L. Boff e papa Francesco

Intervista a Leonardo Boff: “Il papa è figlio della teologia della liberazione”

a. Leona

Leonardo Boff è un teologo, ex frate francescano, ed è considerato il massimo esponente della ”teologia della liberazione” e cioè di quella corrente di pensiero della Chiesa cattolica dell’America Latina che vede nella difesa dei poveri e nella lotta per la giustizia sociale il principale messaggio del Vangelo.

Boff oggi ha 75 anni, è figlio di una famiglia di immigrati italiani (veneti), ha studiato negli anni sessanta e settanta teologia e filosofia in Europa. Ha discusso la tesi di laurea con l’allora vescovo Jospeph Ratzinger. La ”teologia della liberazione” ha sempre rappresentato un pensiero poco gradito al Vaticano, e tuttavia tollerato da Paolo VI negli anni dopo Il Concilio. Quando però diventò papa Giovanni Paolo II le cose cambiarono. Iniziò una vera e propria guerra tra la teologia della liberazione e Roma, e Boff fu più volte censurato, a metà degli anni ottanta. Tanto che a un certo punto, per porre fine alla diatriba, rinunciò al suo mandato religioso e lasciò l’ordine dei Francescani.

Il Papa, durante un incontro con i rappresentanti di alcuni movimenti sociali, la settimana scorsa, ha pronunciato parole che sono state lette come un’esortazione agli esclusi perché lottino, come una chiamata al diritto alla ribellione di chi non ha terra, casa e lavoro perché se li procuri attraverso la lotta sociale. La ritiene una interpretazione corretta o una lettura superficiale?

È una lettura corretta. Le parole pronunciate dal Papa devono essere capite all’interno della traiettoria personale di Bergoglio. Una delle sue aperte polemiche con Cristina Kirchner, la presidente argentina, è stata proprio sul modo in cui si devono aiutare i poveri. Lui insisteva: non servono la filantropia e l’assistenzialismo di stato. Quello di cui c’è bisogno è giustizia sociale e redistribuzione del reddito. Realizzare la giustizia sociale implica riformare le strutture dello Stato e la mentalità dei cittadini contaminata dall’individualismo capitalista.

Un’altra affermazione costante del Papa: nessuna soluzione per i poveri sarà efficace se non includerà gli stessi poveri nella sua realizzazione. Questa idea spiega anche perché il Papa abbia chiamato a Roma i rappresentanti dei movimenti sociali, così che loro stessi dicessero quali sono le cause della loro povertà, così che loro stessi spiegassero in cosa non vengono rispettati i loro diritti. Generalmente si chiamano grandi nomi della sociologia o della politica a svolgere questo compito. Il Papa ha imparato in America Latina che le vittime del sistema sanno dov’è il dolore e quali sono le ragioni della loro esclusioni. Hanno tra loro, tra l’altro, intellettuali organici, come Joao Pedro Stedile del Movmento dei Sem Terra in Brasile. La versione delle vittime del sistema è quella vera, perché nasce dalla sofferenza e dall’oppressione. Il Papà è stato innovatore, ha fatto un discorso chiaro: la posizione della Chiesa deve essere sempre dal lato delle vittime, dei poveri e degli oppressi, scelta che fu di Gesù e che il Papa ha assunto personalmente.

Il Papa ha detto: ”Oggi vediamo con tristezza ogni giorno più lontano dalla maggioranza delle persone il diritto alla terra, alla casa e al lavoro. Se parlo di questo ad alcuni risulta che il Papa sia comunista. Non si capisce che l’amore per i poveri è il centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro sono diritti sacri e reclamarne il rispetto non è strano: è la dottrina sociale della Chiesa”. Cosa ne pensa?

E’ vero che è questa la dottrina sociale della Chiesa. Il Papa è andato oltre. Ha criticato la dottrina sociale della Chiesa, la considera astratta e non abbastanza chiara nella distinzione, che dev’essere nitida, tra chi sono gli oppressi e chi gli opressori. La posizione della Chiesa non può essere equidistante. Il suo posto è al fianco dei sofferenti, solo per loro il Vangelo è una buona novella, per tutti gli altri è l’esortazione a che cambino vita e si affianchino alle persone più pregiudicate nelle relazioni sociali: vale qui la famosa frase di Dom Helder Câmara: se distribuisco pane ai poveri dicono che sono un santo, se spiego perché i poveri non hanno il pane mi danno del comunista.

Papa Francesco sta aprendo la Chiesa alla teologia della liberazione?

Il Papa appartiene alla teologia della liberazione nella versione argentina. Lì esiste nelnelle forma della teologia del popolo e della cultura degli oppressi. Lì non si parla esplicitamente di lotta di classe, ma è evidente il conflitto tra i potenti che elaborano la cultura del dominio e il popolo che vive la cultura degli oppressi.

 Il principale esponente di questa teologia è stato Juan Carlos Sacannone, professore di Bergoglio nel Seminario maggiore di San Miguel, quartiere di Buenos Aires. Lui ha pubblicamente ricordato come lo studente Bergoglio fosse entusiasta di questa teologia. Da lì viene il voto a vivere senza ricchezze e ad andare sempre tra i poveri nel lavoro pastorale, cosa che Bergoglio effettivamente ha sempre fatto.

Da cardinale non è andato a vivere nel palazzo, non usava la macchina ufficiale, viveva in un appartamento piccolo, si preparava i pasti da solo. Si muoveva in autobus e in metropolitana e andava da solo nelle villas miserias, le baraccopoli di Buenos Aires. Entrava nelle case e mangiava quello che la gente gli offrivaLe azioni e discorsi di questo papa vengono dal brodo della teologia della liberazione latino-americana.

In ciascun paese la teologia ha avuto un suo sviluppo: la teologia indigena nei paesi andini, in Brasile una teologia della liberazione contro l’offensiva dei militari e del grande capitale, la teologia della liberazione femmile, la teologia della liberazione dei neri, la teologia della liberazione degli omosessuali, delle lesbiche e di altri ancora.

Come teologi della liberazione noi ci sentiamo rappresentati nella figura, nel comportamento e nelle parole del Papa. Non è  per caso che il Papa ha voluto vedere il principale rappresentante della teologia della liberazione, il peruviano Gustavo Gutierrez e che ha voluto incontrare Arturo Paoli, il rappresentante più conosciuto della teologia della liberazione.  Il Papa l’ha mandato a prendere in auto nel posto dove si trovava, negli Appennini, per poter passare un pomeriggio intero con lui a parlare dei cammini della Chiesa nel mondo nella linea della liberazione dei diritti umani e della critica al sistema perverso e senza pietà del capitalismo speculativo. Così lo definisce il Papa: perverso e senza pietà.

A parte la sfida ai privilegi della parte più conservatrice della Curia, cosa è davvero cambiato, concretamente, nell’impegno della Chiesa verso i poveri, con il papato di Francesco rispetto ai due precedenti?

Il Papa ha scandalizzato i cristiani della vecchia cristianità europea che volevano un papa un po’ faraone e un po’ imperatore romano, con tutti i titoli e le abitudini pagane. Il Papa non ha più voluto usare la mozzetta, la piccola sciarpa sulle spalle coperta di broccati, simbolo del potere assoluto dell’imperatore. Ha abbandonato il palazzo pontificio, è andato a vivere in una pensione, mangia quello che mangiano gli altri e dorme in una semplice stanza d’albergo. La croce che indossa è di metallo e le scarpe sono quelle che usa il popolo, non quelle fatte da Prada. Il papà ha riscattato la tradizione del Gesù storico che viveva povero e in mezzo al popolo.

La chiesa dopo Costantino era più vicina al palazzo di Erode che alla grotta di Betlemme. Papa Francesco ha preso come esempio San Francesco d’Assisi, il frate poverello che viveva secondo il Vangelo nel messaggio liberatore del Nazareno. Questo papa rappresenta bene lo stile di molti vescovi, cardinali e sacerdoti che vivono vicini al popolo, non al di sopra del popolo , ma come dei pastori, in mezzo del popolo. Per questo ha detto che il vero sacerdote, vescovo o prete che sia, deve ”avere l’odore di gregge” .

