i ‘giovani rom’ delineano l’Italia che desiderano

il manifesto dei giovani Rom

‘primavera romanì’

«questa è l’Italia che vogliamo»

di Paola Grechi

Immaginare insieme l’Italia che si vorrebbe. Dove sia possibile costruire rispetto e diritti, per tutti. Sono i sogni molto concreti di venti giovani attivisti rom e sinti di diverse città italiane, da nord a sud. Alle spalle hanno ognuno una storia diversa, alcuni risiedono nei “campi”, altri in casa, ma hanno in comune un obiettivo: contribuire a rendere l’Italia un paese in cui le discriminazioni e l’intolleranza cedano il posto al dialogo e all’inclusione. Hanno raccolto le loro idee in un manifesto lanciato dopo la due giorni di discussione “Primavera Romanì. I giovani rom e l’Italia di domani”, promossa dall’Associazione 21 luglio. Si sono suddivisi in quattro gruppi e con altri ragazzi italiani hanno ragionato su come dovrebbero cambiare le politiche sulla casa, i giovani, il lavoro e la scuola.

I venti protagonisti dell’incontro, il primo in Italia interamente dedicato alla voce dei giovani rom e sinti, provengono da Vicenza, Torino, Lucca, Roma, Oristano, Cagliari e Mazara del Vallo. E per spiegare chi sono hanno utilizzato il mezzo migliore, ci hanno messo la faccia. 

«Molti di noi vengono da una storia di disagio, soprusi ed esclusione, ma non ci siamo fermati e non ci fermeremo. Nella storia dei nostri nonni, dei nostri padri e delle nostre madri ci sono state persecuzioni, deportazioni, crimini contro l’umanità. Anche oggi molti di noi vivono la fuga dalle guerre, la ghettizzazione e il dolore del rifiuto, e ci sembra che quella storia non finisca mai. Questo non ci impedisce di essere qui e di scrivere insieme una nuova pagina per la nostra Italia, perché vogliamo andare oltre ed essere attori di un cambiamento di cui tutti possano giovare».

 

E continuano:

«Non accettiamo più che i nostri figli vivano in un paese di ghetti, separazioni, disuguaglianze, povertà, odio e razzismo, né oggi, né domani. La memoria di ciò che è stato, e la consapevolezza di ciò che è, sono per noi la spinta verso la costruzione di una storia diversa. Sogniamo per l’Italia un risveglio di umanità. Vogliamo essere un esempio di società unita e libera, come l’Italia dovrebbe essere. Un paese orgoglioso dei suoi valori, aperto verso i deboli, che consenta a ciascuno di essere apprezzato, amato e riconosciuto per le proprie passioni e qualità. Un’Italia che abbracci le differenze e si consideri fortunata per la ricchezza di tutte le culture che la compongono. Un’Italia serena».

 

@CorriereSociale

i principali stereotipi sui rom

abbiamo preso i principali stereotipi italiani sui rom e li abbiamo verificati

appello per rom e sinti

di Claudia Torrisi

cfr il nostro documentario Romanì di Roma di VICE on SkyTG24.

Non serve seguire con una certa costanza la pagina Facebook di Matteo Salvini per capire che quello dei “rom” sia un tema capace di richiamare improvvisamente all’attenti il pubblico italiano. Ieri era il video della rom picchiata in tram a Milano dopo un presunto furto, settimana scorsa la bufala sul padiglione a Expo, oggi il dibattito sui finti poveri e gli sprechi dei fondi per l’assistenza alle famiglie da parte del comune di Roma.

E dagli autobus ai bar, ai giornali, ai social e ai talk show televisivi, c’è un copione che si ripete in maniera pressoché identica: gli zingari sono un problema e giustificano spesso qualsiasi affermazione.

Solo lo scorso marzo per esempio l’eurodeputato della Lega Nord Gianluca Buonanno ha definito i rom ” la feccia della società“, guadagnandosi numerosi applausi dal pubblico di Piazza Pulita. Intervistato ai microfoni della Zanzara, il sindaco di Albettone (Vicenza) Joe Formaggio, ha recentemente dichiarato che se ci fosse un’invasione di rom, li aspetterebbe “con i fucili spianati al confine del paese.”

