie sembra attraversare impunemente i nostri confini, non solo quelli geografici, fino ad annidarsi fin dentro i nostri cuori e menti. Fino a far ritenere la cosa, come normale, legittima.

C’è materia su cui riflettere molto..

La dignità di 2 povere donne è stata umiliata, calpestata, derisa… e non sono molti i movimenti e le associazione in difesa della donna che abbiano sentito il bisogno di fare sentire la loro voce, contro un maschilismo così becero, arrogante e xenofobo.
Anche lo scarto, la spazzatura di un Centro commerciale, hanno più importanza delle persone e della loro dignità, soprattutto se si tratta di due donne Rom. Gli scarti di un centro commerciale vanno tutelati, più degli “scarti umani” che la nostra società produce.

“Non potete servire Dio e la ricchezza.” (Mt. 6,24)

Domenica scorsa abbiamo ascoltato nel vangelo questa affermazione perentoria di Gesù. Per la comunità cristiana, servire Dio porta a sentirci custodi dei nostri fratelli e alla luce del Vangelo di Gesù, soprattutto dei più deboli, dei poveri, degli ultimi. Servire Dio nell’umanità. Fingere di servire Dio, porta facilmente un “credente” a sostituire la cura del fratello, con la custodia di altre “cose”. Invece di custodire i fratelli, rischiamo di fare spazio solo a cose, oggetti, proprietà. E i poveri, i migranti, i rom diventano, in questa prospettiva, dei concorrenti anche per la spazzatura, degli intralci al nostro benessere e dominio, al nostro stile di vita da salvaguardare, costi quello che costi, per cui si arriva a considerare normale le “trappole per i rom”.

Dio sempre include, abbraccia, rialza chi è caduto, libera i prigionieri, ascolta i deboli. Mammona (la ricchezza), invece esclude, divide, ingabbia, crea disparità e produce persone indifferenti e incapaci di ascoltare il grido di sofferenza e di disperazione che oggi, soprattutto è quello dei migranti, ingabbiati nei centri di accoglienza, a causa delle nostre paure e di un sistema che produce poveri e ne mortifica la speranza, abbandonandoli alla mercé degli interessi economici subdoli, a volte camuffati di servizio sociale.

È lo stesso grido di aiuto e disperazione di tanti Rom quando vengono sgomberati dalle loro povere baracche, abbattute senza pietà e vengono espulsi dalle città in nome degli idoli della sicurezza, del decoro dell’arredo urbano, dell’ordine disumano che vi regnano. Le stesse politiche sociali, nazionali e locali, che dovrebbero integrare i Rom, si rivelano, per lo più, come ulteriore gabbia non meno violente e progettate solo per controllare, opprimere ed escludere un mondo visto con gli occhi dell’intolleranza a della diffidenza.

Come rispondere a questa deriva di pregiudizi, di intolleranza, di negazione di chi appare diverso?

Non ci sono ricette precostituite, né soluzioni facili specie oggi che comportamenti come questi del supermercato di Follonica contro le due donne rom, sembrano trovare l’approvazione di tanti. Deve restare però come punto di partenza fermo, la scelta di campo: la scelta di stare dalla parte dei poveri, dei deboli, degli scartati, di quelli che per vivere, hanno persino bisogno di rovistare, rischiando aggressioni e violenze, tra la spazzatura di un supermercato.

Domani la comunità cristiana inizia il cammino quaresimale con l’imposizioni della cenere sulla nostra testa, ci auguriamo che sia una possibilità concreta per riconoscere le nostre colpe, anche del silenzio ecclesiale, che in questa vicenda ha mancato di far sentire la sua voce chiara, forte e autorevole. Che siano i poveri, gli scarti, “gli ingabbiati” a mettere sul nostro capo la cenere e pronunciare ai nostri cuori: “Convertitevi, e credete al Vangelo!”