E’ una chiamata e un’esortazione a tutti i potenti nella Chiesa, ma anche a tutti i cristiani. Ha chiesto di compiere ”la rivoluzione della tenerezza” in relazione al popolo. Questo papa inaugurerà una nuova dinastia di pontefici in arrivo dal sud del mondo, dove vive la maggior parte dei cattolici. In Europa sono solo il 24%. È ora che la Chiesa capisca che la Chiesa di oggi è una Chiesa del Terzo mondo, del Terzo mondo dove nacque.

Il Papa è un rivoluzionario o un populista?

Sta facendo una vera rivoluzione nelle abitudini e nei comportamenti della Chiesa. Populista è il discorso dei conservatori e dei difensori dei privilegi indecenti che cardinali, vescovi e Curia hanno accumulato durante tutta la storia. I comportamenti da pagani, antichi e moderni, non hanno niente a che vedere con la pratica di Gesù.Gesù era povero. Gesù non è morto vecchio, né per una disgrazia. E’ morto a causa delle sue azioni in favore degli ultimi di questo mondo, è morto per le sue prediche di liberazione, perché annunciava il regno di Dio che esiste laddove esistono l’amore, la compassione e la solidarietà per le persone sofferenti.

Cosa risponderebbe lei a un pessimista che le domandasse se, per caso, questo Francesco abbia molto poco a che vedere con Francesco d’Assisi?  Sarà che il gran talento di questo papa così simpatico, sia semplicemente saper suscitare interesse con iniziative e parole di grande impatto mediatico?

Quello che ammiriamo nel Papa è la sua spontaneità e la sua capacità di inventarsi gesti di umanità, il suo coraggio di criticare il sistema capitalista speculativo che ha molto semplicemente definito ”perverso”. Abbraccia con affetto i più penalizzati, non discrimina nessuno, né musulmani né atei. Ha aperto un dialogo franco e sincero con l’ex direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che si definisce ateo, con grande senso etico e preoccupato per il destino umano. Il Papa non sfugge alle questioni, dice chiaramente: non sappiamo dove andiamo, non lo so io e non lo sa il Dalai Lama, dobbiamo iniziare a costruire un cammino per salvare la vita e la nostra civiltà, che sono minacciate. Da San Francesco d’Assisi ha imparato la scelta di schierarsi con i poveri, la semplicità, la volontà di spogliarsi di tutti i titoli e delle forme di potere e anche la apertura al dialogo con chiunque. Come fece San Francesco che fu a dialogare con il Sultano durante la crociata, dopo tornò dal Papa e disse che i cristiani non avrebbero dovuto fare una crociata perché si trattava di un popolo profondamente religioso. Francesco si interessò alla teologia musulmana, cominciò a chiamare Dio nelle preghiere ”Altissimo”, secondo il linguaggio della teologia dell’Islam. Ho scritto un libro uscito per la EMI ”Francesco di Assisi e Francisco di Roma” tentando di tracciare i profili di entrambi. Scegliere di chiamarsi Francesco è più che scegliere un nome, è un nuovo progetto di Chiesa e di umanità nella linea di radicale fraternità universale, di apertura a tutti, di Chiesa con le porte sempre aperte che accoglie chiunque, protegge la natura e la Madre Terra.




il calcio è una vera religione

il calcio come religione laica universale

 

Boff L.

 

 

 

 

 

 

 

il teologo italo-brasiliano L. Boff, in occasione dei mondiali di calcio che si stanno disputando in Brasile, riflette da par suo sulle modalità con cui le due totalizzanti realtà, la religione e il calcio, sono vissute cogliendo tante analogie fra esse, anzi un’unica struttura di fondo che dalla religione viene riprodotta nel calcio trasformandolo in una vera religione laica universale:

La coppa mondiale di calcio disputata quest’anno in Brasile, come pure altri grandi eventi calcistici, assumono caratteristiche proprie delle religioni. Per milioni di persone, il calcio – lo sport che forse più di ogni altro stimola spostamenti di persone nel mondo intero – tiene il posto tradizionalmente occupato dalla religione.

Studiosi della Religione, come Emilio Durckheim e Lucien Goldmann, tanto per citare due nomi importanti, sostengono che “La religione non è un sistema di idee; è piuttosto un sistema di forze che mobilizzano le persone fino a condurle alla più alta esaltazione” (Durckheim). La fede compare sempre abbinata alla religione. Questo stesso autore classico afferma nel suo famoso “Le forme elementari della vita religiosa”: «La fede è innanzitutto calore, vita, entusiasmo, esaltazione di tutta l’attività mentale, trasporto dell’individuo al di là di se stesso» (p. 607). E conclude Lucien Goldmann, sociologo della religione e marxista pascaliano: “Credere è scommettere che la vita e la storia hanno un senso; l’assurdo esiste ma non prevarrà”.

Dunque, a guardar bene, il calcio, per molta gente adempie caratteristiche religiose: fede, entusiasmo, calore, esaltazione, un campo di forza e una permanente scommessa che la loro squadra si aggiudicherà il trionfo finale.

La spettacolarizzazione dell’apertura dei giochi ricorda una grande celebrazione religiosa, carica di rispetto, riverenza, silenzio, seguiti da un fragoroso applauso e da grida di entusiasmo. Ritualizzazioni sofisticate, con musiche e sceneggiature delle varie culture presenti nel paese e la presentazione dei simboli del calcio (bandiere e stendardi), specialmente la coppa che mima un vero calice sacro, il santo Graal ambito da tutti. E c’è, salvo il rispetto, il pallone che funziona come una specie di Ostia con la quale tutti entrano comunione.

Nel calcio come nella religione – prendiamo la religione cattolica come punto di riferimento – esistono gli 11 apostoli (Giuda non conta) che sono gli 11 giocatori, inviati per rappresentare il paese; i santi di riferimento come Pelé, Garrincha, Beckembauer e altri; esiste inoltre un papa, presidente della Fifa, dotato di poteri quasi infallibili. Si presenta circondato da cardinali che costituiscono la commissione tecnica responsabile dell’evento. Seguono gli arcivescovi vescovi che sono i coordinatori nazionali della Coppa. Poi c’è la casta sacerdotale degli allenatori, questi portatori di speciale potere sacramentale di ammettere, confermare o togliere i giocatori. Dopo emergono i diaconi che formano il corpo dei giudici, maestri-teologi dell’ortodossia, vale a dire, delle regole del gioco, il lavoro concreto della conduzione della partita. Infine vengono (i chierichetti, che aiutano i diaconi.

Lo svolgersi della partita suscita fenomeni che avvengono anche nella religione: si odono invocazioni, canti (cori), si piange di commozione, si fanno preghiere, si emettono voti ( Filippo Scolari, allenatore brasiliano, ha mantenuto il voto di andare a piedi 20 km fino al santuario della Madonna di Caravaggio in Farroupilha, caso vincesse la Coppa come poi di fatto avvenne), scongiuri e altri simboli della diversità religiosa brasiliana. Santi forti, orixàs e energie di Axé sono evocate e invocate.

Esiste una Santa inquisizione, il corpo tecnico, la cui missione è zelare per l’ortodossia, dirimere conflitti di interpretazione ed eventualmente processare e punire giocatori o addirittura squadre intere.

Come nelle religioni e chiese, esistono nel calcio ordini e congregazioni religiose così come il “tifo organizzato”. Questi hanno i loro riti, i loro canti la loro etica, famiglie intere che scelgono di abitare vicino al Club della squadra, vere chiese, dove i fedeli si incontrano e comunicano i loro sogni. Si fanno fare tatuaggi sul corpo con i simboli della squadra. Il bambino non fa a tempo a nascere che la porticina dell’incubatrice è già ornata con i simboli della squadra del cuore per dire ‘siamo battezzati, non tradiremo la nostra fede’.

