Israele sta uccidendo anche con le nostre armi

Armi e sistemi bellici, Italia primo fornitore Ue di Israele. Rete Disarmo: “La smetta”

“Nel 2012 rilasciate autorizzazioni per 470 milioni di euro per l’esportazione di sistemi militari verso lo Stato israeliano”, spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa: più del doppio di quanto totalizzato insieme da Germania e Francia. L’organizzazione: “Vendiamo armi a una delle parti in conflitto, come possiamo essere mediatori?”. Appello dei deputati Pd: “Serve un embargo immediato”
Armi

mentre tutto il mondo si dice preoccupato dei morti nella Striscia di Gaza – hanno già superato i 200, la maggior parte dei quali civili, con tanti bambini e donne – emerge da un’inchiesta di G. Beretta sull’export di armi italiane verso Israele che l’Italia ne è il primo fornitore Ue

di seguito il servizio in proposito uscito su ‘il fatto quotidiano’ del 16 luglio per la penna di G. Baioni:
 L’Italia supera Francia e Germania messe insieme nell’export di armi verso Israele: tra i paesi dell’Ue siamo di gran lunga il primo fornitore di sistemi militari dello Stato israeliano, con un volume di vendite che è oltre il doppio di quello totalizzato da Parigi o Berlino. Anzi, da soli quasi eguagliamo Francia, Germania e Regno Unito. Lo dicono i dati dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa. Numeri eloquenti, tanto più in questi giorni di guerra. Ed è per questo che la Rete Italiana Disarmo chiede un embargo immediato sulla vendita di sistemi d’arma a Israele: lo fa con un appello al presidente del consiglio Matteo Renzi e al ministro degli Esteri Federica Mogherini, che proprio ora si trova in missione in Medio Oriente. Appello a cui ieri hanno aderito alcuni deputati Pd guidati da Pippo Civati (Davide Mattiello, Luca Pastorino, Giuseppe Guerini, Paolo Gandolfi, Veronica Tentori) e la senatrice democratica Lucrezia Ricchiuti.

“L’Italia – spiega Giorgio Beretta, analista dell’Opal – è il maggiore esportatore dell’Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele: si tratta di oltre 470 milioni di euro di autorizzazioni per l’esportazione di sistemi militari rilasciate nel 2012 (dati del Rapporto UE) ed oltre 21 milioni di dollari di armi leggere vendute dal 2008 al 2012 (dati Comtrade)”. In percentuale, oltre il 41% degli armamenti regolarmente esportati dall’Europa verso Israele sono italiani. Secondo l’Osservatorio, solo negli ultimi tre anni si parla di 3,4 milioni di euro, a cui vanno aggiunti oltre 11,2 milioni di armi leggere non militari (difesa personale, sport, caccia), prodotte ed esportate per l’82% (cioè 9,2 milioni di euro) dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia. Nel corso degli ultimi tre anni le vendite autorizzate di armamento verso il governo di Tel Aviv hanno riguardato in particolare armi di calibro superiore ai 12,7 mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le imprese coinvolte figurano Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica spa.

«Nel maggio 2005, durante il terzo governo Berlusconi – prosegue Beretta – l’Italia ha ratificato un “Accordo generale di cooperazione tra Italia e Israele nel settore militare e della difesa”. Come altri accordi simili, anche quello con lo Stato di Israele definisce la cornice della cooperazione militare in diversi aspetti (misure gli scambi nella produzione di armi, trasferimento di tecnologie, formazione ed addestramento, manovre militari congiunte e ‘peacekeeping‘), ma l’intento principale è quello di facilitare la collaborazione dell’industria per la difesa italiana con quella israeliana. A tale accordo ne ha fatto seguito un altro: si tratta dell’accordo firmato nel 2012 – durante il governo Monti – “per la fornitura ad Israele di velivoli per l’addestramento al volo e dei relativi sistemi operativi di controllo del volo, ed all’Italia di un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra (OPTSAT -3000) e di sottosistemi di comunicazione con standard Nato per alcuni velivoli dell’AMI”.

