Papa Francesco “Un sacrilegio uccidere in nome di Dio”
così si è espresso papa Francesco ieri nella sua visita pastorale in Albania ricostruita nelle parole seguenti da A. Tornielli su ‘La Stampa” del 22 settembre 2014:
«Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano!». Francesco compie una visita-lampo di dieci ore a Tirana, in Albania, Paese a maggioranza musulmana dove i cristiani di diverse confessioni e i seguaci dell’islam convivono pacificamente e collaborano, e da qui ricorda con parole forti che non si strumentalizza il nome di Dio per uccidere e discriminare. Francesco è nel cuore dei Balcani, nel suo primo viaggio in ambito europeo, ma il suo è un messaggio che si riferisce a tante situazioni del mondo, a cominciare da quella drammatica dell’Iraq. Nel Paese delle aquile, Jorge Mario Bergoglio ha voluto venire per due motivi: incoraggiare un modello di convivenza che è l’opposto dello scontro di civiltà, della guerra di religione fortemente voluta dai fondamentalisti e teorizzata come ineludibile da molti anche in Occidente. Il Papa ne parla in due momenti della breve e intensissima giornata albanese: rivolgendosi alle autorità politiche nel palazzo presidenziale di Tirana, e di fronte ai leader di cinque diverse comunità religiose, islamiche e cristiane, che incontra nell’università dei padri concezionisti. «Nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e di sopraffazione! Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo!», afferma Francesco, che dice di rallegrarsi per la «felice caratteristica» dell’Albania (che in volo definisce «Paese europeo»), da preservare «con ogni cura e attenzione»: la pacifica convivenza e la collaborazione tra appartenenti a diverse religioni. Un bene, sottolinea il Papa, che «acquista un rilievo speciale in questo nostro tempo nel quale, da parte di gruppi estremisti, viene travisato l’autentico senso religioso e vengono distorte e strumentalizzate le differenze tra le diverse confessioni, facendone un pericoloso fattore di scontro e di violenza». «L’intolleranza verso chi ha convinzioni religiose diverse dalle proprie» è «un nemico molto insidioso», che oggi «purtroppo si va manifestando in diverse regioni del mondo», osserva il Papa. L’invito, che aggiunge a braccio, alzando gli occhi dal discorso preparato, è a camminare insieme, «a partire dalla propria identità, senza fare finta di averne un’altra» perché questo sarebbe «ipocrisia». Avendo come impegno comune tra le diverse fedi la risposta ai bisogni dei poveri e il cammino verso «una giustizia sociale più diffusa, verso uno sviluppo economico inclusivo». Al suo arrivo nella capitale albanese Francesco ha ricevuto un’accoglienza calorosa: 300 mila persone, certamente non solo i cattolici o i cristiani, si sono accalcati per salutarlo sulla strada dove sono state innalzate le immagini di quaranta sacerdoti uccisi dal regime comunista, uno dei più terribili della storia, che aveva voluto inserire l’ateismo nella Costituzione. Poco prima che l’aereo papale atterrasse, in una moschea di Tirana, la comunità islamica si è riunita a pregare perché la visita riuscisse bene. E Papa Bergoglio ha sempre usato la papamobile scoperta, a dimostrazione che certi allarmi per la sua sicurezza rilanciati nei giorni scorsi sono eccessivi e che comunque lui non intende rinunciare al contatto con la gente. Tra rovesci improvvisi di pioggia e sprazzi di sole, nella piazza dedicata a un’albanese illustre, la beata Madre Teresa di Calcutta, Francesco ha celebrato la messa ricordando il sacrificio dei tanti martiri del Paese e ha detto di voler deporre il fiore di una preghiera nel luogo del cimitero di Scutari dove avvenivano le fucilazioni
Le lacrime e l’abbraccio al prete sopravvissuto al comunismo
così ancora Andrea Tornielli in “La Stampa” del 22 settembre 2014:
Francesco ascolta la sua testimonianza in silenzio, poi quando l’anziano sacerdote che ha trascorso 27 anni ai lavori forzati si inginocchia davanti a lui, lo risolleva, mette la fronte sulla sua e lo abbraccia a lungo, stringendolo a sé. Piange Papa Bergoglio, anche se non vuole darlo a vedere e prima di girarsi nuovamente verso i sacerdoti e le religiose che si stringono attorno a lui nella cattedrale di Tirana, si toglie gli occhiali asciugandosi gli occhi. È commosso per il racconto che ha appena ascoltato e per l’umiltà con cui quel vecchio prete, don Ernest Simoni, ha descritto la sua storia di vittima del comunismo. «Davvero sentire parlare un martire del proprio martirio è forte – dirà poco dopo il Papa ai giornalisti sul volo che da Tirana lo riporta a Roma – credo che eravamo tutti commossi per questi testimoni che parlavano con naturalezza e con un’umiltà, e sembravano quasi raccontare le storie della vita di un altro». Padre Simoni venne arrestato dalla polizia comunista nel 1963, avrebbe riassaporato la libertà soltanto nel 1990, dopo una vita ai lavori forzati. «Mi dissero: tu sarai impiccato come nemico perché hai detto al popolo che moriremo tutti per Cristo se è necessario». Lo hanno torturato, accusato di aver detto una messa di suffragio per l’anima del presidente Kennedy morto un mese prima, che «io celebrai secondo le indicazioni date da Paolo VI a tutti i sacerdoti del mondo». Nella cella d’isolamento portarono un suo amico col compito di spiarlo, e siccome don Ernest continuava a dire che «Gesù ha insegnato ad amare i nemici e a perdonarli, e che noi dobbiamo impegnarci per il bene del popolo», la pena di morte gli fu commutata ai lavori forzati. «Durante il periodo di prigionia, ho celebrato la messa in latino a memoria, così come ho confessato e distribuito la comunione di nascosto». «Con la venuta della libertà religiosa – ha concluso il sacerdote – il Signore mi ha aiutato a servire tanti villaggi e a riconciliare molte pe one in vendetta con la croce di Cristo, allontanando l’odio e il diavolo dai cuori degli uomini».