Considero ragionevole interpretare la fede come ha fatto il grande filosofo e matematico cristiano Blaise Pascal: una scommessa; se scommetti che Dio esiste hai tutto da guadagnare; se di fatto non c’è, non hai niente da perdere. Dunque è meglio scommettere che Dio esiste. Il tifoso vive di scommesse (la cui espressione maggiore è la lotteria sportiva) che la fortuna sarà a favore della sua squadra oppure che qualcosa all’ultimo minuto del gioco tutto può cambiare. Infine vincere per quanto forte sia l’avversario. Nella religione ci sono persone di riferimento, la stessa cosa vale per i campioni.

Nella religione esiste la malattia del fanatismo, dell’intolleranza e della violenza ai danni di altre espressioni religiose; lo stesso nel calcio: gruppi di di una squadra aggrediscono quelli della squadra rivale. Gli autobus vengono presi a sassate. E a volte ci scappa il morto, veri delitti conosciuti da tutti. Tifoserie organizzate e fanatiche possono ferire e perfino ammazzare tifosi del team avversario.

Per molti il calcio è diventato una cosmovisione, una forma di interpretare il mondo di dare senso alla vita. Alcuni sono depressi quando la loro squadra perde e euforici quando vince.

Io personalmente ho un grande apprezzamento per il calcio per una semplice ragione: essendo portatore di quattro protesi alle ginocchia e ai femori, mai avrei la possibilità di fare quelle corse con cadute spettacolari. Fanno quello che io non potrei mai fare senza cadere a pezzi. Ci sono giocatori che sono geniali artisti di creatività e abilità. Non senza ragione, il maggior filosofo del secolo 20º, Martin Heidegger non perdeva nessuna partita importante, perché vedeva nel calcio la concretizzazione della sua filosofia, la contesa tra Essere e Ente mentre si affrontano, si negano, si compongono e attuano l’imprevedibile gioco della vita che noi tutti stiamo giocando.




L.Boff e la rottura di papa Francesco

 

 

di Leonardo Boff

( in Il sole 24 Ore del 16 marzo 2014)

Boff L.
la parola ‘rottura’ è la più adeguata per capire la novità che papa Francesco rappresenta. Tale parola non è stata bene accolta dai papi precedenti, che al contrario l’hanno evitata e perfino combattuta, sottolineando piuttosto la continuità del magistero pontificio tra il Concilio Vaticano I (1869-1870) e il Concilio Vaticano II (1962-1965). Occorre riconoscere, però, che tale insistenza non si giustifica di fronte a fatti che tutti possono verificare
(il titolo in rosso è il link che rimanda all’articolo di Boff)



Gesù bambino scrive ai bambini

 

Boff

 

Leonardo Boff scrive a Gesù Bambino sul materialismo del Natale

 

Il materialismo di Babbo Natale e la spiritualità di Gesù Bambino

 

Un bel giorno, il Figlio di Dio volle sapere come andavano i bambini e le bambine, che una volta, quando era tra noi, “toccava e benediceva”, e aveva detto: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di loro è il Regno di Dio “(Lc 18, 15-16).

Come negli antichi miti, salì su un raggio del cielo e arrivò sulla Terra qualche settimana prima di Natale. Prese la forma di uno spazzino che puliva le strade. Così poteva vedere meglio i passanti, i negozi tutti illuminati e pieni di cose avvolte a mo di regalo e soprattutto le sue sorelle e i suoi fratelli più piccoli che passavano lì, mal vestiti e molti di loro affamati, chiedendo le elemosine. Si rattristò moltissimo perché si rese conto che quasi nessuno dava ascolto alle parole che lui aveva detto: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, è me che accoglie” (Marco 09:37).

Vide pure che quasi nessuno parlava del Bambino Gesù che nella notte di Natale veniva di nascosto per portare doni a tutti i bambini. Il suo posto era stato preso da un vecchietto bonaccione, vestito di rosso, con un sacco sulle spalle e con la barba lunga che gridava stupidamente per tutto il tempo: “Oh, Oh, Oh, Babbo Natale è qui” Sì, nelle strade e nei grandi magazzini c’era lui che abbracciava i bambini e prendeva dal suo sacco i doni che i loro genitori avevano acquistato e messo li dentro. Dicono che è arrivato da lontano, dalla Finlandia, in sella a una slitta trainata da renne. La gente si stava pian piano dimenticando di un altro vecchietto, questo si davvero buono: San Nicola. Di famiglia ricca, a Natale faceva regali ai bambini poveri dicendo che era il bambino Gesù che glieli inviava. Di tutto questo nessuno parlava. Solo si parlava di Babbo Natale, inventato non più di cento anni fa.

Altrettanto triste come vedere bambini abbandonati per la strada, era vedere come si instupidivano, sedotti dalle luci e dal bagliore dei regali, dai giocattoli e da mille cose che padri e madri sono soliti comprare per regalare durante la cena del Natale.

Gli annunci pubblicitari, molti ingannevoli, se gridano ad alta voce, suscitando il desiderio dei piccoli che poi corrono dai genitori chiedendo loro di acquistare ciò che hanno visto. Il Bambino Gesù, travestito da spazzino, si rese conto che ciò che gli angeli cantarono di notte nei campi di Betlemme “vi annuncio una gioia che sarà di tutto il popolo, perché oggi vi è nato un Salvatore … Gloria a Dio nell’alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini di buona volontà” (Lc 2, 10-14), ormai non significava nulla. L’amore era stato sostituito da oggetti e l’allegria di Dio, che si è fatto bambino, era scomparsa in nome del piacere di consumare.

Triste, sali su un altro raggio celeste, ma prima di tornare in cielo, lasciò scritta una letterina per le bambine e i bambini. La trovarono sotto le porte delle case e soprattutto nelle baraccopoli delle colline della città, chiamate favelas.

La letterina diceva cosi:

Cari fratellini e sorelline:

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Se guardando il presepe e vedendo lì il Bambino Gesù, con Giuseppe e Maria, vi riempite della fede in Dio che si fece bambino, un bambino come ognuno di voi, e che è il Dio-fratello che è sempre con noi…

Se riuscite a vedere negli altri bambini, e soprattutto nei più poveri, la presenza nascosta di Gesù bambino che nasce dentro di loro…

Se siete in grado di far rinascere il bambino nascosto dentro i vostri genitori e negli altri adulti che conoscete, perche risorga in loro l’amore, la tenerezza, la cura e l’amicizia invece di molti doni…

Se guardando il presepe e vedendo Gesù mal vestito, quasi nudo, vi ricordate di tanti altri bambini altrettanto mal vestiti, e vi fa male nel fondo del cuore questa situazione disumana e vorreste condividere con loro quello che possedete, e vorreste fin d’ora cambiare queste cose quando sarete grandi perche non ci siano più bambini che piangono di fame e di freddo…

Se quando scoprite i tre Re Magi che portano doni al Bambino Gesù ritenete che anche i re, i capi di stato e altre persone importanti dell’umanità arrivano da tutto il mondo per contemplare la grandezza nascosta di quel Bambinello che piange sopra la paglia…

Se vedendo nella natività il bue, l’asinello, le pecore, le caprette, i cani, i cammelli e l’elefante, pensate che l’universo intero è anche illuminato dal Bambino Divino e che tutto, stelle, soli, galassie, pietre, alberi, pesci, animali e noi esseri umani, formiamo la Grande Casa di Dio…

Se guardate il cielo e vedete la stella con la sua coda luminosa e ricordate che c’è sempre su di voi una Stella come quella di Betlemme, che vi accompagna, vi illumina, e vi propone i cammini più belli…

Se tendete bene le orecchie e ascoltate tramite i sensi interiori una musica soave e celestiale, come quella degli angeli nei campi di Betlemme, che annunciava la pace sulla Terra…

Sappiate allora che io, il Bambino Gesù, sto nascendo di nuovo e rinnovando il Natale. Sarò sempre vicino, camminando con voi, piangendo con voi e giocando con voi, fino al giorno in cui tutta l’umanità e l’universo, arriverà alla casa di Dio, che è Padre e Madre di bontà infinita, per stare insieme eternamente felici come una grande famiglia riunita.

Firmato: Gesù Bambino

Betlemme, 25 dicembre dell’anno 1




profonda gioia, nonostante tutto!

