quel grido che scuote la nostra indifferenza
di Michele Smargiassi
in “la Repubblica” del 13 novembre 2020
In un mare di piombo, sotto un cielo di piombo, un gommone color piombo oscilla sotto
quell’orizzonte di piombo che non vuole rimanere orizzontale; quelli in mezzo sono corpi di esseri
umani. E lì, ma non lo vediamo, c’è Joseph, vissuto solo sei mesi, che le onde hanno strappato dalle
braccia della madre.
Questo vediamo. I marinai del salvataggio di Open Arms hanno voluto che
vedessimo questo, che «non fossero solo i nostri occhi a vedere». Perché sanno che vedere, ancora
una volta, è più che ascoltare, o leggere; perché mostrare è più che raccontare.
Ma cosa vedono davvero i nostri occhi? Un rettangolo di vetro luminoso, uno schermo che fa
schermo. Se le parole sono insufficienti, le immagini sono forse sufficienti? Nel luglio di due anni
fa, dallo stesso mare, gli stessi soccorritori ripescarono una donna, si chiamava Josefa, terribile
ricorrenza dei nomi.
Anche allora qualcuno volle che la vedessimo: vedemmo i suoi occhi sbarrati. Quegli occhi sì che
avevano visto. E continuavano a vedere quel che noi non abbiamo potuto: cosa è la morte. Brutta
parola, vero? Ma almeno chiamiamola col suo nome. La morte come punizione per aver voluto una
vita.
No, non è questo che vediamo, neppure stavolta, in questa manciata di secondi concitati, dove
succedono molte cose: una madre disperata si rotola sul fondo arancione della scialuppa della
salvezza, un altro uomo scampato alle onde grida, un bambino viene ripescato, depositato in salvo
come un orsetto fradicio. Era fradicio, ma era morto, anche il piccolo Alan Kurdi sulla spiaggia di
Bodrum; e si disse, ma non era vero, che quella fotografia avrebbe aperto il cuore dell’Europa.
Certe immagini colpiscono il corpo, ci fanno rabbrividire, ma la strada che porta al cuore è più
lunga, e neanche «vedere coi nostri occhi» la accorcia così tanto.
Ma qui c’è un grido. «Ho perso il mio bambino», il grido delle madri della strage degli innocenti, il
grido muto della madre di Guernica. Le parole ammutoliscono, le immagini sbiadiscono, ma si può
resistere a quel grido?