L’ultimo esempio in ordine di tempo della nostra “collaborazione strategica” con Israele risale a pochi giorni fa: mentre era già in corso l’offensiva israeliana su Gaza, il gruppo italiano Alenia-Aermacchi (gruppoFinmeccanica) consegnava a Tel Aviv due M-346: “Sono due aerei addestratori – ci spiega Francesco Vignarca, coordinatore nazionale di Rete Disarmo – e come tali sono stati venduti e acquistati, ma sappiamo dalle loro schede tecniche che possono essere anche configurati come bombardieri leggeri“. In Israele li hanno già soprannominati “lavi”, che significa “leone”. Sul sito ufficiale della Israeli Air Force, se ne annuncia l’arrivo salutandolo come l’inizio di “una nuova era”: “I nuovi aerei porteranno un cambio significativo nell’addestramento delle future generazioni di piloti dell’IAF e dei sistemi d’arma ufficiali, nonché nelle procedure di formazione di tutta l’aviazione”. La consegna dei due velivoli è la prima trance di una commessa di 30 aerei: la vendita si iscrive nell’accordo di cooperazione militare siglato nel 2005 sotto il governo Berlusconi.

Le implicazioni politiche, secondo gli osservatori, sono evidenti: “Noi vendiamo sistemi d’arma a una delle due parti in conflitto, quindi non siamo equidistanti e la nostra posizione come mediatori ne è inficiata”, prosegue Vignarca. Ma non è tutto. Ai dati certi si aggiungono altre considerazioni: “Abbiamo venduto anche molte armi leggere ai paesi dell’area mediorientale. Nel caso della Siria, come abbiamo denunciato mesi fa, sappiamo che molte di queste armi sono confluite all’interno del paese. Lo stesso possiamo pensarlo per la Palestina. Non abbiamo prove in questo momento, ma in passato le abbiamo avute: le armi leggere hanno una circolazione carsica, sono molto meno controllabili. E finiscono dove c’è richiesta. Come in Iraq, quando i terroristi sparavano contro i nostri carabinieri con delle beretta”.

“Non va dimenticato – conclude Beretta – che l’Italia non solo esporta, ma anche importa armi da Israele, che negli ultimi due anni hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di euro, la qual cosa ne fa il quarto fornitore del nostro ministero della Difesa. La Simmel, ad esempio, importa componenti per bombe e la Beretta componenti per armi automatiche, come particolari modelli di pistole e di mitragliatori”. Per queste ragioni la Rete Italiana Disarmo chiede con forza “la sospensione dell’invio di sistemi militari e di armi nella zona. Il nostro Governo, che in questo semestre ha l’incarico di presiedere il Consiglio dell’Unione europea, si faccia subito promotore di un’azione a livello comunitario per un embargo europeo di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto, per proteggere i civili inermi e riprendere il dialogo tra tutte le parti”. Secondo loro, inoltre, tutto ciò avviene in aperto contrasto con la nostra legislazione relativa all’export di armamenti, che prevede (proprio nel primo articolo) l’impossibilità di fornire armamenti “a Paesi in stato di conflitto armato o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa




tutto serve per vendere armi!

Sel denuncia: La Marina militare porta le eccellenze italiane in Africa. Ma… sono armi

marina militare sel

vendita di armi dietro la promozione delle eccellenze italiane in un tour della portaerei Cavour della marina militare italiana in direzione Africa:

È arrivata oggi nel porto di Civitavecchia e salperà il prossimo mercoledì in direzione Africa. È la portaerei Cavour della Marina militare italiana, che, insieme ad altre tre navi battenti il tricolore, sarà impegnata in una missione denominata “Sistema paese in movimento”. Una sorta di tour che, come recita un comunicato ufficiale, “promuoverà le eccellenze italiane tra Penisola Arabica e Af”.

Una missione che coinvolge, oltre il ministero della Difesa, anche lo Sviluppo economico, l’Ice e il ministero dei Beni culturali. E che ha destato l’attenzione di alcuni deputati di Sinistra ecologia e libertà. Già, perché l’ammiraglia della flotta del Belpaese, insieme a “30.000 chilogrammi di pasta, 50.000 di farina, 18.000 di pomodori pelati, 27.000 litri di acqua distribuiti in 54.000 bottigliette e 12.000 litri di vino, Frutta e verdura fresca, ma anche mozzarelle e panettoni e pure 6.000 razioni di emergenza”, imbarcherà “stand delle aziende dell’eccellenza italiana”.