 

ha senso essere contenti? anzi ha senso addirittura gioire? : nonostante le contraddizioni, il malessere generale tipico di un mondo, come il nostro, in rapide mutazioni, in inesorabile superamento, anzi distruzione, demolizione. di equilibri culturali, sociali, politici passati, che inevitabilmente non può non suscitare in molti smarrimento, crisi di identità, incertezze esistenziali … prova a rispondere a questa grande domanda il teologo L. Boff nell’articolo a seguire:

il posto della gioia

di Leonardo Boff (*)
In mezzo a un innegabile malessere mondiale, quest’anno ha fatto irruzione a sorpresa una figura che ci ha regalato speranza, allegria e piacere della bellezza: Papa Francesco. Il suo primo scritto ufficiale porta il titolo di Pontificia esortazione “La gioia del Vangelo”, richiama l’allegria, le categorie dell’incontro, la vicinanza, la misericordia, la centralità dei poveri, la bellezza, la “rivoluzione della tenerezza” e la “mistica del vivere insieme”. Tale messaggio fa da contrappunto alla delusione e al fallimento delle promesse di un progetto di modernità che avrebbe portato benessere e felicità per tutti e che invece sta mettendo a rischio il futuro della specie umana a causa dell’assalto devastante che continua a fare a danno di beni e servizi scarsi della Madre Terra. Dice bene Papa Francesco: “La società tecnica ha moltiplicato le possibilità di piacere ma ha grande difficoltà quando si tratta di generare allegria” (Es.,n.7). Il piacere ha a che fare con i sensi. La gioia ha a che fare con il cuore. E il nostro modo di essere, purtroppo, è senza cuore. Questa gioia non è quella dell’idiota che è tutto giulivo senza un perché. Essa sgorga dall’incontro con una Persona concreta che ti ha suscitato entusiasmo, ti ha dato una spinta e semplicemente ti ha affascinato. È la figura di Gesù di Nazaret. Non si tratta di quel Cristo, coperto di titoli, di trionfo e di gloria che la teologia posteriore gli ha assegnato. E’ il Gesù del popolo, semplice e povero, delle strade polverose della Palestina, che portava parole di freschezza e di fascino. Papa Francesco è la prova dell’incontro con questa Persona: è stata tanto trascinante che ha cambiato la sua vita gli ha creato una fonte inesauribile di gioia e bellezza. Per lui evangelizzare è rifare questa esperienza e la missione della Chiesa è riscattare la freschezza e il fascino per la figura di Gesù. Evita la parola diventata ormai ufficiale di “nuova evangelizzazione”. Preferisce ”conversione pastorale” fatta di allegria, bellezza, fascino, vicinanza, incontro, tenerezza, amore e misericordia. Che differenza con i suoi predecessori di secoli. Presentavano il cristianesimo come dottrina, dogma e norma morale. Si esigeva adesione senza limiti e senza un qualsiasi straccio di dubbio perché partecipava alle caratteristiche dell’infallibilità. Papa Francesco vede il cristianesimo da un altro punto di vista. Non è una dottrina. È incontro personale con una Persona, con la sua causa, con la sua lotta, con la sua capacità di affrontare le difficoltà senza fughe. Fanno piacere oltremodo le parole contenute nell’epistola agli Ebrei dove si dice che Gesù “è passato attraverso le stesse prove che abbiamo avuto anche noi… Lui è stato circondato di debolezza… tra grida e lacrime ha supplicato colui che poteva salvarlo dalla morte e non è stato ascoltato nella sua angustia”.
Preferisco questa versione che è stata avvallata da due grandi conoscitori delle sacre scritture come Harnack e Bultmann, a quella che traduce il testo con l’espressione: “e fu ascoltato nella sua pietà – Eusebeia, infatti, in greco, può significare oltre che pietà, anche angustia – e che ha dovuto imparare a ubbidire mediante la sofferenza” (Eb 4,15;5,2.7-8). Nella evangelizzazione tradizionale tutto passava attraverso l’intelligenza intellettuale (intellectus fidei) espressa dal credo e dal catechismo. Nella sua esortazione apostolica, il papa Francesco arriva a dire che “abbiamo imprigionato Cristo in schemi noiosi e così priviamo il cristianesimo della sua creatività”(cfr. 11). Nella sua versione, l’evangelizzazione passa attraverso l’intelligenza cordiale (intellectus cordis), perché lì hanno la loro sede l’amore, la misericordia, la tenerezza e la freschezza della persona di Gesù. Questa si esprime anche attraverso la vicinanza, l’incontro, il dialogo e l’amore. È  un cristianesimo-casa aperto a tutti, “senza i supervisori  della dottrina”, non un cristianesimo-fortezza chiusa e timorosa. Ora è di questo cristianesimo che abbiamo bisogno, capace di produrre gioia, perché tutto quello che nasce sul serio da un incontro profondo e vero genera allegria e nessuno ce la può togliere. È come l’allegria dei sudafricani nella sepoltura di Mandela: nasceva nel fondo del cuore e muoveva tutto il corpo. Nella nostra cultura mediatica, appartenente all’era dei Media e di Internet, manca questo spazio di incontro: occhi negli occhi, faccia a faccia, pelle a pelle. Per questo dobbiamo realizzare, per dirla come il papa, delle “uscite”: “uscita” da noi stessi per l’altro, “uscita” in direzione delle periferie esistenziali (le solitudini e gli abbandoni), “uscita” verso l’universo dei poveri. Questa “uscita” è un vero “Esodo” che ha portato allegria agli ebrei liberi dal giogo del faraone. Niente di meglio che ricordare la testimonianza di Dostoievski quando “usciva” dalla Casa dei Morti in Siberia. “A volte – scrive – Dio mi invia istanti di pace; in questi istanti, amo e sento di essere amato; è stato in uno di questi momenti che ho composto per me stesso un credo, dove tutto è chiaro e sacro. Questo credo è molto semplice. Eccolo: credo che non esiste niente di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più umano, di più perfetto del Cristo; e io dico a me stesso, con un amore geloso che non esiste e non può esistere. Ancora più di questo: se qualcuno mi provasse che il Cristo sta fuori della verità e che questa non si trova in lui, preferisco rimanere con il Cristo piuttosto che rimanere nella verità”. Il Papa Francesco farebbe sue queste parole di Dostoievski. Non è una verità astratta che riempie la vita, ma l’incontro vivo con una persona, con Gesù, il Nazareno. È a partire da lui che la verità si fa verità.
Se il 2014 porterà un poco di questo incontro (chiamatelo Cristo, Profondo, Mistero dentro di noi, Sacro di ogni essere) allora avremo scavato una fonte da cui sgorga gioia infinitamente superiore a qualsiasi piacere indotto dal consumo.
(*) traduzione di Romano Baraglia



Boff: un mondo strutturato violentemente

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amara riflessione di Leonardo Boff su questo nostro mondo in cui i diritti umani sono a tutti i livelli violati: invece di progredire nel rispetto della dignità umana e nei diritti delle persone, dei popoli e degli ecosistemi, stiamo regredendo al livello della barbarie. Le violazioni non conoscono frontiere e le forme di questa aggressione sono ogni volta più sofisticate

è una dolorosa costatazione fatta anche dal documento annuale di Amnesty International, del 2013, che si riferisce al 2012 e riguarda 159 paesi:

Gli aerei senza pilota, la violazione più codarda dei diritti umani

Viviamo in un mondo in cui i diritti umani sono violati, praticamente a tutti i livelli, famigliare, locale, nazionale e planetario. Il documento annuale di Amnesty International, del 2013, che si riferisce al 2012 e riguarda 159 paesi, fa esattamente questa dolorosa costatazione. Invece di progredire nel rispetto della dignità umana e nei diritti delle persone, dei popoli e degli ecosistemi, stiamo regredendo al livello della barbarie. Le violazioni non conoscono frontiere e le forme di questa aggressione sono ogni volta più sofisticate.