28 Febbraio 2017

don Agostino Rota Martir – Pisa


Marcello Palagi e Franca Felici – Carrara

 

P. Luciano Meli – Lucca

 

 

l’esultanza di p. Agostino per i preti in tenda ma …

p. agostino

 

Il vangelo di oggi parla anche di tende che Pietro vuole fare..xe è  bello stare a contemplare la gloria e la bellezza della trasfigurazione in cima al monte. A me in questi giorni è venuta in mente un’altra tenda, quella innalzata ai piedi della montagna, ad Ambivere nel Bergamasco..Proprio vicino al mio paese. Quattro parroci hanno scelto di vivere in tenda, tutta la Quaresima per ricordare la vergogna della non accoglienza verso i migranti da parte del paese Italia.
Bel gesto (anche coraggioso perché a pochi km da Pontida) che profuma di Vangelo, provoca e illumina le coscienze di tutti e delle comunità  cristiane. C’è  un modo di vivere la fede “sotto la tenda”, che sa di privilegio, di fuga..ma c’è  la tenda innalzata nella storia che sa di compassione e desiderio di giustizia verso i poveri.
Grazie a questi sacerdoti ho capito che la trasfigurazione è invito ad immergerci nelle vicende della storia..E che Dio non si offendera’ se i nostri abiti non odorano di incenso, ma puzzano un pochino dall’odore dei poveri.

 

 

 

preti nella tenda: “Noi come i migranti”. Ma il paese li ignora

da PAOLO BERIZZI

  Il tetto è un telo di plastica blu. Siccome fa freddo e c’è vento l’hanno ancorato con le corde a dei blocchi di pietra appoggiati sul sagrato della chiesa, qui, di fronte alla domus pacis che sarebbe l’oratorio di Ambivere. “Prego! Ma non filmate l’interno, per favore”, chiede il prete. Dentro la tenda – un gazebo rettangolare – ci sono: quattro materassi con coperte e sacchi a pelo; tre torce elettriche e un piccolo crocefisso di legno; una stufetta, quattro sedie e un tavolo con sopra una copia del Vangelo, bottiglie d’acqua, frutta essicata, un termos e un pc, strumento indispensabile per “poter continuare a organizzare l’attività pastorale “. Perché è vero che per dare l’esempio di come vivono o sopravvivono i migranti, e per scuotere il torpore delle coscienze di chi si volta dall’altra parte, i quattro sacerdoti abiteranno qui dentro 45 giorni, fino a Pasqua, in strada, davanti alla chiesa di San Zenone; ma in tutto questo andranno anche avanti a fare il loro lavoro. Un “lavoro di collegamento “, ti spiega il prete, uno del gruppo. Implora di non essere citato, “perché – e questo profilo basso è una delle cose più belle di un’iniziativa interessante anche in quanto scarica di ogni retorica pauperista – abbiamo deciso di non rilasciare interviste…”.
Ambivere, duemila abitanti tra l’imbocco della valle San Martino e l’Isola bergamasca. Il pratone leghista di Pontida a tre minuti di macchina; in serata comizio di Salvini a Palazzago, sei chilometri e 700 passi dalla tenda dei preti “migranti”. Il loro slogan? “Ero straniero e mi avete ospitato a casa vostra” (Vangelo di Matteo). Si parte da lì e lì si ritorna. La condizione di chi arriva da lontano e vive senza una casa. Una tenda per rappresentarla plasticamente. Sono passati nove giorni, era il mercoledì delle ceneri: l’inizio della Quaresima. I quattro sacerdoti – don Emanuele Personeni, don Gianluca De Ciantis, don Andrea Testa, don Alessandro Nava; parrocchie di Ambivere, Mapello e Valtrighe – hanno tirato su il gazebo dopo aver vergato una lettera che è un duro atto d’accusa: contro l’indifferenza, il potere politico e economico, l’espansionismo e lo sfruttamento dell’Occidente che ha ridotto in condizioni di disperazione i popoli svantaggiati, oggi in fuga verso i nostri Paesi. Ambivere, dunque. Scrivono i religiosi: “In Quaresima abiteremo una tenda. Un po’ di cibo. Acqua da bere. Un bagno per lavarci. Un materasso per dormire. È più di quanto molti esseri umani possono permettersi. Naturalmente non sarà facile. Abituati ad avere più del necessario, il necessario sembrerà insufficiente”. Non sarà un caso, o forse sì, che il paese è davvero a un tiro di schioppo da quella Pontida luogo iconico del leghismo pre e post migrazioni. Del “padroni a casa nostra” e dell'”aiutiamoli a casa loro “, gli slogan protezionisti sentiti in questi anni di sbandierata intolleranza. Che è diffusa. Sentite Emy, una signora di Mapello di passaggio davanti alla chiesa, quando le chiedi se apprezza l’iniziativa dei sacerdoti: “Contenti loro… Io penserei prima agli italiani, i preti chissà perchéli critica – e taglia in dialetto – “i pensa adoma ai stranieri”, pensano solo agli stranieri” . Le fa eco Carlo Sangalli, studio dentistico su via Papa Giovanni XIII: “Preoccupiamoci dei nostri, poi semmai anche di loro” .
“Noi” e “loro”. Noi che potremmo accogliere, loro che scappano dalla guerra e dalla miseria. Bastano quattro preti accampati, e il paese si divide. Gianni Rottoli si affaccia alla tenda, è arrivato da Bonate Sopra, vuole capire: “Complimenti. È un messaggio forte, pieno di significato ” . Il sacerdote, berretta di lana e maglioncione, non importa se è il parroco di Ambivere o quello della vicina Mapello, gli stringe la mano: “Torni a trovarci quando vuole, noi fino a Pasqua siamo qui” . Questa sera si farà vedere anche Nasser, egiziano. Porterà delle pizze perché le sforna (è titolare della pizzeria “Le Piramidi2”, proprio dietro la chiesa). “Io vivo qui da 15 anni, sono stato accolto bene. Ma tanti altri vengono lasciati al loro destino”. Senza un tetto, senza una minestra. “Lavoriamo sui migranti da anni” , racconta il sacerdote a Adriana Panseri, incuriosita dal capanno bianco sul sagrato. “A Mapello ne ospitiamo cinque. Vorremmo che ogni paese e ogni diocesi lo facessero” . E invece? Invece “si usano i poveri di casa nostra contro i poveri alla nostra porta. A cominciare – recita la lettera – dalle Regioni fino a arrivare a molte amministrazioni comunali, la risposta è sempre la stessa: per loro non c’e posto”. Nemmeno in tenda, oggi. Solo quattro materassi. Di più non ce ne stanno.