Vale a dire? Oltre a istallazioni dell’Expo 2015 e a uno stand delle infermiere volontarie della Croce Rossa, a bordo ci saranno anche prodotti di Finmeccanica, Blackshape, Beretta, Piaggio Aereo e Gruppo Volo (5 caccia intercettori, tre elicotteri da combattimento e un elicottero antinave e antisommergibile). “Altro che missione umanitaria” – hanno pensato gli esponenti del partito di Nichi Vendola – tanto più che il materiale da guerra verrà presentato in diversi paesi poco soliti ai pesi e contrappesi della democrazia rappresentativa. Senza contare che, a quanto sostengono i deputati, oltre ai 13 milioni di finanziamento da parte delle aziende, l’operazione costerà ai contribuenti sette milioni di euro.

Così Franco Bordo, Arturo Scotto, Donatella Duranti, Michele Piras, Giulio Marcon hanno preso carta e penna e hanno scritto al governo.

“È prevista una preponderante presenza di imprese industriali del settore militare e di produzione di sistemi d’arma con relativo marketing dei propri prodotti – si legge nell’interrogazione – considerato che aziende del gruppo Finmeccanica presenteranno a bordo della Cavour e sul ponte di volo la loro produzione più aggiornata: AgustaWestland (elicotteri NH90 e AW101), OTO Melara (sistema d’arma 127/64 LW Vulcano e relativa famiglia di calibri, STRALES evoluzione dei cannoni navali da 76 mm, munizione guidata DART)”. L’elenco continua, è lungo, e lo si può leggere di seguito nel testo integrale redatto dai deputati di Sel.

L’intero materiale verrà presentato in pompa magna in venti porti “di 13 Paesi africani e di 7 del golfo Arabico (la lista è reperibile in fondo all’articolo n.d.r.). Alcuni di questi sono Stati senza una democrazia parlamentare o caratterizzati da regimi autoritari, ed in alcuni di questi sono in corso conflitti armati”.

Così Bordo e colleghi avanzano alcune domande a Emma Bonino, a Mario Mauro e a Enrico Letta. Vogliono sapere se “il governo ritenga idoneo l’utilizzo di un gruppo navale della nostra flotta militare per scopi di natura commerciale, relativamente a prodotti di natura bellica”, se “si consideri legittima e opportuna la scelta di andare a vendere armamenti a paesi governati da regimi non democratici e/o con conflitti interni in corso, utilizzando peraltro strutture dello Stato Italiano” e se è opportuno stanziare soldi pubblici in tempo di crisi per un’operazione del genere.

Perché le risposte arrivi prima che la Cavour salpi, rimangono solo 48 ore.

Il comunicato della Marina militare italiana:

 La portaerei Cavour,  concreta rappresentazione del “Sistema paese in movimento” che nei prossimi mesi promuoverà le eccellenze italiane tra Penisola Arabica e Africa, si sta preparando a salpare dalla Base Navale di Taranto, sede del COMFORAL. Il conto alla rovescia è iniziato. Entusiasmo, volontà, organizzazione e passione: così l’unità della Marina Militare, comandata dal capitano di vascello Francesco Milazzo, disormeggia alle ore 23 di sabato 9 novembre, subito dopo il saluto delle famiglie; la prua dirigerà quindi  verso il porto di Civitavecchia dove la Nave approderà lunedì  11. L’ammiraglia della flotta riprenderà il largo nella tarda giornata di mercoledì 13 dando il via alla Campagna del Gruppo Navale Cavour che sarà guidato dall’ammiraglio di divisione Paolo Treu. Il Cavour sta terminando l’approntamento e mettendo a punto l’assetto operativo e logistico con il carico delle dotazioni, del carburante e degli olii combustibili. Intensa soprattutto l’attività di stivaggio che ha impegnato l’equipaggio. Qualche curiosità: sono stati imbarcati 30.000 chilogrammi di pasta, 50.000 di farina, 18.000 di pomodori pelati, 27.000 litri di acqua distribuiti in 54.000 bottigliette e 12.000 litri di vino. Frutta e verdura fresca, ma anche mozzarelle e panettoni e pure 6.000 razioni di emergenza  completano la ricca dotazione di una “cambusa” che in questa prima fase permetterà al Cavour l’autonomia per una trentina di giorni di navigazione con circa 800 persone a bordo, compresi i 550 membri dell’equipaggio. Il “cantiere” si completerà nei prossimi giorni con l’installazione degli stand delle aziende dell’eccellenza italiana presenti  a bordo e con l’imbarco delle ultime componenti: Gruppi Volo (cinque Sea Harrier AV8, tre elicotteri EH 101, un AB 212), Brigata Marina San Marco (con una settantina di fucilieri) e specialisti del Gruppo Operativo Subacquei del COMSUBIN. La campagna navale farà rientro a Taranto il 7 aprile del 2014. Quasi cinque mesi di navigazione per compiere il periplo completo del continente africano attraverso il Canale di Suez e per fare rotta verso la Penisola Arabica tornando in Italia attraverso lo Stretto di Gibilterra. Il Gruppo Cavour sara’ completato dalla Fregata Bergamini, dalla nave di supporto logistico Etna e dal pattugliatore Classe Comandanti, Borsini. La lunga navigazione, che toccherà una ventina di scali, oltre alla promozione delle eccellenze del Made in Italy, ricoprirà molteplici ruoli tra cui: assistenza umanitaria nei confronti delle popolazioni, sicurezza marittima attraverso operazioni di antipirateria e protezione del traffico mercantile nazionale, sostegno alle Marine dei paesi rivieraschi, in funzione di cooperazione, sviluppo e modernizzazione e supporto alla politica estera nazionale. Alla missione di promozione partecipano anche i ministeri degli Affari esteri, dello Sviluppo economico e dei Beni culturali e del turismo, l’Istituto per il Commercio estero, Fincantieri, alcune aziende del gruppo Finmeccanica, Expo 2015, Pirelli, Piaggio Aereo, Beretta, Blackshape, FederlegnoArredo, Elt, Intermarine, Mermec Group, MBDA, Sitael, e, per gli aspetti umanitari, le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana e le onlus Fondazione Francesca Rava e Operation Smile.

 

L’interrogazione di Sel

AL MINISTRO DELLA DIFESA AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERIPREMESSO CHE:

il Gruppo Navale della Portaerei Cavour, nave ammiraglia della Marina Militare, effettuerà una crociera di cinque mesi, con partenza il 13 novembre 2013 dal porto di Civitavecchia e rientro nel porto di Taranto il 7 aprile 2014;

la crociera toccherà i porti di 13 Paesi africani e 7 del golfo Arabico, ovvero Jedda (Arabia Saudita), Gibuti (Gibuti), Abu Dhabi (E.A.U.), Mina Sulman (Barhein), Kuwait City (Kuwait), Doha (Qatar), Mascate (Oman), Dubai (E.A.U.), Mombasa (Kenya), Antseranana (Madagascar), Maputo (Mozambico), Durban (Sudafrica), Cape Town (Sudafrica), Luanda (Angola), Pointe-Noire (Congo), Lagos (Nigeria), Tema (Ghana), Dakar (Senegal), Casablanca (Marocco) e Algeri (Algeria);

tale viaggio è chiamato “Sistema Paese in Movimento” e prevede l’utilizzo della Portaerei Cavour come spazio espositivo itinerante per la mostra dei propri prodotti da parte di alcune aziende italiane tra le quali: la ditta Beretta, Gruppo Ferretti, Blackshape, Ferrero, Federlegno Arredo, Elettronica, Intermarine, Mermec Group, Pirelli e Finmeccanica;