Sempre poche settimane fa, durante la trasmissione Mattino 5, sono state intervistate due ragazze rom del campo di Castel Romano. Nel servizio le due confessavano di rubare “sulla metropolitana di Roma” e guadagnare anche mille euro al giorno, fregandosene delle vecchiette—”tanto poi muoiono.”

Pochi giorni dopo, la trasmissione Servizio Pubblico ha diffuso un filmato in cui una delle due ragazzine confessa di aver ricevuto 20 euro dalla giornalista di Mattino 5 “per dire queste cose.” La ragazza si è giustificata dicendo che, quando è stata fermata dalla troupe di Canale 5, aveva fumato erba. Vero o no, è innegabile la certa soddisfazione provocata dal primo video, che pubblicato sulla sua pagina da Matteo Salvini aveva scatenato una slavina di commenti razzisti (alimentati in parte anche dalle sue affermazioni sulla necessità di radere al suolo i campi).

Ma se questo è quello che ci propongono politica e media, è anche vero che nonostante se ne faccia un gran parlare gli italiani dei rom sanno poco o niente. Secondo i dati raccolti dal Pew Research Center e pubblicati a maggio del 2014, infatti, i rom sono la minoranza più discriminata in Europa e d’Italia.

Secondo l’indagine dell’Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione (ISPO) di qualche anno fa, però, solo lo 0,1 per cento degli intervistati ha dimostrato di avere una conoscenza base di rom e sinti. La maggior parte dei cittadini ha informazioni parziali o molto limitate, mentre il 42 per cento non sa praticamente nulla.

Il fatto che ci sia tutta questa disinformazione non è senza conseguenze. Come si legge in un’indagine dell’associazione Naga “c’è una connessione tra quello che dei rom non si dice e l’immagine che ne emerge. Più i rom sono lontani dalla nostra conoscenza diretta, più è facile pensare a loro in base a stereotipi”.

Per capire quanto questo sia vero, ho raccolto alcune delle incrollabili certezze che si sentono più spesso dire in giro quando si parla di rom.

“L’ITALIA È INVASA DAGLI ZINGARI”

Tra migranti, potenziali terroristi e stranieri di ogni provenienza, una delle più grandi paure nostrane è che il suolo italico venga invaso. Per quanto riguarda i rom, è radicata la convinzione che questi siano già “troppi”.

Secondo una ricerca del Ministero dell’Interno, il 35 per cento degli italiani pensa che i rom nel nostro paese siano molti più di quanti sono in realtà. L’8 per cento è convinto che il numero si aggiri intorno ai 2 milioni. La verità è che sono 10 volte di meno.

I rom sono la minoranza più consistente in Europa: nell’Ue vivono circa 9-10 milioni (il 2 percento della popolazione totale), anche se è difficile avere stime ufficiali. Nel nostro paese, però, ne vivono tra i 120 mila e 180 mila, una delle percentuali più basse..

“DEVONO TORNARSENE A CASA LORO”

Questa frase è un evergreen della “lotta allo straniero”. Solo che con i rom risulta un po’ complicato. Circa la metà ( 70mila) dei rom e sinti presenti nel nostro paese ha la cittadinanza italiana. Un dato che in Emilia Romagna arriva fino al 95,9 percento della popolazione rom. Ci sono gruppi romanì presenti in Italia da oltre sei secoli, soprattutto al sud, e sinti di recente insediamento, cittadini italiani, residenti soprattutto al centro nord. La maggior parte di loro, dunque, è già “a casa sua”.

La minoranza di rom di recentissima immigrazione è arrivata in Italia con le guerre balcaniche. Sono profughi senza documenti validi, per lo più apolidi, i cui figli sono nati in Italia. Altri, invece, sono romeni e bulgari, quindi cittadini comunitari regolari.

“SONO NOMADI E VOGLIONO STARE NEI CAMPI”

Secondo il rapporto dell’Associazione 21 luglio, solo il 3 percento dei rom presenti in Italia “risulta perseguire uno stile di vita effettivamente itinerante”. La quasi totalità vive stabilmente in un posto. Nonostante siano considerati il segno più visibile della presenza dei rom, solo in 40 mila vivono nei campi.

Il presupposto che non vogliano una casa non è così corretto e pacifico. Semplicemente, spesso non riescono ad averla, intrappolati nella dinamica del ghetto. D’altra parte, ogni volta che si paventa l’ipotesi di includere queste persone in politiche abitative, succede il finimondo.