La forma più codarda è l’azione dei droni, aerei senza pilota che, da una base del Texas, condotti da un giovane militare, davanti ad uno schermo di un computer, come se stesse giocando, puntano ad identificare un gruppo di afghani che stanno celebrando un matrimonio in cui presumibilmente deve essere presente qualche guerrigliero di Al Quaeda. Basta questa supposizione per, con un piccolo click, lanciare una bomba che stermina tutto il gruppo con molte madri e bambini innocenti.

Questa è la forma perversa della guerra inaugurata da Bush e portata avanti criminalmente dal presidente Obama che non ha mantenuto le promesse della sua campagna elettorale in riferimento ai diritti umani, così come sul carcere di Guantanamo o sulla soppressione del Patriot Act (antipatriottico) con cui qualsiasi persona, negli Stati Uniti può essere imprigionata per terrorismo, senza bisogno di avvisare la sua famiglia. Ciò significa sequestro illegale che noi in America Latina conosciamo assai bene. In termini economici e allo stesso tempo per i diritti umani, si sta producendo una autentica latinoamericanizzazione degli Stati Uniti, nello stile dei momenti peggiori delle nostre dittature militari. Oggi, secondo lo stesso documento citato di Amnesty Intarnational, gli Stati Uniti sono il paese che viola di più i diritti della persona e dei popoli.

Con la massima indifferenza, come un imperatore romano assoluto, Obama nega di poter dare qualsiasi motivazione in merito allo spionaggio mondiale che fa capo al suo governo con la scusa della sicurezza nazionale, coprendo campi che vanno dallo scambio di e-mail affettuose tra innamorati, fino ai commerci riservati e miliardari di Petrobrás, violando il diritto alla privacy delle persone e la sovranità di tutto un paese. La sicurezza annulla la validità dei diritti irrinunciabili.

Il continente che soffre maggiori violazioni è l’Africa. E’ il continente dimenticato e devastato. Le grandi multinazionali e la Cina comprano terre (land grabbing) per produrre in esse alimenti per le loro popolazioni. Questa è una neocolonizzazione più perversa della precedente.

 Le migliaia e migliaia di rifugiati e migranti a causa della fame, della erosione delle loro terre sono più vulnerabili. Costituiscono una sottoclasse di persone respinte da quasi tutti i paesi “in una globalizzazione della insensibilità” come la chiamò Papa Francesco. La situazione di molte donne, dice il documento di Amnesty International è drammatica. Sono più della metà della popolazione mondiale, molte di loro soggette a violenze di ogni tipo, in varie parti dell’Africa, dell’Asia, per di più sottoposte obbligatoriamente alla mutilazione genitale

La situazione del nostro paese è preoccupante, dato il livello di violenza diffusa ovunque. Direi che non è violenza ma piuttosto che siamo posizionati su strutture di violenza sistematica che grava su più della metà della popolazione afroamericana, sugli indigeni che lottano per mantenere le loro terre contro la voracità irrefrenabile del mercato alimentare, sui poveri in generale e sui LGTB, discriminati e perfino assassinati. Poiché mai realizziamo una riforma agraria, né politica e né tributaria, vediamo che le nostre città si riempiono di centinaia e centinaia di comunità povere (favelas) dove il diritto alla salute, alla scuola, alle infrastrutture e alla sicurezza sono assicurati in maniera del tutto carente.

Il fondamento ultimo della realizzazione dei diritti umani risiede nella dignità di ciascuna persona e nel rispetto che le è dovuto. Dignità significa che essa è portatrice di spirito e di libertà che le permettono di modellare la sua stessa vita. Il rispetto è il riconoscimento che ogni essere umano possiede un valore intrinseco, è un fine in se stesso, e giammai un mezzo per nessun’altra cosa.

Davanti ad ogni essere umano, per anonimo che sia, tutto il potere incontra il suo limite, anche lo Stato.

Il fatto è che viviamo in un tipo di società mondiale che ha posto l’economia come suo asse strutturale. La ragione è solamente utilitarista e tutto, persino la persona umana, come denuncia Papa Francesco, è convertito in un “bene di consumo che, una volta usato, si può scartare”. In un società del genere non vi è posto per i diritti, ma solo per gli interessi. Persino il diritto sacro al cibo e al bere sono garantiti a chi unicamente può pagare. Se non può, sarà ai piedi della mensa, insieme ai cani, sperando in qualche briciola che cada dalla tavola ripiena degli epuloni.

In questo sistema economico, politico e commerciale si stabiliscono le cause principali, non esclusive, che portano permanentemente alla violazione della dignità umana. Il sistema vigente non ama le persone, ma soltanto la loro capacità di produrre e di consumare. Del resto, sono solamente avanzi, olio consumato nella produzione.

Lo scopo quindi inoltre da umanitario ed etico si fa principalmente politica: come trasformare questo tipo di società malvagia in una società in cui gli esseri umani possano comportarsi umanamente ed acquisire diritti basilari. In caso contrario, la violenza è la norma.

Traduzione di Carlo Felice




L. Boff e la teologia a partire dalla femminilità

presente-passato-futuro

“Papa Francesco ha detto che abbiamo bisogno di una teologia più profonda sulla donna e sulla sua missione nel mondo e nella Chiesa. È certo. Ma lui non può trascurare il fatto che oggi esiste una vasta letteratura teologica fatta da donne dal punto di vista delle donne, teologia della miglior qualità, cosa che ha arricchito enormemente la nostra esperienza di Dio”

così L. Boff, ed è a partire da qui che egli si è impegnato a sviluppare una teologia che tenga conto e faccia tesoro di questa migliore qualità teologica:

 

Teologia fatta da donne a partire dalla femminilità

 L.Boff

Papa Francesco ha detto che abbiamo bisogno di una teologia più profonda sulla donna e sulla sua missione nel mondo e nella Chiesa. È certo. Ma lui non può trascurare il fatto che oggi esiste una vasta letteratura teologica fatta da donne dal punto di vista delle donne, teologia della miglior qualità, cosa che ha arricchito enormemente la nostra esperienza di Dio. Io stesso mi sono impegnato intensamente sul tema, che culmina nei libri O rosto materno de Deus (1989) e Feminino e Masculino (2010) insieme con la femminista Rosemarie Muraro.

Tra tante del nostro tempo, ho deciso di rivisitare due grandi teologhe del passato, veramente innovatrici: Santa Hildegarda di Bingen (1098-1179) e Santa Guliana di Norvich (1342-1416).

Hildgarda viene considerata chissà come prima femminista dentro la chiesa. È stata una donna geniale e straordinaria per suo tempo e per tutti i tempi. Monaca benedettina, ha esercitato la funzione di maestra (abbadessa) del suo convento di Rupertsberg di Bingen sul Reno, profetessa (profetessa germanica), mistica, teologa, infuocata predicatrice, compositrice, poetessa, naturalista, medica non ufficiale e scrittrice.

I suoi biografi e studiosi considerano un mistero il fatto che questa donna, nel mondo medievale maschilista e di limitati orizzonti, sia stata quello che è stata. In tutto ha rivelato eccellenza e creatività. Molte sono le sue opere, mistiche, poetiche, sulla scienza naturale e sulla musica. La più importante e letta fino ad oggi è “Sci vias Domini”, “Impara le vie del Signore”.

Hildegarda fu soprattutto una donna dotata di visioni divine. In una relazione autobiografica dice: «Quando ho compiuto i 42 anni e sette mesi, i cieli si aprirono e una luce di eccezionale fulgore si è diffusa dentro il mio cervello. E allora essa m’incendiò il cuore e il petto come una fiamma, che non brucia ma riscalda… Inmediatamente compresi il significato delle narrazioni dei libri, ossia, dei Salmi, degli Evangeli, e degli altri libri cattolici del Vecchio e Nuovo Testamento». (Vedi il testo in Wikipedia, Hildegarda di Bingen con eccellente testo).

È un mistero il fatto che avesse conoscenze di cosmologia, di piante medicinali, di fisica e di storia dell’umanità. La teologia parla di «scienza infusa» come dono dello Spirito Santo. Hildegarda fu gratificata di tali doni.