è prevista una preponderante presenza di imprese industriali del settore militare e di produzione di sistemi d’arma con relativo marketing dei propri prodotti, considerato che aziende del gruppo Finmeccanica presenteranno a bordo della Cavour e sul ponte di volo la loro produzione più aggiornata: AgustaWestland (elicotteri NH90 e AW101), OTO Melara (sistema d’arma 127/64 LW Vulcano e relativa famiglia di calibri, STRALES evoluzione dei cannoni navali da 76 mm, munizione guidata DART), Selex ES (fornitore e integratore di sistemi radar e di combattimento tra cui i sistemi imbarcati sulle fregate FREMM, una delle quali partecipa alla campagna), WASS (siluro pesante Black Shark, siluro leggero A244/S Mod. 3, contromisure e sonar), Telespazio (comunicazioni integrate e geoinformazione), MBDA (missili Aspide 2000, Aster 15 e 30, Marte MK2/S e Teseo/Otomat);

saranno presentati in tale occasione anche i sistemi d’arma missilistici che compongono il weapon package dell’Eurofighter, come il Marte ER (Extended Range), lo Storm Shadow, il Meteor e il Brimston DM (Dual Mode);

alcuni dei Paesi toccati dalla crociera del Gruppo Navale Cavour sono Stati senza una democrazia parlamentare o caratterizzati da regimi autoritari, ed in alcuni di questi sono in corso conflitti armati;

la crociera prevede un costo complessivo di 20 milioni di euro di cui, pare, 13 coperti dagli sponsor commerciali e 7 a carico dello Stato;

tra i compiti dei membri delle Forze Armate Italiane non risulta quello di facenti funzioni di agenti di commercio;

PER SAPERE:

se il Governo ritenga idoneo l’utilizzo di un gruppo navale della nostra flotta militare per scopi di natura commerciale, relativamente a prodotti di natura bellica;

se il Governo, in una fase come questa caratterizzata da considerevoli tagli alla spesa pubblica, ritenga corretta la scelta di utilizzare ingenti risorse del bilancio dello Stato per un’iniziativa con tali caratteristiche;

se si consideri legittima e opportuna la scelta di andare a vendere armamenti a Paesi governati da regimi non democratici e/o con conflitti interni in corso, utilizzando peraltro strutture dello Stato Italiano;

se il Governo sia stato preventivamente messo a conoscenza di tale iniziativa e se abbia dato il suo assenso;

se i Ministri, per quanto di competenza, non ritengano di dover intervenire immediatamente per la cancellazione di questa crociera.

 

On. Franco Bordo On. Arturo Scotto On Donatella Duranti On Michele Piras On Giulio Marcon




digiuno ipocrita: armi italiane ad Assad, e tante!

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L’Italia ha venduto armi ad Assad

Mentre i ministri digiunano e si lavora per una “soluzione politica” in Siria, il nostro Paese si attesta come il primo fornitore europeo per le spese belliche del regime nell’ultimo decennio

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Il governo italiano lavora per una “soluzione politica” alla crisi in Siria, con tanto di ministri pronti a seguire l’esempio di Papa Francesco, aderendo allo sciopero della fame. Compreso il ministro della Difesa Mario Mauro, lo stesso che in Parlamento si batteva per difendere l’acquisto dei cacciabombardieri F35. Non proprio degli strumenti di pace. Eppure i numeri relativi alle armi e alle esportazioni – disponibili anche sul portale ufficiale dell’Unione Europea, ndr – mostrano l’atteggiamento ipocrita del nostro Paese. Nell’ultimo decennio, Roma è stato il primo fornitore europeo per le spese belliche del regime di Assad. In particolare, come spiega la Stampa, sono stati modernizzati i tank del raiss. Dal 2001 la Siria – come sottolinea anche Wired – ha potenziato il proprio arsenale militare, comprando in licenza armi in Europa per 27 milioni e 700mila euro. Ben 17 arrivano proprio dal nostro Paese.