“CI COSTANO UN SACCO DI SOLDI”

Questo è vero. Ma dipende dal fatto che l’Italia non riesce a uscire dalla logica dei campi. Secondo il rapporto Centri di raccolta s.p.a. curato dall’Associazione 21 Luglio, nel 2014 il Comune di Roma ha speso il 30 percento in più del 2013 per 242 famiglie rom, ma le prospettive di integrazione rimangono a zero. Oltre il 90 percento delle risorse investite ogni anno dal comune, infatti, riguarda i costi di gestione e amministrazione, mentre ben poco rimane per l’inclusione e le politiche sociali. Secondo alcune stime, ogni sgombero costa mille euro per persona.

Insomma, segregare costa e per qualcuno è un grosso affare che giova anche a cooperative e associazioni. Del resto, Salvatore Buzzi in un’intercettazione dell’inchiesta Mafia Capitale lo diceva chiaro: “Noi quest’anni abbiamo chiuso con quaranta milioni ma tutti i soldi utili li abbiamo fatti sugli zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a zero.”

“SONO SPORCHI”

Per quanto riguarda i circa 40 mila rom dei campi, il rapporto 2014della 21 Luglio sottolinea come buona parte di questi insediamenti rientri “nella definizione di ‘baraccopoli’ adottata dalla UN-HABITAT delle Nazioni Unite.” Sono luoghi spesso al di fuori del tessuto urbano con scarsi, se non assenti, collegamenti con il trasporto pubblico. “I già carenti servizi e infrastrutture presenti nei campi risultano spesso deteriorati dall’usura e/o dal dimensionamento inadeguato, traducendosi in condizioni igienico sanitarie spesso critiche, di cui topi e scarafaggi sono un inequivocabile indicatore.”

“PORTANO VIA I BAMBINI”

Esiste una leggenda che racconta di una bambina sparita in un centro commerciale e ritrovata in bagno con i capelli rasati sotto la gonna di una zingara. È una storiella universale, successa in tutti i comuni italiani a un’amica della cugina di una conoscente.

Una ricerca dell’università di Verona del 2008 ha dimostrato che sui 30 casi riportati dall’Ansa fra 1985 e il 2007 non esistono episodi di rapimento di minori a opera di un gruppo rom. Tra i casi più recenti, inoltre, non sono mancate le smentite.

Secondo il rapporto ” Mia Madre era rom“, invece, un minore rom, rispetto a un suo coetaneo che non lo è, ha 60 possibilità in più di essere segnalato alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e circa 50 possibilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità.

Alberto Prunetti ha riportato su Carmilla la storia di Elviza M., bambina rom del campo Casilino 700, che il 14 giugno 1999 “fu tolta ai genitori—sulla base del presupposto che l’avessero rubata: ‘troppo bella per essere una zingara’, dissero le autorità, guardando gli occhi celesti della bambina, lontani dallo stereotipo del rom scuro.” Il padre dovette correre dalla Romania e presentarsi al tribunale per mostrare ai giudici di avere gli occhi azzurri. È una storia molto simile a quella accaduta in Grecia nel 2013, che in Italia ha scatenato un’isteria collettiva senza precedenti.

“HANNO UN SACCO DI AGEVOLAZIONI E PRIVILEGI”

Non esistono leggi che garantiscano un sostegno economico ai rom. Chi ne parla si riferisce in maniera distorta alla legge 390 del 1992, che permetteva ai Comuni che ospitavano persone in fuga dalla ex Jugoslavia di avere dei fondi da utilizzare per borse lavoro o gestione delle strutture abitative. Nessun profugo ha mai avuto accesso a questi finanziamenti, riservati ai Comuni.

Secondo un’indagine condotta dall’European Union Agency for Fundamental Rights un rom su tre è disoccupato, il 20 per cento non ha copertura sanitaria e il 90 percento vive al di sotto della soglia di povertà. D’altro canto, in Italia si è sviluppata anche una classe media, spesso costretta a celare o dissimulare la propria origine per evitare ripercussioni.

