l’apocalisse è a un passo ed è climatica
l’allarme dell’“Osservatore Romano”
Eletta Cucuzza
da: Adista Notizie n° 44 del 17/12/2016
«Il mondo è sull’orlo di un’apocalisse climatica». Lapidaria e disperante, la frase apre un articolo de L’Osservatore Romano del 2 dicembre (“Apocalisse climatica”), il cui scopo va al di là della semplice informazione, è insieme allerta e sprone, perché il «riscaldamento globale rischia di produrre cambiamenti radicali sulla società umana, in primis a livello geopolitico e demografico»
«Le previsioni più attendibili – scrive il quotidiano ufficioso della Santa Sede – parlano di almeno 350 milioni di “migranti ambientali” (ovvero migranti causati da rischi legati al clima) entro il 2050»; e «entro il 2020 ben sessanta milioni di persone potrebbero spostarsi dalle aree desertificate dell’Africa subsahariana verso il Nord Africa e l’Europa». Previsioni realistiche se si guarda ai dati più recenti riferiti dal quotidiano: «Secondo l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Iom), nel 2014 la probabilità di essere sfollati a causa di un disastro è salita del 60 per cento rispetto a quarant’anni fa. Per l’Internal Displacement Monitoring Centre del Norwegian Refugee Council, dal 2008 al 2015 ci sono stati 202,4 milioni di persone delocalizzate o sfollate, il 15 per cento per eventi geofisici come eruzioni vulcaniche e terremoti, e l’85 per eventi atmosferici. Nel solo 2015 gli sfollati interni allo stesso stato sono stati 27,8 milioni, di cui 8,6 milioni provocati da conflitti e violenze e 19,2 milioni da disastri naturali, intensi e violenti. L’Unhcr, nel Global Trend 2016 dà, invece, numeri ben più sostanziosi: 40,8 milioni di profughi interni o sfollati nel 2015». Da pochi giorni, «la Fao ha lanciato un nuovo allarme per le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla lotta contro la fame. “Saranno 130 milioni le persone in più che soffriranno la fame e la malnutrizione come causa diretta dei cambiamenti climatici, se continuiamo con le politiche attuali”, ha detto Maria Helena Semedo, vicedirettrice generale della Fao». Secondo Semedo, «nei prossimi quindici anni vivremo un aumento della popolazione e, contemporaneamente, vedremo uno spostamento nelle città, dove è previsto che vivrà il 60% delle persone. Avremo quindi meno persone disponibili a produrre cibo», e sarà ancora più difficile, ha sottolineato la vicedirettrice della Fao, «raggiungere il nostro obiettivo di eliminare la fame nel mondo entro il 2030».
Eppure «la questione del legame tra cambiamenti climatici e migranti – evidenzia L’Osservatore – non ha ricevuto finora l’attenzione di molti ricercatori e dunque non esistono ancora ricerche approfondite su diverse questioni, tra cui anzitutto lo status di “migrante ambientale”. In effetti, i “migranti ambientali” non rientrano nei parametri della figura di rifugiato riconosciuta dalla convenzione di Ginevra. Per cui, a livello di protezione internazionale, non hanno alcun diritto. Bisognerebbe quindi, dicono numerosi esperti, superare la definizione di rifugiato e in questo l’Europa – sprona il quotidiano – potrebbe farsi promotrice presso l’Onu perché vengano riconosciuti diritti ai profughi economici e ambientali».
E poi «servono politiche incisive, basate su misure concrete, che possano favorire le popolazioni più deboli», suggerisce L’Osservatore, che fa eco ancora alla proposta di Maria Helena Semedo: «Dobbiamo – ha detto la vicedirettrice della Fao – modificare il nostro modo di produrre verso uno più sostenibile, come discusso nell’evento di oggi: è necessario un approccio più integrato, che aiuti le popolazioni a diventare resilienti rispetto ai cambiamenti climatici. Altrimenti diventeranno più povere e aumenterà l’insicurezza alimentare».