L’ITALIA E LE ARMI IN SIRIA 

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Se il maggior partner resta comunque la Russia, che ha venduto a Damasco carri armati, missili e aerei da caccia (78% delle armi per l’esercito di Assad) – come ricorda Grignetti sul quotidiano torinese – l’Italia non è comunque rimasta a guardare. Basta ricordare la maxi commessa da 400 miliardi di lire (ben 206 milioni di euro), la maggiore italiana di tutti gli anni ’90, poi proseguita fino al 2009, con direzione Damasco. Assad è stato rifornito con 500 sistemi di puntamento Turms, allora prodotti dalle Officine Galileo (oggi Selex Ed, del gruppo Finmeccanica, ndr). Dispositivi necessari per ammodernare i carri armati T72 di fabbricazione sovietica: gli stessi utilizzati adesso dai lealisti contro civili e ribelli. In pratica, un atteggiamento quantomeno ipocrita, di fronte agli afflati pacifisti degli ultimi tempi. Certo, quando l’Italia stipulò patti per vendere armi in Siria, era ancora il 1998, con il giovane Assad considerato dagli Stati Uniti come il politico che avrebbe riportato il proprio Paese tra i “paesi democratici” ed alleati. E l’Italia approfittò di questa situazione, riuscendo a stringere accordi economici non certo irrilevanti. Basta confrontare la commessa già citata da 400 miliardi con le armi acquistate da Francia (che si fermò a 241 miliardi) e Stati Uniti (poco più di 150). Nel 1998 la quota rilevante delle esportazioni di armamenti italiani si concentrò principalmente verso un solo paese: la Siria di Assad.

QUELLE ARMI VENDUTE AD ASSAD 

Ma a cosa serve il Turms montato sui carri T72? Grignetti ricorda come il sistema permetta all’esercito siriano di sparare in movimento e colpire anche di notte. Ovviamente, sarebbe complicato chiudere una commessa da 500 dispositivi in un’unica tranche: per questo i sistemi furono consegnati nell’arco di tempi più lunghi e consegnati negli anni, fino agli anni più recenti. Tanto da far diventare l’Italia, anche negli anni Duemila, come il maggior fornitore europeo di armi per il paese siriano. Va poi ricordato come le statistiche ufficiali raccontino soltanto il quadro dei contratti registrati. Non sono compresi né il mercato grigio, né quello in nero. Nonostante l’embargo deciso dall’Unione Europea e tutti neghino – ufficialmente – di rifornire i ribelli siriani che combattono Assad, nel Paese martoriato ormai da due anni dalla guerra civile le armi non sembrano essere mai mancate. I sospetti si concentrano soprattutto verso un l’aumento dell’export di armi leggere (pistole, fucili e bombe a mano) verso la Turchia, un Paese che rifornirebbe poi gli stessi ribelli.

Resta soltanto un’ipotesi, ma Wired crede che, considerata la vasta mole dei 500 sistemi Turms, forse troppi anche per l’esercito siriano, parte di queste armi siano finite segretamente tra le mani di Saddam Hussein.

ITALIA A DUE VOLTI 

Se oggi i ministri digiunano, l’Italia faceva al contrario importanti affari, garantendosi introiti importanti fino a poco tempo fa. E in pochi avevano obiettato o ricordato le armi italiane vendute ad Assad. Tutto mentre in Siria da due anni divampa una guerra che ha già fatto migliaia di vittime, con o senza utilizzo di armi chimiche. Secondo i dati forniti da Unimondo.org, che riprende le cifre ufficiali dell’Alto Commissario dell’Onu, 93mila sono già stati i morti, ai quali si aggiungono due milioni di rifugiati nei paesi limitrofi A. Sofia)




armi italiane che uccidono in Egitto

Egitto

Quelle armi italiane che uccidono i civili in Egitto

di Monica Ricci Sargentini

In questi giorni di violenza in Egitto le forze di sicurezza usano anche armi prodotte a Bergamo e Lecco per sgomberare i sit-in dei manifestanti pro-Morsi. E i morti sono più di 500. Ministro Bonino, cosa deve succedere in Egitto per sospendere l’invio di armi italiane? Questa domanda era già stata posta, il 27 luglio scorso, alla titolare della Farnesina dall’Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia, un’associazione che riunisce varie realtà sociali, dai missionari comboniani e saveriani a Pax Christi, fino alla Cgil della città lombarda. Il riferimento era agli scontri di piazza di quei giorni che avevano causato 75 morti. Oggi, però, il bilancio è ancora più pesante. Per questo la Rete Italiana per il Disarmo e l’Osservatorio OPAL di Brescia rinnovano la richiesta al ministro degli Esteri, Emma Bonino, affinché dichiari pubblicamente l’immediata sospensione dell’invio di armi in Egitto e si faccia promotrice in sede di Unione Europea di una analoga iniziativa fino a che la situazione nel Paese non si sarà chiarita.