SFRUTTANO I BAMBINI”

Lo stereotipo vuole i minori rom sfruttati come mendicanti in metropolitana e picchiati se non portano abbastanza denaro. Secondo ParlareCivile, “quello che emerge è che l’isolamento delle comunità rom segregate nei campi conserva la vecchia mentalità.” Nei campi rom “esiste ancora l’uso dei minori in attività di acquisizione del reddito per la famiglia. Un esempio è chiedere l’elemosina, il ‘mangèl’(…) Quando una comunità rom si arricchisce questa pratica viene abbandonata, il che significa che la mendicità è senz’altro legata alle condizioni economiche delle famiglie.”

È anche un circolo vizioso: più li teniamo nella marginalità, più i bambini rom continuano ad avere solo l’1 percento di probabilità di frequentare la scuola superiore e il 20 per cento di probabilità di non cominciare affatto un percorso scolastico regolare.

“RUBANO E DELINQUONO PER CULTURA”

Circa due mesi fa, il tribunale civile di Roma ha condannato la casa editrice Simone, ordinando il ritiro dal mercato di un libro di diritto penale rivolto ad aspiranti avvocati in cui veniva associato il termine zingaro alla commissione di reati. Questo caso è, probabilmente, il punto d’arrivo di una delle convinzioni più ferme degli italiani sui rom: rubano, tutti. Recentemente, Daniela Santanché ha dichiarato di avere paura “quando si avvicina una zingara”, perché “il furto ce l’hanno nell’animo”.

Non esistono dati che certifichino una maggiore incidenza di furti e crimini nella popolazione rom rispetto al resto dei cittadini, se non il fatto che nella marginalità si delinque più facilmente. Ma è un discorso applicabile anche ai quartieri più disagiati delle nostre città. Esiste, piuttosto, secondo l’Unar, una “generalizzata tendenza a legare all’immagine dei rom e dei sinti, ogni forma di devianza e criminalità”.

L’associazione Naga ha realizzato tra il 2012 e il 2013 un monitoraggio dei 9 maggiori giornali italiani da cui è emerso che sulla stampa i rom vengono sistematicamente associati a fatti o eventi dannosi. Questo avviene riportando “comportamenti che possono essere considerati negativi, ma che non sono reati” (tipo lavarsi a una fontanella), o anche del tutto neutri (come semplicemente passare in un luogo) ma “associati a toni allarmistici come fossero eventi gravissimi”; oppure raccontando “fatti negativi a cui si associano i rom, anche se il loro coinvolgimento non è provato, non è indicato da indizi e neanche citato esplicitamente”.

Secondo l’indagine, “lo stereotipo è talmente radicato che ha raggiunto il livello ontologico: non serve compiere nessuna azione

bufale pur di alimentare odio contro i rom

 

 

 

se una bufala alimenta l’odio verso i rom

I rom fanno audience: poco importa che la notizia sia una bufala. Verrebbe da pensarla così davanti alla “non notizia” che nelle scorse ore ha fatto il giro d’Italia, pubblicata dai più importanti quotidiani nazionali: alcuni rom alla guida di un’auto, probabilmente rubata, della polizia. La “non notizia” trae origine da un video postato su Youtube in cui si vedono alcune persone, divertite, guidare una volante della polizia nell’area del campo rom della Massimina.

Sui siti web e sui social network dei quotidiani la “non notizia” fa subito il boom di visualizzazioni, like e condivisioni. E, come era facile prevedere, di commenti:  negativi, disprezzanti, astiosi nei confronti dei rom. Dei rom tutti, in generale. Dei rom come entità indistinta, collettiva. Come se gli autori del sacrilegio – rubare l’auto della polizia e riderci sopra – non fossero stati gli autori del gesto in sé. Ma tutti, tutti i rom di Roma, d’Italia, d’Europa.

Ma non sono i commenti degli utenti a rappresentare il lato più sinistro dell’intera vicenda. Quanto la modalità che ha portato la quasi totalità dei media italiani e dei giornalisti a diffondere la notizia, senza alcun tipo di previa verifica e accertamento dei fatti. Basandosi, forse, semplicemente sull’effetto virale che il video stava ottenendo sui social.

Sarebbero bastate meno di un paio di telefonate per rendersi conto che la notizia da migliaia e migliaia di condivisioni era una non notizia. Già, perché quella non era una vera auto della polizia. Ma una finta volante utilizzata per la realizzazione di una fiction televisiva girata all’interno di un campo rom (la fiction Rai “È arrivata la felicità” con l’attrice Claudia Pandolfi, a quanto si apprende). Auto che, per esempio,  quelle persone avrebbero potuto chiedere e ottenere di guidare in un momento di rilassatezza e convivialità con la gente della produzione televisiva.  Per scherzo, per gioco, per divertimento. Un momento che successivamente, come capita a ognuno di noi, hanno voluto postare e condividere sui social network.