il vangelo della domenica

 

RADDRIZZATE LE VIE DEL SIGNORE 

 commento al Vangelo della seconda domenica di avvento (7 dicembre 2014) di p. Alberto Maggi
 
maggi
 
Mc 1,1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto:  preparate    la   via   del Signore raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

Leggiamo e commentiamo i primi otto versetti del vangelo di Marco, che inizia con queste parole: Inizio della buona notizia … sappiamo che il termine vangelo significa infatti buona notizia. E’ una buona notizia che è già conosciuta. L’evangelista non si rivolge a persone che ancora non conoscono la novità di Gesù, ma a persone che già la vivono. E Marco intende narrare quale è stata l’origine. Allora perché la chiama buona notizia? Perché c’è un nuovo rapporto con Dio che non è più basato sull’osservanza della legge – il termine “legge” nel vangelo di Marco non apparirà mai – ma sull’accoglienza dello Spirito, come vedremo alla fine di questo brano con l’annunzio che l’attività di Gesù sarà battezzare in Spirito Santo. Quindi non più l’osservanza di una legge esterna all’uomo, ma l’accoglienza di una realtà interiore all’individuo. La buona notizia è di Gesù Cristo, Cristo cioè Messia, e manca l’articolo, che significa che non è il Messia della tradizione, quello che Israele attendeva, il liberatore che attraverso la violenza avrebbe restaurato il Regno di Israele, ma un liberatore, un Messia completamente diverso che l’evangelista ci aiuta ora a scoprire. Figlio di Dio. Ecco Gesù sarà Messia, ma non sarà il figlio di Davide, non verrà a restaurare il regno di Israele, ma il figlio di Dio verrà ad inaugurare il regno di Dio, l’amore universale del Padre.  Come sta scritto nel profeta Isaia … e qui in realtà l’evangelista fa un collage di tre testi, in cui c’è naturalmente anche il profeta Isaia, ma apre anzitutto con il testo del libro dell’Esodo. E chiude poi quello di Isaia con l’Esodo. Il primo esodo è stato la collaborazione di tutti coloro che lo desiderano. Ed ecco la presentazione di chi è questo messaggero di Dio. E’ un inviato da Dio che prescinde da ogni istituzione religiosa. Vi fu Giovanni che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo … Il battesimo era un rito conosciuto, ci si immergeva nell’acqua a simboleggiare la morte al proprio passato, per iniziare una vita nuova. Quindi proclamava un’immersione in segno di morte al passato … di conversione, cioè cambiamento di vita. Se fino adesso hai vissuto per te, adesso vivi per gli altri, questo è il significato di “conversione” che l’evangelista adopera. Per il perdono dei peccati. Il cambiamento di condotta ottiene il condono di tutte le colpe, quindi è un atto esteriore per indicare un profondo cambiamento interiore. Ebbene, all’annunzio di Giovanni, di un battesimo per ottenere il perdono dei peccati, c’è una risposta inaspettata, incredibile. Infatti scrive l’evangelista: Accorrevano a lui … e qui l’evangelista adopera il verbo “uscire”, che è lo stesso adoperato nell’esodo per indicare la liberazione compiuta da Dio nei confronti del suo popolo. Accorrevano a lui da tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. Questo è sorprendente, perché a Gerusalemme c’era il tempio, il luogo preposto per il perdono dei peccati. Ebbene le persone comprendono che il perdono dei peccati non si ottiene attraverso un rito nell’istituzione religiosa, ma anzi bisogna allontanarsi per un cambio profondo della propria vita. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano … ecco un’altra indicazione dell’Esodo. Il Giordano è stato il fiume che il popolo d’Israele ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa. Confessando i loro peccati. Poi l’evangelista ci da una descrizione di questo Giovanni, che è la descrizione dei profeti. Infatti era vestito di peli di cammello, che era l’abito dei profeti, con una cintura di pelle attorno ai fianchi. Questa sottolineatura della cintura di pelle richiama il più grande dei profeti cioè il profeta Elia, quindi l’evangelista vuole rappresentare che quell’Elia che il popolo attendeva come precursore del Messia, si è manifestato nella figura di Giovanni Battista. E mangiava cavallette e miele selvatico. Quello che offre il deserto, il cibo normale dei nomadi e dei beduini. E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”. L’espressione di Giovanni Battista non è un attestato di umiltà, ma qualcosa di molto più profondo. Qui c’è un’allusione a ben tre testi, al libro del Genesi, al libro di Ruth e al libro del Deuteronomio, che si rifanno a una pratica chiamata del Levirato, da Levir, che in latino significa “cognato”. Qual era questa pratica? Quando una donna rimaneva vedova senza un figlio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il nome del marito defunto, in modo che il nome del defunto continuasse a perpetuarsi. Quando il cognato si rifiutava si mettere incinta la donna, colui che aveva diritto dopo di lui procedeva alla cerimonia chiamata “dello scalzamento”, scioglieva il legaccio dei sandali – era un rito particolare – si sputava sui sandali e stava a significare: il tuo diritto di mettere incinta questa donna passa a me. Allora la proclamazione di Giovanni Battista è molto più profonda. Lui dice: “non scambiate me per il Messia, lo sposo d’Israele, colui che deve fecondare questa donna, considerata come una vedova perché la relazione con Dio era ormai terminata, non sono io, ma colui che sta per venire”. Perché “io vi ho battezzato con acqua”, un rito esterno, l’acqua è qualcosa di esteriore all’uomo, “ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. L’azione di Gesù sarà un’immersione profonda, intima, interiore, nella stessa vita divina. Ecco allora la buona notizia che l’evangelista ha annunziato. La relazione con Dio non è più basata sull’osservanza della legge, ma sull’accoglienza del suo amore. E’ questo che guiderà la vita degli uomini.

Non giudicherà secondo le apparenze..”

il commento di p. Agostino Rota Martir che ‘legge’ il vangelo non da una sala parrocchiale o da uno studio teologico ma dalla sua convivenza con un gruppo di rom a Pisa:

p. agostino

 

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    • “Preparatevi, quando arriverò io risolverò tutto! Le cose cambieranno verso.”
    • “Colui che viene dopo di me è più forte di me..”

    Due logiche diverse, anzi opposte tra di loro. La prima, tipica del leader di successo, la seconda è di chi sa e si sente un messaggero di Qualcuno.

    La prima è di chi sentendosi forte, con sondaggi alla mano tende a restringere o addirittura annullare lo spazio dell’altro, visto come un ingombro alla propria iniziativa.

    L’altro, invece sceglie di “fare spazio all’altro”: atteggiamento tipico di Dio. Racconta un Midrash ebraico che quando Dio crea il mondo e l’uomo si rannicchia, proprio per fare spazio a ciò che nasce.. in un certo senso mi sembra più bello l’ atteggiamento di un Dio rannicchiato, che si ritrae perché l’altro cresca, rispetto a quello di un Dio creatore in piedi che domina e controlla l’andamento del mondo.

    Il leader, in genere è alla ricerca dei riflettori, il Battista invece sceglie di mettersi da parte, il deserto è il suo luogo di vita, ma anche lo spazio di osservazione, la sua periferia dalla quale guardare il mondo e le persone.

    In genere, il primo gioca un po’ ad essere “come Dio”, il secondo invece, cerca Dio nelle pieghe nascoste degli uomini. Nel Mistero dell’incarnazione Dio che si fa uomo! Un Dio che si converte all’uomo, mischiandosi con l’umanità con tenerezza e sapienza.