Maturò curiosamente una visione olistica, intrecciando sempre l’essere umano con la natura e con il cosmo. È in questo contesto che parla dello Spirito Santo come quella energia che conferisce «Verdezza» a tutte le cose. «Viriditas» viene da verde che significa verdezza e freschezza, segni che marcano tutte le cose penetrate dallo Spirito Santo. (Flanagan, S. Hildegard of Bingen, 1998,53). Lei sviluppò un’immagine umanizzante di Dio, perché lui regge l’universo «con potenza e soavità» (mit Macht und Milde), seguendo tutti gli esseri con la sua mano premurosa e il suo sguardo amoroso.

Lei è conosciuta soprattutto per i metodi medicinali seguiti da Austria e Germania da medici fino al giorno d’oggi. Rivela una sorprendente conoscenza del corpo umano e di quali principi attivi delle erbe medicinali sono appropriati per i distinti disturbi. La sua canonizzazione fu ratificata da Benedetto XVI nel 2012.

Altra notevole donna è stata Giuliana di Norwich (1342-1416, Inghilterra). Poco si sa della sua vita, se era religiosa oppure una laica vedova. Certo è che visse per tutto il tempo reclusa, in una parte murata nella chiesa di San Giuliano. Quando compiva i trent’anni di età fu colpita da una grave infermità che quasi la portò alla morte. A un certo punto, nello spazio di cinque ore, ebbe 20 visioni di Gesù Cristo.

Scrisse immediatamente un riassunto delle sue visioni. Venti anni dopo, avendo meditato lungamente sopra il loro significato, scrisse una versione lunga e definitiva intitolata Revelations of Divine Love (Rivelazioni dell’amore divino: Londra 1952). È il primo testo scritto da una donna in inglese.

Le sue rivelazioni sono sorprendenti, perché permeate da invincibile ottimismo, nato dall’amore di Dio. Per lei l’amore è soprattutto allegria e compassione. Non interpretava le malattie – come era credenza in quel tempo e com’è ancora ancora oggi presso alcuni gruppi – come castigo di Dio. Per lei, le malattie e le pestilenze sono opportunità per incontrare Dio.

Il peccato è visto come una specie di pedagogia attraverso la quale Dio ci obbliga a conoscere noi stessi e a cercare la sua misericordia. Dice inoltre: dietro quello che noi chiamiamo inferno esiste una realtà maggiore, sempre vittoriosa che è l’amore e la misericordia di Dio. Per il fatto che Gesù è misericordioso e compassionevole lei è nostra cara madre. Dio stesso è padre misericordioso e madre di infinita bontà (Rivelazioni, 119).

Soltanto una donna poteva usare questo linguaggio di amorosità e di compassione e chiamare Dio ‘madre di infinita bontà’. Così vediamo una volta di più come una voce femminile è importante per avere una concezione non patriarcale e per questo più completa di Dio e dello Spirito che permea tutta la vita e l’universo.

Molte altre donne potrebbero essere qui ricordate come Santa Teresa d’Avila (1515-1582),Simone Weil (1909-1943), Madeleine Debrel (1904 -1964), e tra di noi, Ivone Gebara e Maria Clara Bingemer, che hanno pensato e pensano la fede a partire dal loro feminino. E continuano ad arricchirci.

 



il miglior saluto a Mandela: una riflessione di Boff

Boff

 

Il significato di Mandela per il futuro dell’umanità

nel giorno dei solenni funerali di Nelson Mandela, credo che saluto migliore non poteva arrivare da un altro grande uomo, L. Boff, che riflette sulla morte di Mandela il quale  “con la sua morte si è tuffato nell’inconscio collettivo dell’umanità per non uscirne mai più, perché si è trasformato in un archetipo universale, di colui che non ha ottenuto giustizia, ma che non conserva rancore, che ha saputo perdonare, riconciliare i poli antagonisti e trasmetterci una incrollabile speranza che per l’essere umano si può ancora fare qualcosa”

Nelson Mandela, con la sua morte si è tuffato nell’inconscio collettivo dell’umanità per non uscirne mai più, perché si è trasformato in un archetipo universale, di colui che non ha ottenuto giustizia, ma che non conserva rancore, che ha saputo perdonare, riconciliare i poli antagonisti e trasmetterci una incrollabile speranza che per l’essere umano si può ancora fare qualcosa.

Dopo aver passato 27 anni in prigione, eletto presidente del Sudafrica nel 1994, si propose e realizzò la grande sfida di trasformare una società strutturata secondo la suprema ingiustizia dell’apartheid che disumanizzava le grandi maggioranze nere del paese condannandole a essere non-persone, in una società unica, unita, senza discriminazioni, democratica e libera. E ci è riuscito perché aveva scelto il cammino della virtù, del perdono e della riconciliazione.

Perdonare non è dimenticare. Le piaghe restano lì, molte ancora aperte. Perdonare è non permettere che l’amarezza e lo spirito di vendetta abbiano l’ultima parola e stabiliscano la direzione della vita. Perdonare è liberare le persone dai lacci del passato, voltar pagina e cominciare a scriverne un’altra a quattro mani, di neri e di bianchi. La riconciliazione è possibile e reale soltanto quando c’è l’ammissione completa dei delitti da parte dei loro autori e la piena conoscenza degli atti da parte delle vittime. La pena dei criminali è la condanna morale davanti a tutta la società. Una soluzione di questo tipo, sicuramente originalissima, presuppone un concetto alieno dalla nostra cultura individualista: lo UBUNTU, che vuol dire: “io posso essere io solo attraverso te e con te”. Pertanto, senza un laccio permanente che ci tenga uniti tutti con tutti, la società starà, come la nostra, sotto il rischio di lacerazione e di conflitti senza fine.

Dovrà figurare nei manuali scolastici del mondo intero questa affermazione umanissima di Mandela: “io ho lottato contro la dominazione dei bianchi e ho lottato contro la dominazione dei neri. Io ho coltivato la speranza dell’ideale di una società democratica e libera, nella quale tutte le persone vivono insieme e in armonia e hanno opportunità uguali. È un ideale per il quale io spero di vivere e raggiungerlo. Ma, se necessario, è un ideale per il quale sono disposto a morire”.

Perché la vita e la saga di Mandela fondano una speranza nel futuro dell’umanità e della nostra civiltà? Perché siamo arrivati al nucleo centrale di un accumulo di crisi che può minacciare il nostro futuro come specie umana. Stiamo proprio nel pieno della sesta grande estinzione di massa.

Cosmologi (Brian Swim) e biologi (Edward Wilson) ci avvertono che, se le cose continuano come adesso, arriveremo verso l’anno 2030 al culmine di questo processo devastante. Questo vuol dire che la credenza persistente nel mondo intero, anche in Brasile, che la crescita economica materiale comporterebbe sviluppo sociale e culturale spirituale è un’illusione. Stiamo vivendo tempi di barbarie e senza speranza.

Cito l’insospettabile Samuel P. Huntington, antico assessore del Pentagono e analista perspicace del processo di globalizzazione, al termine del suo Lo scontro delle civiltà: “la legge e l’ordine sono il primo requisito di civiltà; in gran parte nel mondo essi sembrano stare evaporando; in una base mondiale, la civiltà appare, sotto molti aspetti, che stia cedendo davanti alla barbarie, generando l’immagine di un fenomeno senza precedenti, una Età delle Tenebre mondiale, che si abbatte sopra l’Umanità” (1997:409-410).

Aggiungo l’opinione del noto filosofo e scienziato politico Norberto Bobbio, che come Mandela credeva nei diritti umani e nella democrazia come valori per risovere il problema della violenza tra gli Stati e per una convivenza pacifica. Nella sua ultima intervista ha dichiarato: “Non saprei dire come sarà il Terzo Millennio. Le mie certezze cadono e soltanto un enorme punto interrogativo agita la mia mente: sarà il millennio della guerra di sterminio o della concordia tra gli esseri umani? Non ho possibilità di rispondere a questa indagine”.