Le esportazioni, secondo l’Osservatorio, sono in costante crescita, tanto che nel 2012, durante il governo Monti, hanno raggiunto i 28 milioni di euro. Tra di essi, viene detto, figura di tutto: dai fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle apparecchiature specializzate per l’addestramento militare. Con la riforma avvenuta lo scorso anno, spiega l’Opal, la titolarità delle esportazioni di materiali militari risiede nella nuova Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (Uama) presso la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (Dgsp) del Ministero degli Affari Esteri.

“Abbiamo apprezzato la costante attenzione e la profonda preoccupazione espressa dal ministro Bonino che nei giorni scorsi ha dichiarato in Parlamento che la situazione in Egitto è ancora esplosiva e permane il rischio di un bagno di sangue – ha spiegato in un comunicato Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo -. Crediamo perciò che sia venuto il momento per la Farnesina di passare dalle parole ai fatti decretando la sospensione dell’invio di armi e promuovendo in sede europea di un’analoga iniziativa per l’interruzione da parte di tutti i paesi dell’Unione dell’invio di sistemi militari all’Egitto, fino a quando la situazione non si sarà chiarita”.

Le esportazioni di armi dall’Italia all’Egitto sono in costante crescita e vedono il nostro Paese tra i cinque maggiori fornitori europei delle Forze Armate egiziane. Le autorizzazioni ministeriali per forniture di armamenti all’Egitto non superavano i 10 milioni di euro del 2010, sono salite a oltre 14 milioni di euro nel 2011 e lo scorso anno, col governo Monti, hanno toccato il picco di oltre 24,6 milioni di euro. E di conseguenza sono cresciute le consegne effettive di sistemi militari, che nel 2012 hanno superato i 28 milioni di euro. Esportazioni che sono tuttora in corso, visto che nei primi tre mesi del 2013 l’Istat ha rilevato spedizioni all’Egitto di armi e munizioni per oltre 2,6 milioni di euro.

Sorprende soprattutto la tipologia di armi esportate dall’Italia all’Egitto proprio tra il 2011 e il 2012, cioè durante le rivolte che hanno portato alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak e alla nomina del nuovo presidente Mohamed Morsi, oggi a sua volta destituito. Un vero e proprio arsenale: dai fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta alle munizioni della Fiocchi, dalle bombe per carri armati della Simmel alle componenti per centrali di tiro della Rheinmetall, dai blindati della Iveco alle “apparecchiature specializzate per l’addestramento militare”. Magari sono proprio le armi che vediamo in televisione e sui quotidiani in questi giorni.

Da segnalare lo strano caso delle munizioni prodotte dalla ditta Fiocchi. «Nel 2011 – evidenzia Carlo Tombola, coordinatore scientifico di OPAL –, cioè nel bel mezzo delle rivolte popolari, le esportazioni di munizioni dalla provincia di Lecco probabilmente prodotte dalla ditta Fiocchi. Si tratta di forniture per oltre 41.900 euro, che possono corrispondere ad oltre 100mila munizioni. Ricordiamo che – come ha documentato Amnesty International – in piazza Tahrir dopo gli scontri tra manifestanti e forze armate del 2011 sono stati ritrovati dei bossoli di munizioni della Fiocchi».

Riguardo alle esportazioni della Fiocchi, l’Osservatorio OPAL fa notare una costante anomalia. Da oltre dieci anni le effettive spedizioni di munizioni ad uso militare della Fiocchi non sono mai riportate nella Relazione della Presidenza del Consiglio: ci sono le autorizzazioni rilasciate dai Ministeri degli Esteri e delle Finanze (per i pagamenti) ma manca il riscontro dell’Agenzia delle Dogane.

«In parole semplici – commenta Tombola – da oltre dieci anni la Fiocchi sta esportando munizioni di cui l’Agenzia delle Dogane non dà alcun riscontro nelle Relazioni governative, quasi si trattasse di munizioni per armi ad uso civile o sportivo e non invece di munizioni da guerra e che come tali sono autorizzate e dovrebbero essere puntualmente riportate nella relazione governativa. Su questa stranezza, che potrebbe coprire ulteriori esportazioni di munizioni oltre quelle autorizzate, abbiamo chiesto con un’interrogazione parlamentare al ministro Bonino di fare subito chiarezza».