    “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse..non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire.” (Is. 11, 1.3)

    I tempi del germoglio sono lenti e costanti, non dettati dalla fretta dei risultati. E poi un germoglio è imprevedibile, proprio come il Dio dei profeti sempre al fianco dei poveri. Per i poveracci di ieri, quando Isaia pronunciò queste parole, e quelli di oggi le cose per loro non sono cambiate di molto. Stesso destino, esclusi e visti spesso come causa delle crisi, stessi atteggiamenti di pregiudizio. Gli spazi per i poveri si riducono sempre di più, visti con disagio e sospetto e affidati alla gestione a persone senza scrupoli, affaristi e con la puzza sotto il naso.

    “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello..”

    Sogno o stimolo perché la fede in Dio sia capace di entrare nei cuori di tutti? In quello dei prepotenti, come in quello delle loro vittime.

    I lupi che vorrebbero i Rom nei forni crematori, sapranno un giorno vivere insieme, accogliendosi nel rispetto reciproco? Il lupo oggi ha tante sembianze, tanti volti, sa presentarsi bene, si trasforma velocemente, segue il vento che tira, ma anche l’agnello può diventare lupo a sua volta, verso il più debole di lui. Ecco, quindi l’urgenza del vigilare (domenica scorsa), e l’invito di questa domenica alla conversione: saper fare spazio all’altro, perché “il Regno dei cieli possa farsi vicino”.

     

     

    pamela adami e agostino rota martir al ccit 2014

    bambino rom

     

