rischiamo di abituarci all’orrore

le foto choc

 i piccoli migranti morti

ma non possiamo abituarci all’orrore


l’orrore, un tanto al giorno, come una cura omeopatica somministrata ai nostri occhi, ci sta invadendo la coscienza e non ce ne accorgiamo
I piccoli migranti morti, ma non possiamo abituarci all'orrore
di Daniele Mencarelli

Nel settembre del 2015 il mondo gridò di orrore. Una fotografia stravolse l’opinione pubblica, fermò di colpo tutte le questioni interne ai singoli Stati, sembrò quasi cancellare qualsiasi forma di ordinaria amministrazione.

La fotografia era quella del piccolo Alan Kurdi, ritrovato senza vita su una spiaggia dell’Egeo. La sua famiglia, in fuga dalla Siria, tentò come altre migliaia di profughi di raggiungere l’occidente attraverso le tratte clandestine, nel loro caso dalla Turchia verso la Grecia. Partirono da Bodrum, ma il loro viaggio durò poco, pochissimo, il gommone sul quale viaggiavano si capovolse per il mare grosso e il peso eccessivo. Della famiglia Kurdi sopravvisse solo il padre, mentre la madre e i due figli, Ghalib e Alan, affogarono.
La fotografia di Alan con il volto nella sabbia, bagnato dalle onde del mediterraneo, con la sua magliettina rossa, i pantaloncini blu, ci rimase negli occhi per settimane. Una civiltà che permette una simile sciagura non è più una civiltà. Questo dissero, dicemmo, tutti. Talmente forte lo sdegno collettivo, e sincero, che in molti pensarono che quel sacrificio potesse aprire un nuovo capitolo della Storia. Una nuova era. Dove i bambini, tutti, ma proprio tutti, avessero stessi diritti e possibilità.

 

Il corpo restituito dal mare in Libia e a destra il piccolo Alan Kurdi

il corpo restituito dal mare in Libia e a destra il piccolo Alan Kurdi – Open Arms / Ansa

 

Poi l’umanità riprese la corsa, dimenticò quegli attimi di commozione, come succede sempre, in preda alla sua smania frenetica.
Qualche giorno fa, Oscar Camps, il fondatore della Open Arms, l’organizzazione non governativa che si occupa di aiuto ai migranti, ha diffuso delle fotografie scattate in Libia. Si vedono i corpi di tre bambini. Altre foto ritraggono adulti. Tre bambini, di cui uno neonato. Vittime di un naufragio, uno dei tanti.

Dalla foto di Alan Kurdi a queste sono trascorsi poco meno di sei anni. Un dato salta agli occhi, evidente per quanto preoccupante. Il piccolo siriano, la sua immagine straziante, divenne icona di una crisi che riguardava tutti, perché tutti hanno una coscienza e da che mondo è mondo i bambini si proteggono.

Perché tutto questo non è successo per quelli ritrovati in Libia? Perché quei tre corpi bambini non hanno prodotto nulla? Se ne è parlato per mezza giornata, poi basta. Qualsiasi spiegazione è a dir poco terribile. La prima cosa che viene in mente è questa: nel giro di poco meno di sei anni l’opinione pubblica, tutti noi, ha vissuto una specie di assuefazione-regressione all’orrore, al punto da rendere digeribile una foto che ritrae tre bambini morti su una spiaggia. Un’altra chiave di lettura potrebbe essere questa, forse ancora più disumana della prima. Le foto diffuse da Camps sono state scattate a Zuwara, in Libia, e si sa, la nostra coscienza ha oggi un confine geografico, e quel confine è proprio il Paese nordafricano, tutto ciò che accade da lì in poi e affare di altri, ed è sempre lecito. E poi, a guardare bene, quei tre bambini erano dalla pelle scura. Ma delle spiegazioni possibili interessa il giusto. Anzi niente.

L’orrore, un tanto al giorno, come una cura omeopatica somministrata ai nostri occhi, ci sta invadendo la coscienza e non ce ne accorgiamo. È la storia. La nostra storia. Quella che fa di ogni sciagura del passato, dai lager ai roghi, qualcosa che deve ancora avvenire.

ancora troppi bambini affogati

 altri 5 bimbi muoiono in un naufragio

“700 da inizio anno”

                mons. Perego

barcone

ennesima tragedia nel Mar Egeo, davanti alle coste della Turchia: un barcone carico di migranti è affondato stamani vicino all’isola greca di Farmakonissi provocando la morte di almeno 11 persone, tra cui 5 bambini. I dispersi sono 13. A bordo dell’imbarcazione, ha detto la Guardia Costiera, c’erano circa 50 persone, 26 sono state salvate.

l’ennesima tragedia all’indomani del naufragio costato la vita a 6 bimbi, tra cui un neonato, morti intorno alle 2.30 dell’8 dicembre. Erano a bordo di un gommone di profughi afghani al largo di Cesme, nella provincia di Smirne, sulla costa egea della Turchia. La Guardia costiera di Ankara ha salvato altre 8 persone

bambino affogato 3

«Continua una strage silenziosa nel Mediterraneo, con i morti che sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014: da 1600 a oltre 3200. Continuano le morti di bambini, dimenticate: oltre 700 dall’inizio dell’anno», denuncia oggi il Direttore Generale della Fondazione Migrantes, Mons. Gian Carlo Perego. «L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti. L’operazione europea Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’operazione italiana Mare Nostrum – continua Mons. Perego -: una vergogna che pesa sulla coscienza europea. L’Europa sembra ora – a fronte della minaccia terroristica – giustificare i muri e la chiusura delle frontiere, oltre che il disimpegno nel creare canali umanitari che avrebbero potuto oltre che salvare vite umane, combattere il traffico degli esseri umani, una delle risorse del terrorismo».