Davanti a questi scenari bui, Mandela risponderebbe sicuramente sostenuto dalla sua esperienza politica: sì, è possibile che l’essere umano si concili con se stesso, e sovrapponga la sua dimensione di sapiens a quella di demens e inauguri una nuova forma di stare insieme nella stessa Casa.

Forse valgano le parole del suo grande amico, l’arcivescovo Desmond Tutu, che ha coordinato il processo di Verità e Riconciliazione: “ho affrontato faccia a faccia la bestia del passato, avendo chiesto e ricevuto il perdono, giriamo adesso pagina – non per dimenticare questo passato, ma per non permettere che ci tenga prigionieri per sempre.

Avanziamo in direzione di un futuro glorioso e di una nuova società in cui le persone valgano non in ragione dell’irrilevanza biologica o di altri strani attributi, ma perché sono persone di valore infinito, create a immagine di Dio”.

Questa lezione di speranza ci lascia Mandela: noi potremo ancora vivere se, senza discriminazioni, concretizzeremo di fatto l’Ubuntu.

Traduzione di Romano Baraglia




tutti gli oppressi gridano! intervista a Boff

Boff

 

una bellissima intervista, anzi un vibrante grido di L. Boff per la liberazione di ogni oppresso: i poveri, gli sfruttati, i dissidenti, gli indigeni, le donne, i discriminati … ma anche gli alberi, la natura, gli animali

la terra tutta grida! l’opzione preferenziale per i poveri si allarga a misura della difesa di tutta la terra

 

Il grido degli oppressi

intervista a Leonardo Boff

a cura di Sonia Zuccolotto

in “Mosaico di pace” del novembre 2013

In uno scenario di straordinaria accoglienza e di calore, quello del Centro di accoglienza e promozione culturale Ernesto Balducci di Zugliano, abbiamo incontrato, in esclusiva per i lettori e le lettrici di Mosaico di Pace, Leonardo Boff, grande teologo, tra i padri della Teologia della Liberazione. Gli abbiamo rivolto alcune domande, per abbozzare con lui un excursus degli ultimi
anni della Chiesa e per accennare alle nuove possibili prospettive che si intravedono. Per una liberazione autentica, delle persone e dei popoli.

Papa Francesco è un latinoamericano, un Papa “nuovo” e vicino alla gente. Cosa ne pensa?
Quali sogni ha lei nel cassetto? Quali urgenze per la Chiesa di oggi?
Io penso che papa Francesco, prima di fare la riforma della curia, abbia cominciato a lavorare per
una riforma del papato, perché di solito, quando uno è eletto Papa, deve seguire un certo rituale
tenendo conto di tutti i simboli storici. Deve assumere i simboli del potere (alcuni di questi simboli
sono espressione del potere supremo legato alla figura del pontefice). Francesco ha lasciato cadere
tutto ciò adattando il papato alle sue convinzioni e al suo stile. Il nome Francesco è un emblema
perché è il nome di una Chiesa povera, di una umanità più semplice e aperta a tutti con una
sensibilità speciale per la natura. Dunque, questo Papa si sta profilando davvero come una speranza
per la Chiesa. Farà sicuramente una riforma della curia, ma prima deve operare una riforma del
papato. Non sarà facile, ma lui è intelligente e ha scelto altri otto cardinali che, insieme e a lui, sono
proiettati verso questo progetto di una vera riforma della Chiesa. Una riforma collegiale. E questa è
un’altra novità di questo processo ed è forse più facile così che procedendo alla organizzazione
strutturale con una commissione interna. Francesco, però, è anche una speranza per il mondo — e
non solo per la Chiesa — perché i suoi discorsi sulla pace e sulla guerra gli conferiscono
l’autorevolezza di un leader mondiale non autoritario, con un grande carisma e una capacità di
comunicazione. Egli sa coniugare lo spirituale con il sociale, il mondiale con il locale. È una
promessa e, nello stesso tempo, una benedizione divina.
Lo si è visto durante la giornata di digiuno e di preghiera da lui indetta per la pace in Siria. È
stato un gesto che ha toccato il cuore delle persone e che dà speranza per il futuro. Le chiedo
qualche parola in merito alla Teologia della Liberazione. Come e cosa è cambiato oggi e quali
sono le priorità nel tempo attuale?
La Teologia della Liberazione (TdL) è nata ascoltando il grido dei poveri. I poveri, gli sfruttati, i
dissidenti, gli indigeni, le donne sotto il patriarcato, i discriminati… Questi poveri gridano e si
sentono oppressi. Contro l’oppressione è nata la Teologia della Liberazione. E per noi la liberazione
è parte del messaggio cristiano, della tradizione profetica, della parola di Gesù. Marx non è mai
stato il padre o il padrino della TdL e noi non lo abbiamo mai “sfruttato” in tal senso. Oggi non ci
sono solo le persone che gridano, ma anche gli alberi, le piante, gli animali. La terra tutta grida.
Quindi oggi bisogna considerare che, accanto all’opzione preferenziale per i poveri, che è il punto
centrale su cui è nata e si è sviluppata la TdL, c’è il bene più ampio che è la difesa della terra.
Adesso si sta elaborando una grande, forte eco-teologia della liberazione, che rappresenta il futuro
di questo cammino di riflessione a partire dalla parola di Dio che sta dalla parte delle creature
oppresse, gli uomini e l’ambiente naturale che ci circonda.
Come è arrivato all’elaborazione di una teologia che abbia a cuore il creato? Dai poveri e
dalla lotta al capitalismo, come è approdato a questa sensibilità ecologica?
Come ho detto, la stessa logica di oppressione che sfrutta le persone, le classi, i Paesi, sfrutta anche
la natura. Sfrutta la terra in un modo e in un tempo illimitati. Cosa vuol dire questo? È in corso un
processo d’appropriazione indebita delle risorse della terra, di devastazione dell’equilibrio ecologico. È una logica “industrialista”, di estremo consumismo… Siamo arrivati al punto da sentire
i limiti della terra. La terra ora ha bisogno di un anno e mezzo per ricomporre quanto gli abbiamo
sottratto in un anno. Quindi, il sistema non è più sostenibile. La terra è ammalata. La forma con cui
si manifesta questa malattia è il riscaldamento globale, gli eventi estremi naturali che colpiscono
alcune zone del mondo, gli sbalzi climatici. Abbiamo capito che la Terra è essa stessa un’oppressa e
che, in quanto tale, grida. E così abbiamo aperto il discorso della TdL anche alla natura e
all’ecologia, includendo la sua tutela. Il pianeta Terra è l’unica casa comune che abbiamo.
La sua appartenenza ecclesiale è stata piuttosto controversa e faticosa. Ma lei è sempre stato
fedele al Vangelo e al messaggio di liberazione dei poveri intrinseco nella parola e nella vita di
Cristo. Come vive oggi questi “contrasti”?
Ho avuto alcuni problemi con il Vaticano e con la Congregazione della Fede. Alla radice c’era un
mio libro dal titolo Chiesa, carisma e potere. Questo libro provava ad applicare i principi della TdL
nei rapporti interni alla Chiesa. Si intuiva bene che la Chiesa non rispetta così bene i rapporti umani,
non mette i laici tutti sullo stesso piano, non accetta la parità della donna. C’è una centralizzazione
molto forte del potere e questo porta a una specie di autoritarismo. La Chiesa può parlare di forma
credibile di liberazione nella società quando essa stessa si apre alla libertà dei rapporti… Così Roma
non ha mai accettato questi discorsi e mi criticava dicendomi che questa impostazione è protestante.
Io ho sempre detto che è un discorso analitico e cristiano. Mi hanno imposto il silenzio e, dopo
alcuni anni, mi volevano imporre di allontanarmi dall’America Latina. Dovevo scegliere tra Corea e
Filippine. Ho detto che lo avrei fatto. Sono un frate e ci sarei andato. Ma ho chiesto anche se lì avrei
potuto insegnare teologia, scrivere e parlare liberamente. Mi hanno risposto di no, che avrei potuto
solo esercitare il ministero e fare il missionario. Ho replicato che non avrei potuto rinunciare alla
teologia perché studio e insegno da cinquant’anni. E così ho dovuto rinunciare al sacerdozio e a
essere frate francescano. Però non ho lasciato la Chiesa, ma solo una funzione che ricoprivo prima:
la funzione di prete. Ho continuato a lavorare come teologo e diversi vescovi mi hanno sempre
accompagnato e sostenuto e continuo con la teologia che amo. Dopo tanti anni vedo i vantaggi
dell’essere laico perché ho un approccio più aperto di tanti sacerdoti. Porto avanti ugualmente il
Vangelo e il messaggio cristiano. Adesso mi occupo molto di etica, spiritualità e di ecologia.
Il prossimo anno si celebreranno i 40 anni dalla morte di Frei Tito Alencar da Lima,
violentemente torturato durante la dittatura degli anni Settanta in Brasile. Ci può tracciare
un suo profilo?
Frei Tito è stato un frate domenicano molto impegnato accanto ad altri domenicani, come frei Betto,
che si opponevano fortemente alla dittatura militare. Avevano elaborato una strategia per salvare la
vita dei perseguitati che sicuramente sarebbero stati torturati e uccisi. Li facevano fuggire dal sud
del Brasile, attraverso l’Uruguay. Frei Tito era uno di questi: è stato imprigionato, terribilmente
torturato.
Il torturatore gli diceva che lo avrebbe torturato in un modo così brutale e profondo che la sua
persona, la sua immagine, gli sarebbe stata sempre “dentro”. Questo atteggiamento, questa pratica
violenta si studia anche in psicologia. E il torturatore è riuscito nel suo intento. Così quando frei
Tito era in Francia, dove è arrivato da esiliato, continuava a gridare contro i suoi torturatori. Finché
non si è tolto la vita lasciando in eredità queste parole: “È meglio morire, piuttosto che perdere la
dignità e la vita…”. È un martire vivo, vittima delle terribili strategie di tortura applicate in tanti
Paesi latinoamericani fino a toccare l’estrema solitudine dell’essere umano. Fino a togliergli la
libertà di vivere. Questa è la più grande atrocità che l’uomo abbia mai potuto mettere in piedi.