    Sinti e rom in Italia: lettura socio-culturale e quadro pastorale

    Di cosa e chi parliamo? lettura socio-culturale

    Pamela Adami

    Questa prima parte presenta dei dati: dunque sembra che il problema sia solo trovarli [i dati] e enumerarli, indicando suddivisioni e mostrando proporzioni. In realtà anche questo primo punto richiede alcuni rilievi critici, che spiegano la difficoltà a individuare “numeri” precisi: – un censimento su base etnica è sempre implicitamente discriminatorio – quando è stato compiuto in Italia in regime di presunta “emergenza” ha avuto tratti intimidatori che sono stati anche denunciati alle autorità di garanzia – c’è comunque molta reticenza a dichiarare un’identità disprezzata: questo l’ha ben spiegato la dott.ssa jovanovic. Anche chi non vuole essere identificato su base etnica “esiste” e deve comunque essere rispettato.
    Anche il rapporto UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscrimazioni Razziali), cioè il documento che delinea le strategie di inclusione 2012-2020, in risposta alla Comunità Europea’ parla di questa difficoltà. Di fronte alla richiesta di dati numerici, anche l’autorevole documento riferisce la stima complessiva ormai tradizionale – da 110.000 a 180.000 unità – pari allo 0,23% della popolazione nazionale. Quando presenta prospetti su base regionale, si limita a dividere proporzionalmente la cifra. Molto probabilmente questi rilievi sono sottodimensionati, ma in ogni caso i numeri non sono neppure lontanamente paragonabili a quelli degli altri paesi europei, soprattutto dell’Est. E’ importante osservare tuttavia che a fronte di una esiguità numerica, la presenza rom è spesso oggetto di interventi dei mass-media e pretesto per campagne politiche identitarie e razziste. La relazione che si instaura tra contesto maggioritario e fenomeno rom è perciò una sorta di “termometro” della salute nazionale.
    Presentiamo dunque la situazione dal punto di vista a) delle denominazioni b) delle appartenenze religiose c) della cittadinanza d) delle tipologie abitative e) dell’emergere di associazioni politiche e culturali rom.
    a) Le denominazioni. Ci riferiamo, come d’abitudine nella realtà italiana, a Sinti e Rom, coppia di termini [endiadi] che attraverso le due suddivisioni principali vuole indicare tutti i gruppi romane presenti in Italia. Per noi – per la mia personale esperienza e per la pastorale italiana – il termine zingari è dispregiativo e per questo evitiamo di utilizzarlo2. Quando utilizziamo il termine Rom lo facciamo in senso generale, senza badare alle sottodistinzioni, alle diverse forme di plurale “includendo” il femminile.
    b) Appartenenza religiosa. Data la particolare “ingegneria culturale” praticata [assunzione selettiva di elementi del contesto maggioritario di inserimento] non stupisce che un grande numero sia battezzato nella chiesa cattolica; i rom di origine serba e dei paesi vicini sono prevalentemente ortodossi; quelli originari di Kossovo, Macedonia, Montenegro, Bosnia sono musulmani, con una presenza anche di Dervisci, soprattutto fra i Kossovari e Macedoni. Pur a prezzo di generalizzazione, si può affermare che una religiosità molto profonda spesso si accompagna a scarsa fidelizzazione alle istituzioni confessionali. In questo senso le eccezioni confermano la regola: tale è il caso delle famiglie che da anni sono legate a gruppi di presenza pastorale e che sono più consapevolmente “appartenenti” a una chiesa di riferimento, con relativa iniziazione e pratica sacramentale. Diversa l’appartenenza evangelical pentecostale, caratterizzata da pratica assidua, spesso dalla manifestazione di profonde convinzioni che entrano a far parte non tanto di quello “che si dice se richiesti” ma della autoconsapevolezza di gruppo. In questo caso l’appartenenza religiosa alla Missione Evangelica Zigana3 legata alle Assemblee di Dio in Italia fa parte di un più ampio fenomeno di identità e visibilità, che si manifesta sia in prospettiva religiosa che culturale e politica.
    c) Cittadinanza. In maggioranza si tratta di cittadini italiani da molte generazioni (Sinti; Rom detti abruzzesi – italiani.. da quando esiste un’anagrafe nazionale (!) e Rom kalderasha cittadini dalla fine dell’800) e di cittadinanze più recenti, fra i discendenti di persone [di origine istriana, slovena e croata] che hanno fatto l’opzione per la cittadinanza italiana dopo il secondo conflitto mondiale. Vi sono poi cittadini “comunitari” UE, come i Rom rumeni di relativamente recente immigrazione e alcuni “extracomunitari”, con passaporti delle repubbliche ex-Jugoslave, come i Rom di origine Serba e Kosovara. Difficile in questo senso la situazione di coloro che sono giunti negli anni ’60 da Bosnia e Montenegro: i loro figli e nipoti sono nati qui, ma spesso non hanno documentazione valida né del paese di provenienza, che non “esiste più” come tale, né italiana. Come suggestivamente si esprime Leonardo Piasere, si tratta di un “mondo di mondi” (Piasere 1999), la cui storia in Europa (Piasere 2004) si ricostruisce soprattutto attraverso i bandi di cacciata e le persecuzioni, fino alla Shoà o ad iniziative raccapriccianti come quelle realizzate dalla Pro luventute, che sottraeva i bambini jenisch alle loro famiglie, sterilizzando le bambine. Ricerche italiane – su finanziamento Migrantes – hanno permesso di mostrare anche un fenomeno di adozioni, tale da poter parlare di “sottrazione di bambini rom” (Saletti Salza).
    d) Situazione abitativa. Si deve distinguere fra le metropoli – Milano, Roma, Napoli – e il più vasto territorio italiano. Nelle grandi città ci sono insediamenti numerosi e a questa realtà si riferisce in prevalenza la realizzazione dei “campi” (campo= lager; terrain). Vi è però anche una presenza sul territorio nazionale molto diffusa: a fronte di alcuni campi pubblici e/o riconosciuti, vi sono insediamenti in roulottes/case mobili in terreni privati – di affitto o proprietà; famiglie che abitano in case rurali e anche in appartamenti in città, questi prevalentemente di edilizia popolare. Nel sud italiano i grandi concentramenti sono soprattutto di rom di origine
    rumena e kossovara, mentre i cosiddetti “rom italiani” abitano in case, spesso vicini tra loro. Come si è detto sopra, non sono infrequenti i casi di persone che, qualora sia possibile, non svelano la propria origine rom. Non si può nascondere che a fronte di un interesse diffuso e di buone pratiche – o comunque di buone intenzioni nello svolgerle – si deve registrare molto pregiudizio, che arriva a posizioni intolleranti, a atteggiamenti razzisti, a pratiche escludenti.
    e) associazioni e studiosi rom: anche se non si può paragonare la situazione italiana con il resto dell’Europa, sempre di più si sta facendo strada un ceto intellettuale rom e soprattutto un associazionismo che prende parola sul terreno politico ed è in costante contatto sul web.