La notizia dei rom che avrebbero sottratto una volante ha messo in grande imbarazzo la Polizia, che ha dovuto affrettarsi a smentire l’accaduto ribadendo categoricamente, attraverso un comunicato, che quella non era una vera auto della polizia ma un’auto di scena.  La Polizia, del resto, sta indagando per chiarire se vi siano responsabilità quali l’eventuale negligenza nella gestione delle auto di scena da parte dei titolari della produzione.

Subito dopo gli stessi media che avevano diffuso la “non notizia” hanno dovuto fare un passo indietro e smentire che si trattava di vera volante. E così i titoli sono diventati: “Auto della polizia rubata dai nomadi: era una bufala”; “Nomadi rubano auto della polizia, ma è un veicolo usato per un film”; “Svelato il giallo dei nomadi visti sfrecciare sull’auto della polizia”.

Un giallo che i media avrebbero potuto svelare da loro, con una piccola verifica dei fatti, evitando di correre dietro alle notizie rilanciate dai media concorrenti e di gettare ulteriore benzina sul fuoco sul clima d’intolleranza nei confronti di rom e sinti.

Per concludere, ecco le parole postate oggi sul suo profilo Facebook da Paolo Ciani, responsabile rom e sinti della Comunità di Sant’Egidio: «Quindi se una ragazzina mette un video su Fb, nessun giornale si prende la briga di verificare di che si tratta: “auto della polizia in mano ai nomadi!”. Alè il gioco è fatto. Come si potrà mettere fine a tutto ciò? Come non si capisce l’irresponsabilità di tali comportamenti? Su un quotidiano romano a questa bufala si dà più spazio che alla Libia, alla Grecia o a ciò che accade in Ucraina… Com’è possibile? L’antigitanismo è un tarlo pericolosissimo: perché farlo proliferare e alimentarlo continuamente? Ora attendiamo tweet di Salvini… ».

“i forni crematori per gli zingari”

 

 

«Per i rom ci vorrebbero i forni»
Bufera su consigliere comunale

sembra diventare uno sport sempre più nazionale spalancare la bocca o scarabocchiare  su fb la prima banalità o battuta razzista o nostalgia nazista che passa per la mente, subito pronti a legittimarla come ‘provocazione’ alla prima reazione giustamente scandalizzata di chi la sente o la legge; sentite questa:
Massimilla Conti, eletta in una lista civica di centrodestra, su Facebook si è lasciata andare con frasi razziste che hanno scatenato un putiferio

di Giovanna Maria Fagnani

 

Massimilla Conti
Massimilla Conti
“Se tra i cani ci sono razze che vengono più predisposte a aggredire, perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere certi reati”. E ancora “Le telecamere servono per punire tutti ‘sti bastardi! Comunque niente gattabuia, ci vorrebbero i forni…metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate’”.

Queste le parole usate su “Facebook” da Massimilla Conti, 30 anni, consigliere comunale di maggioranza a Motta Visconti, nel commentare i post di alcuni amici, vittime di episodi di microcriminalità. Ma ora i consiglieri di opposizione del Pd chiedono le sue dimissioni, mentre il deputato Pd Vinicio Peluffo annuncia che presenterà un’interrogazione urgente al ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Contro i rom
A denunciare le frasi razziste della consigliera, eletta nella lista di centrodestra “Liberamente Motta”, è stato il segretario del Pd locale, Leonardo Morici, che ha fotografato i commenti della Conti, definendoli “semplicemente aberranti” e li ha postati a sua volta, chiedendone immediatamente le sue dimissioni. “E’ inconcepibile che una persona che esprime concetti di questa gravità, che violano Costituzione e codice penale, sieda in un consiglio comunale” dicono Morici e Peluffo. “Chiedere il ritorno dei forni crematori è un limite che non si può oltrepassare – aggiunge Morici – Sono uscite indegne, ancora più gravi visto il ruolo che ricopre. Spero che le dimissioni arrivino volontariamente, altrimenti le chiederemo in consiglio comunale”.
 