cristianesimo uguale vangelo? non sempre, spesso il contrario secondo L. Boff

Boff

La tradizione di Gesù contro la religione cristiana 

Leonardo Boff
Per comprendere adeguatamente il cristianesimo è necessario fare delle distinzioni, accettate dalla maggioranza degli studiosi. Così, è importante distinguere tra il Gesù storico ed il Cristo della fede. Per Gesù storico si intende il predicatore e profeta di Nazareth come esisté realmente sotto Cesare August…o e sotto Erode. Il Cristo della fede è il contenuto della predicazione dei suoi discepoli che lo vedono come il Figlio di Dio ed il Salvatore.
Un’altra distinzione importante che bisogna fare è tra il Regno di Dio e la Chiesa. Regno di Dio è il messaggio originale di Gesù. Significa una rivoluzione assoluta ridefinendo le relazioni degli esseri umani con Dio, figli e figlie, con gli altri, tutti fratelli e sorelle, con la società (centralità dei poveri), e con l’universo, la gestazione di un nuovo cielo ed una nuova terra. La Chiesa è stata possibile poiché Gesù fu respinto e, per quel motivo, non si realizzò il Regno. Si tratta di una costruzione storica che tratta di portare a termine la causa di Gesù nelle differenti culture ed epoche. L’incarnazione dominante è nella cultura occidentale, ma si è incarnato anche nella cultura orientale, nella copta ed ancora in altre.
È anche importante distinguere la Tradizione di Gesù e la religione cristiana. La Tradizione di Gesù si situa in precedenza alla redazione dei Vangeli, benché sia contenuta in essi. I Vangeli furono scritti tra 30 e 60 anni dopo l’esecuzione di Gesù. In quel tempo intermedio si erano organizzate già comunità e chiese, con le loro tensioni, conflitti interni e forme di organizzazione. I Vangeli riflettono e prendono posizione dentro questa situazione. Non pretendono di essere libri storici, bensì libri di edificazione e di diffusione della vita e del messaggio di Gesù, come Salvatore del mondo.
Dentro questo groviglio che significato assume la Tradizione di Gesù? È quel nucleo duro, il contenuto che sta in un guscio di noce e che rappresenta l’intenzione originale e la pratica di Gesù, ipsissima intentio et verbali Jesu, prima delle interpretazioni che  furono fatte. Può riassumersi nei seguenti punti: In primo luogo viene il sogno di Gesù, il Regno di Dio, come una rivoluzione assoluta della storia e dell’universo, proposta conflittuale perché si oppone al regno di Cesare. Dopo, la sua esperienza personale di Dio che egli trasmise ai suoi seguaci: Dio è Padre (Abba), pieno di amore e tenerezza. La sua caratteristica speciale è essere misericordioso, ama gli ingrati e i cattivi (Lucas 6,35). Dopo predica e vive l’amore incondizionato che mette alla stessa altezza  l’amore e Dio. Un altro punto è dare centralità ai poveri e a gli  invisibili. Essi sono i primi destinatari e beneficiari del Regno, non per la loro condizione morale, bensì perché questi sono privati della vita, e questa loro condizione è la porta che li conduce a Dio vivo e che induce Dio a optare per essi. Nel comportamento che assumiamo verso questi, si decide se ereditiamo o no la salvezza (Mt 25 ,46). Un altro punto importante è la comunità. Egli scelse a dodici uomini per vivere con lui; questo numero dodici è simbolico: rappresenta la riunione delle 12 tribù dell’Israele e la riconciliazione di tutti i popoli, fatto Popolo di Dio. Infine, l’uso del potere. Solo Lui legittima quell’uso che è servizio alla comunità ed il portatore di potere deve cercare sempre l’ultimo posto.
Questo insieme di valori e visioni è la Tradizione di Gesù. Come si deduce, non si tratta di un’istituzione, dottrina o disciplina. Quello che Gesù voleva era insegnare a vivere e non creare una nuova religione con parrocchiani come istituzione. La Tradizione di Gesù è un sogno buono, una strada spirituale che può acquisire molte forme e che può avere anche seguaci fuori della cosa religiosa ed ecclesiale.
La Tradizione di Gesù si trasformò durante la storia in una religione, la religione cristiana: un’organizzazione religiosa sotto forma di varie Chiese, specialmente la Chiesa romana-cattolica. Queste si caratterizzano per essere istituzioni con dottrine, discipline, determinazioni etiche, forme rituali di celebrazione e canoni giuridici. La Chiesa cattolica romana in concreto si organizzò intorno alla categoria del potere sacro, sacro potestas, concentrandolo nelle mani di una piccola elite che è la gerarchia con il Papa alla testa, con esclusione dei laici e delle donne. Ella detiene le decisioni ed il monopolio della parola. È gerarchica e creatrice di grandi disuguaglianze. Si identificò illegittimamente con la Tradizione di Gesù.
Questo tipo di traduzione storica coprì di ceneri gran parte dell’originalità e dell’incantesimo della Tradizione di Gesù. Per questo motivo tutte le Chiese stanno in crisi, perché non sono “gioia per tutto il popolo”, come Lc 2,11, lo furono all’inizio.
Gesù stesso, comprendendo questo sviluppo, notò che a poco serve osservare le leggi “e non preoccuparsi della cosa più importante che è la giustizia, la povertà e la fede; questo è quello che importa, senza smettere di fare la cosa altra” (Mt 23,23).
Attualizzando: Dove possiamo ritrovare il fascino della figura e dei discorsi del Papa Francesco? In ogni suo discorso si lega direttamente alla Tradizione di Gesù. Afferma che “l’amore sta prima che il dogma ed il servizio ai poveri prima che le dottrine” (Civiltà Cattolica). Senza questo investimento il cristianesimo perde “la freschezza e la fragranza del Vangelo”, si trasforma in un’ideologia religiosa e si trasforma in un’ossessione dottrinale.
Non c’è un’altra strada per recuperare la credibilità persa dalla Chiesa, se non quella di ritornare alla Tradizione di Gesù, come lo sta facendo saggiamente il Papa Francesco.
Leonardo Boff