    1 Il documento si può scaricare agevolmente: http://109.232.32.23/unar
    2 Il termine “zingari”, che ha dei corrispettivi in tutte le lingue europee, è una categoria sintetica che si riferisce con uno stigma negativo a gruppi dalle diverse autodenominazioni, Leonardo :Piasere parla di categoria politetica rossi d’Europa. Una storia moderna, Laterza, Roma-Bari 2004, 3;151 Osserva inoltre: «Ci sono almeno due modi di guardare e descrivere i rom e gli altri gruppi detti “zingari”. Il primo ruota attorno ai concetti di integrazione e anomia, anche quando tali termini non sono apertamente pronunciati. […]. Il secondo considera il rapporto tra rom e non zingari come fortemente radicato nel continuum spazio-temporale della modernità europea e come suo momento strutturale profondo» (ibidem, VII)
    3 Httn-//wwwme,italia blogsnot it vvww.adi-mez. it che dà voce alla Missione Evangelica Zigana e alla più recente aggregazione dei Sinti Italiani Evangelici

     Quadro pastorale

    Agostino Rota Martir

    agostino

    Non è certo facile raccontare l’attenzione pastorale della Chiesa verso I Rom-Sinti, è un cammino lungo, articolato e complesso, dove non sono mancati strappi e divergenze. Senz’altro è un cammino ricco di intuizioni, di scelte coraggiose e profetiche, grazie anche a persone che sono state capaci di leggere l’azione dello Spirito che agiva, non solo dentro la Chiesa ma anche dentro la vita dei Rom-Sinti. Basti pensare che fin dal 1930 don Dino Torregiani, con l’aiuto di donne già si dedicava alla cura spirituale di queste persone. Da queste attenzione nascerà all’interno della Chiesa Italiana “L’assistenza religiosa agli spettacoli viaggianti e ai Circhi equestri” e in seguito la “Missione Cattolica tra gli zingari”. Nel 1963 un altro sacerdote don Bruno Nicolini fonderà l’Opera nomadi, che curava soprattutto la promozione sociale e l’O.A.S.N.I. (Opera Assitenza Spirituale Nomadi in Italia). Altre figure si inseriranno in questo percorso, alcune note altre quasi del tutto sconosciute, arricchendolo con le proprie energie, intuizioni e carismi. Lo stesso don Mario Riboldi, prete milanese che poco prima del Concilio Vaticano II è inviato dall’allora cardinale Montini (vescovo di Milano), con il compito di evangelizzare questi gruppi che giravano nel territorio. Quasi contemporaneamente anche una fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù andò a vivere in carovana, condividendo la vita dei Rom. Da queste esperienze si svilupperanno altre presenze di sacerdoti, religiosi e laici che andranno a vivere tra i Rom-Sinti in diverse città italiane. Queste presenze tra i campi Rom-Sinti sono espressioni sia della Chiesa locale o di singole Congregazioni religiose, ma non meno importanti quelle di tanti laici e famiglie che attraverso la loro presenza e amicizia con i Rom porteranno un contributo significativo alla nascita dell’U.N.P.R.eS. nel 1987, settore della Migrantes (Ufficio Nazionale Pastorale Rom e Sinti), che di fatto sostituirà l’OASNI. Per vari decenni coloro che faranno riferimento alla “Chiesa che vive tra le carovane”, si daranno fedelmente appuntamento in diverse località per rinnovare la propria fedeltà al Vangelo, per conoscere e approfondire aspetti della cultura Romanes, il senso di una presenza e amicizia con i Rom-Sinti e per leggere e capire meglio le variegate dinamiche sociali. A scadenza biennale veniva anche organizzato un Convegno Nazionale con lo scopo di sensibilizzare e approfondire argomenti di carattere biblico, antropologico e sociale. Era un appuntamento importante che serviva non solo per saldare amicizie e conoscenze, ma anche per rafforzare il senso di appartenenza ecclesiale. Una caratteristica dell’U.N.P.R.eS. sarà quella di essere attenta e rispettosa della cultura dei Rom-Sinti, cercando di vivere di fatto e “dal di dentro la spiritualità dell’incarnazione” (non a distanza!) e di stimolare il più possibile l’attenzione delle Chiese locali verso queste persone. I Rom e i Sinti non sono di chi si “occupa di loro” (Associazioni, singoli..) ma fanno parte della Chiesa di quel territorio: “Voi siete nel cuore della Chiesa”, come ebbe a dire papa Paolo VI ai Rom. Ci siamo riusciti? Difficile dirlo anche perche le difficoltà ci sono, visioni differenti.. e le ferite rimangono tutt’ora aperte.. Dovendo sintetizzare il rapporto attuale della Chiesa Italiana con i Rom-Sinti elenco 3 tipi di linee fondamentali che mi sembra di cogliere, anche se spesso queste 3 presenze a volte s’intrecciano, dialogano ma anche si scontrano tra di loro. Senz’altro, ognuna a modo suo esprime con sensibilità diverse l’attenzione pastorale della Chiesa verso i Rom-Sinti. 1. La Chiesa dei “progetti” per l’integrazione. 2. La Chiesa che evangelizza. 3. La Chiesa con “l’odore delle pecore”.
    1. La Chiesa dei “progetti” per l’integrazione.
    In genere la società italiana vede i Rom come un problema. Non mancano di certo Associazioni Cattoliche e religiose, Caritas, il ricco mondo del volontariato, le cooperative sociali, la comunità di S. Egidio e altre più nascoste impegnate in tal senso: perché spesso l’imput è quello di “risolvere il problema Rom”, spesso è questo che la società chiede alla Chiesa, di offrire un contributo di fronte a questo difficile problema. E’ quello della Chiesa un impegno variegato, anche se spesso saltuario e discontinuo, che sintetizzo sotto la voce promozione umana e sociale dei Rom e che si propone direttamente la loro integrazione, attraverso l’assistenza, la scolarizzazione, la collaborazione a progetti di inclusione delle singole Amministrazioni locali. Se da un lato c’è da riconoscere un lodevole impegno di collaborazione con le realtà laiche del tessuto sociale, dall’altro spesso queste iniziative non sono studiate con l’effettiva partecipazione e coinvolgimento dei diretti interessati. Avvengono quasi sempre a “distanza di sicurezza” dai Rom e Sinti.
    2. La Chiesa che evangelizza.
    Anche qui il discorso diventa variegato, ricco di testimonianze e di stimoli differenti tra loro. Le iniziative non mancano e anche ricche di esperienze e approcci significativi. Anche se non sono poche le Diocesi che impegnano personale e catechisti per un annuncio del Vangelo ai Rom-Sinti, soprattutto in occasione dei Sacramenti, o di funerali ma permane nelle singole Chiese locali una diffidenza di fondo o la completa incapacità di porsi in una relazione normale con le famiglie Rom. E’ possibile evangelizzare senza una relazione umana di amicizia e di un minimo di conoscenza del mondo “zingaro”? In questo senso è significativa l’esperienza pluridecennale di don Mario Riboldi capace di coniugare insieme, il ricco e paziente lavoro di traduzioni in diverse lingue romanes di testi della Bibbia con momenti di preghiera e catechesi a diversi gruppi Rom-Sinti.