Niente dimissioni

A dimettersi, però, il consigliere non ci pensa proprio. “Sono una persona umana e ho usato Facebook come fanno tutti, ho commentato le frasi di un amico con leggerezza. E’ stato lo sfogo di un momento – racconta Massimilla Conti – In un anno ho subito due furti e uno a pochi giorni dalla scomparsa di mia madre. I ladri mi hanno portato via molti suoi ricordi. Uno dei commenti che il Pd cita l’ho scritto in quei giorni, non adesso”. Quanto al paragonare i nomadi ai cani “non è vero che la penso così, non sono razzista e lo dimostro con i fatti e con le mie amicizie. Tornando indietro non userei più questi toni e sono pronta a dare spiegazioni a chiunque dei miei cittadini me le chiederà. Non devo darle al Pd”. Il sindaco Primo De Giuli difende la consigliera: “Il Pd fa attacchi personali, perché non ha altri argomenti – spiega il primo cittadino – Il consigliere ha usato frasi sbagliate per esprimere amarezza per gli episodi di delinquenza, ma non erano rivolte ai rom in particolare. E soprattutto non parlava a nome della nostra lista. Sono cavolate che si scrivono su Facebook, che, oltre a essere sbagliate, non sono opportune, dato il ruolo che ricopre”.

dal sito ‘l’altra Europa’:

NESSUN POSTO NELLE ISTITUZIONI PER CHI RIMPIANGE  
LO STERMINIO DEI ROM E DEI SINTI NEI CAMPI NAZISTI

 Una consigliera comunale di Motta Visconti, Massimilla Conti, ha postato sulla sua pagina Facebook queste parole: “… se tra i cani ci sono razze che vengono considerate più predisposte ad aggredire perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere reati?” E poi: “Le telecamere servono per punire sti bastardi! Comunque niente gattabuia, ci vorrebbero i forni…metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate!”
  Noi Rom e Sinti chiamiamo il nostro sterminio Porrajmos. Significa divoramento, annientamento totale, significa oltre 500.000 uomini donne e bambini morti nei campi di sterminio nazisti. Questa è una parte della nostra storia che ci perseguita ancora, la memoria è viva e dolorosa. Non c’è un solo rom o sinto in Europa che dentro di se non porta e non mantiene ancora viva la memoria di qualche membro della sua famiglia, qualche antenato, parente, nonno, nonna, zia o zio morti in qualche campo di concentramento. Questa è la parte della nostra storia che condiziona in modo significativo la nostra vita quotidiana, le nostre paure e il nostro status sociale.
  Noi siamo un popolo pacifico, non abbiamo mai fatto guerre, non abbiamo mai avuto pretese territoriali, siamo una nazione di 12 milioni di persone senza uno stato, viviamo in tutti stati europei, parliamo tutte le lingue europee, abbiamo tutte le religioni. Portiamo dentro di noi una storia e una cultura millenaria e bellissima. Siamo un vero popolo europeo. Per questo la dichiarazioni di Massimilla Conti, una rappresentante delle istituzioni, colpisce sì, nel cuore le nostre comunità, ma colpisce anche nel cuore la civiltà e la democrazia italiana, un paese che nella sua storia ha visto il fascismo e tra le sue pagine non scritte oltre 50 campi di concentramento soltanto per i Rom e i Sinti.
  Ci aspettiamo che il consiglio comunale di Motta Visconti chieda le dimissioni della consigliera Massimilla Conti e chiediamo al Capo dello stato italiano Giorgio Napolitano in quanto garante della Costituzione italiana, al Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi in quanto rappresentante del governo italiano, a tutti i capo gruppi del Parlamento italiano in quanto rappresentanti del popolo italiano e a tutti i partiti italiani di condannare pubblicamente queste dichiarazioni perché quei fantasmi non tornino tra noi.
 Per aderire: STOPODIORAZZIALE@gmail.com
 

 

ancora lo stereotipo dello ‘zingaro ruba bambini’

bimba bionda

Se lo zingaro diventa un capro espiatorio

un bell’articolo di Chiara Saraceno comparso ieri su ‘la Repubblica’ in riferimento all’ennesimo episodio di colpevolizzazione del popolo rom ogni qualvolta ci si trova di fronte allo smarrimento (più o meno colpevole, come è successo in questi giorni) di un bambino:

Gli zingari che rubano i bambini. Uno stereotipo tanto radicato e diffuso quanto privo di ogni fondamento, di ogni evidenza empirica e persino di ogni plausibile spiegazione. Perché mai gli zingari dovrebbero rubare i bambini, infatti, come se non ne avessero abbastanza dei loro? Eppure, sembra essere la prima cosa che viene in mente, che viene ritenuta plausibile, non solo quando un bambino, effettivamente, sparisce, ma anche quando un bambino della comunità zingara è troppo biondo e chiaro di pelle “per essere davvero figlio loro”, scatenando ipotesi fantasiose di rapimento. E avvenuto tempo fa in Grecia quando una bambina, appunto, “troppo bionda per essere zingara”, venne individuata in un insediamento rom, scatenando accuse di rapimento e ricerche dei “genitori veri”, salvo scoprire che questi erano effettivamente diversi da quelli che avevano la custodia della piccola, ma, zingari anch’essi, la avevano ceduta in una sorta di affido famigliare informale, perché non erano in grado di provvedere per lei. Da segnalare che tutte le sollecite preoccupazioni per il benessere della bambina spari- rono quando si scoprì che, dopo tutto, era solo una rom. Un caso molto simile scoppiò nello stesso periodo in Irlanda, s alvo scoprire che gli zingari “rapitori” erano i genitori a tutti gli effetti, biologici e legali. Non stupisce allora che uno stereotipo tanto radicato possa essere utilizzato come una copertura plausibile da un adulto che cerca di coprire le proprie responsabilità. Come ha fatto il padre che qualche giorno fa, per nascondere di aver perso di vista il proprio figlioletto di tre anni e il suo amico ad una fiera di paese nel torinese, di- chiarò di averlo salvato dalle grinfie di uno zingaro che lo aveva rapito. Dimostrando la stessa incoscienza e irresponsabilità della quindicenne che, qualche anno prima, per nascondere di aver fatto l’amore con il proprio ragazzo, denunciò per stupro un giova- ne rom, scatenando una rappresaglia feroce e incivile contro il campo nomadi. Fortunatamente, questa volta  la polizia ha provveduto a smascherare la bugia prima che le pulsioni antizingare si organizzassero.

La spiegazione della diffusione dello stereotipo dello zingaro come quintessenza del- la brutalità malvagia non va ricercata in qualche esperienza effettiva in un passato più o meno lont ano, e neppure, forse, nellaso- cietà contadina. Mito letterario costruito dai commediografi italiani e spagnoli tra cinque e seicento, nel periodo di prima formazione degli stati moderni, con le loro esigenze di controllo sia del territorio sia della popolazione, essoè assimilabile ad altristereotipidicui sono stateesono oggetto altre minoranze: gli ebrei che rubavano i bambini (cristiani) per nutrirsidellorosangue, imendicanticheliru- bavano per mandarli ad elemosinare. Gli zingari sembrano condensare in sé tutte le caratteristiche di una minoranza designabile insieme come altro da sé e come capro espiatorio: sono (o meglio erano) nomadi, di una etnia diversa da quella prevalente nei luoghi in cui transitano o abitano; sonopoverie chiedono l’elemosina; hanno abitudini e comportamenti spesso molto diversi da quelli prevalenti. Lo stereotipo è talmente forte, per altro, che mentre si accetta seni a b attere ciglio che vivano in condizioni spesso spaventose (tanto sono “come animali’, “sub-umani”), purché i loro insediamenti siano a debita di- stanza da quelli dei “civilizzati”, si considera una pretesa fuori luogo che chiedano invece di poter vivere in condizioni civili. Così come si ignora che molti rom e sinti, non solo non sono più nomadi, ma sono insediati accanto a noi, in abitazioni simili alle nostre, manda- no i figli a scuola, hanno, o vorrebbero avere, una occupazione regolare e non vorrebbero essere costretti avergognarsi, a nascondere, di essere rom. Gli stereotipi condannano i rom alla propria diversità, alla immagine ne- gativa che la accompagna e che li rende in- sieme vulnerabili e scarsamente legittimati a ricevere sostegno. Una diversità, per altro, oggi resa più complicata dalfatto che i campi rom sano sempre più affollati da migr anti dei paesi dell’Est, non sempre rom essi stessi, che solo in questi luoghi spesso di estremo de- grado trovano una qualche, per quanto fragile e rischiosa, accoglienza.

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