bambino affogato 4

«L’accoglienza ai nostri porti, anziché in centri di accoglienza aperti sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli ‘hotspots’, come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20.000 persone arrivate al porto e trasferite nel Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite. La paura insieme alla convenienza sembra far ritornare indietro di anni il cammino di protezione internazionale costruito in Europa». Continua invece l’accoglienza dei richiedenti asilo e protezione internazionale che, dopo l’appello di Papa Francesco del 6 settembre scorso, è cresciuta nelle strutture ecclesiali, nelle parrocchie e nelle famiglie, conclude il direttore della Migrantes realizzando «un’accoglienza diffusa, costruita insieme, senza conflittualità. Un’accoglienza intelligente che aiuta anche a conoscere volti e storie di sofferenza e a costruire, in questo tempo di Avvento, percorsi e progetti di cooperazione internazionale. Ancora una volta la Chiesa costruisce un gesto concreto, che supera pregiudizi e contrapposizioni ideologiche, che accompagna le persone, nella prospettiva di una ‘cultura dell’incontrò che sola rigenera le nostre città».

bambino affogato1

Istituzioni Ue e Stati «devono correggere le lacune nel funzionamento degli hotspot, incluso stabilire le necessarie capacità ricettive per raggiungere gli obiettivi, e concordare rapidamente un preciso calendario affinché anche altri hotspot diventino operativi»: così la bozza di conclusioni del vertice Ue del 17 e 18 dicembre. «Nonostante il duro lavoro degli ultimi mesi il livello di attuazione di alcune decisioni» per affrontare la crisi migratoria «è insufficiente». «Schengen è sotto seria pressione», si legge. Istituzioni Ue e Stati «devono assicurare le registrazioni» dei migranti ed «adottare misure per scoraggiare il rifiuto» di quelli che non vogliono farsi identificare e sottoporre alla raccolta delle impronte, si legge ancora nella bozza.

da ‘il Messaggero’

700 bambini affogati in meno di un anno

 “nel 2015 raddoppiati i migranti morti: 700 sono bambini” 

bambino affogato1

monsignor Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, ha esposto un quadro drammatico: “L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti

bambino affogato 2

 

di Davide Falcioni

parla di “strage silenziosa” monsignor Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, nell’esporre i numeri delle tragedie dell’immigrazione, che da mesi ormai si verificano con cadenza quotidiana a largo del Mar Mediterraneo, spesso nel silenzio più totale, nell’indifferenza quando non nell’odio. I morti del 2015 sono più che raddoppiati rispetto al 2014, passando da 1.600 a 3.200 e dimostrando che la commozione all’indomani della strage di Lampedusa non ha sortito, purtroppo, azioni positive. Impressionante il dato riguardante i bambini: in 700 hanno perso la vita in mare dall’inizio dell’anno.
Perego

Il direttore della Fondazione Migrantes attacca il Vecchio Continente: “L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti. L’operazione Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’operazione italiana Mare Nostrum: una vergogna che pesa sulla coscienza europea. L’Europa sembra ora – a fronte della minaccia terroristica – giustificare i muri e la chiusura delle frontiere, oltre che il disimpegno nel creare canali umanitari che avrebbero potuto oltre che salvare vite umane, combattere il traffico degli esseri umani, una delle risorse del terrorismo”.

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La situazione, insomma, sembra peggiorare di giorno in giorno, con il dramma che i naufragi sembrano essere anche spariti dalle prime pagine dei giornali, relegati tra le notizie “varie ed eventuali”. Ciò, inevitabilmente, non ha contribuito a al miglioramento delle condizioni di accoglienza che, insiste Pelago, “sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli ‘hotspots’, come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20mila persone arrivate al porto e trasferite nel Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite. La paura insieme alla convenienza sembra far ritornare indietro di anni il cammino di protezione internazionale costruito in Europa”.

bambino affogato 4

Ai numeri forniti dalla Fondazione Migrantes si aggiungono quelli dell’Unicef: secondo il “Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia” da gennaio 2015 876mila persone hanno raggiunto le coste europee, con una percentuale di donne e bambini in continua ascesa da qualche mese a questa parte: se a giugno rappresentavano il 27% degli arrivi a novembre la quota è salita al 52%: un profugo su due ormai è un minore o una donna. Ne consegue che anche il numero di vittime sale: solo a ottobre 90 bimbi sono deceduti nel Mare Egeo, il 20% dei quali aveva meno di 2 anni. Una situazione drammatica che rischia di aggravarsi nelle prossime settimane e mesi, con l’arrivo dell’inverno. Marie-Pierre Poirier, Coordinatore speciale UNICEF per la crisi dei Rifugiati e dei Migranti in Europa, ha dichiarato: “Finora l’inverno in Europa è stato relativamente mite, ma ora la stagione sta cambiando. La nostra più grande preoccupazione è che il clima invernale e le imprevedibili restrizioni alle frontiere lascino migliaia di bambini in un limbo, esposti al rischio di naufragi e di gravi malattie respiratorie. Purtroppo c’è carenza di abiti pesanti, sciarpe e calzini da bambino. I bambini migranti e rifugiati hanno sperimentato guerra, privazioni e disagi di ogni genere. Ora hanno bisogno di stabilità, protezione e assistenza”. Per questo, nel tentativo di fronteggiare l’emergenza, l’Unicef ha predisposto nei luoghi di sbarco punti di assistenza specializzati, incapaci però per il momento di fronteggiare le richieste di tutti: occorrerebbero 14 milioni di dollari per garantire continuità alle attività di assistenza ai bambini migranti e rifugiati, ma al momento la comunità internazionale ne ha sborsati solo 3. Parliamo di numeri insignificanti rispetto ai bilanci degli stati.

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