    don Mario

    don Mario Rigoldi

    Ma c’è anche un annuncio che si sviluppa all’interno della vita dei campi Rom-Sinti, fatto di incontri, di relazioni, di occasioni non programmabili ma altrettanto ricci di fascino evangelico e di Spirito che lavora misteriosamente e in silenzio, senza scalpore o tocco di campane e spesso al’insaputa dei stessi Rom. E’ pur vero che da diverso tempo la Migrantes Italiana sollecita le diocesi all’attenzione pastorale dei migranti, ma quasi sempre questa sollecitazione viene tradotta sempre in percorsi di carità o di progetti sociali: “Diteci cosa fare per risolvere questo problema dei Rom”.
    3. Una Chiesa con l’odore delle pecore.
    C’è una piccola porzione di Chiesa che “testardamente” crede che è possibile vivere il “Vangelo con i piedi” dentro queste periferie, che in genere sono i campi Rom-Sinti. Non a distanza ma dentro: condividendo, accompagnando e custodendo amicizie, percorsi anche difficili, ma vissuti insieme. La “missione” non è tanto quella di organizzare progetti, nemmeno quella di volerli integrare nei nostri schemi o di porsi come risolutori del “problema Rom”, ma semplicemente essere una “presenza ponte” capace di accogliere, di bene-dire, di comprendere punti di vista diversi. Un campo Rom-Sinti è sempre visto con sospetto e diffidenza e il fatto che dentro ci viva una comunità di suore, dei preti o è frequentato da “gagè” amici di Rom non cancella il sospetto, anzi spesso cade anche su costoro. .è l’odore delle pecore che avvolge chiunque frequenti i Rom-Sinti gratuitamente! Può forse essere credibile uno/a che sta semplicemente dalla loro parte senza offrire contributi di alcun genere? Ma è un “odore” che permette di decifrare il respiro del Vangelo, mischiato a tanti altri. .e di rendere grazie a quel Dio che “non fa preferenza di persone”.

     

     

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