natale: dove nascerebbe oggi il bambino?

 

 

 

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Il bambino oggi sarebbe nato in un campo profughi

Il Medioriente sull’orlo dell’abisso

 in un poco più che ‘biglietto natalizio’, nel suo Huffigton Post, Lucia Annunziata tenta di rispondere alla domanda: Gesù bambino dove nascerebbe oggi?

” queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo”

Il bambino la cui nascita festeggiamo, sarebbe nato oggi in un campo profughi. E non si parla qui di buoni sentimenti natalizi. E nemmeno si parla qui di cattolici e mussulmani, di ebrei e palestinesi, sunniti e sciiti.

I Maria e i Giuseppe odierni, in fuga dai despoti di turno, gli Erode sempre in forza in Medioriente, qualunque sia la loro denominazione, non avrebbero certo modo di  raggiungere l’Egitto da Betlemme, o il Libano dalla Siria, o la Giordania dall’Iraq, o, se è per questo, l’Italia dalle spiagge della Libia. Ed è probabile che la loro vita finirebbe con l’essere quella delle centinaia di migliaia di rifugiati che in questo momento sono sospesi fra confini nazionali e religiosi ormai collassati.

Mai come in questo Natale è evidente che i luoghi dov’è nata una buona parte della identità, volere o meno, del mondo in cui viviamo, sono vicini alla loro scomparsa. Il Medioriente come lo conosciamo è sull’orlo dell’abisso. In decenni di conflitti, terrorismo e guerre internazionali, pure non si è mai verificata la situazione attuale con ben quattro grandi stati, Iraq, Siria, Egitto e Libia, contemporaneamente e di fatto in piena guerra civile.

Il giorno della nascita del bambino di Betlemme ha fornito – involontariamente – il termometro di quanto alta sia la temperatura. In Egitto un’auto bomba contro le forze di sicurezza ha ucciso alla vigilia del Natale 13 persone e ne ha ferito 134. L’auto bomba, tragico simbolo delle guerre fratricide mediorientali, arma resa famosa dalla guerra in Libano negli anni Ottanta, rispunta ora in varie altre nazioni, come una rondine di una nuova tragica primavera.

L’auto di cui parliamo è esplosa nella città di Mansoura, nel Delta del Nilo. Ma di esplosioni in Egitto se ne contano ormai molte, dopo la cacciata del Presidente Morsi, e il  ritorno al potere dei militari. Molti degli attentati sono avvenuti in Sinai, ma il 5 Settembre è al Cairo che una bomba contro il convoglio in cui viaggiava quasi uccide il Ministro degli Interni Mohamed Ibrahim.

Rimanendo in argomento, è sempre un’auto bomba, la prima, quella usata in Libia alcuni giorni fa per attaccare a 50 chilometri da Bengazi, in direzione del confine con l’Egitto, un checkpoint militare. Sette le vittime.

Natale è stato invece festeggiato in Siria (e sì, ci sono ancora cristiani in quella nazione) da botti speciali: il 23 dicembre è stato il decimo giorno di bombardamenti sull’antica città di Aleppo. Impiegate, come si diceva, bombe speciali, si chiamano barrel bomb e sono semplici barili imbottiti di esplosivo e ogni sorta di pezzi di metallo, che rilasciano una micidiale pioggia di schegge all’impatto. Vengono buttate dagli elicotteri, costano molto poco, sono facili da fare, e non sono nella lista delle armi bandite dalle convenzioni internazionali, come quelle chimiche (su cui il mese prossimo si dovrebbe tenere una prima conferenza internazionale).

Secondo l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, organizzazione basata a Londra, nell’ultima settimana in Siria le vittime del conflitto sarebbero 1,460. Ad Aleppo le vittime sarebbero 364, di cui 105 bambini. E ancora un’altra strage, questa volta a Bagdad, nel giorno di Natale, con un’autobomba che è esplosa vicino a una chiesa nel sud della città subito dopo una funzione di natale. I morti sarebbero almeno 15.

Mi fermo qui.

Non voglio neppure toccare il perché e il per come di quanto accade. Di libri e analisi sul Medioriente ne abbiamo pieni gli scaffali, e senza grande utilità, in verità. Prova che il sapere non porta necessariamente a soluzioni.

Diciamo che queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo.

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