‘depaganizzazione’ del papato

Boff
una bella riflessione, questa, di L. Boff che sottolinea che la configurazione che il papato ha assunto storicamente  ha avuto come riferimenti e ispirazione meno il vangelo che contingenze storiche, soprattutto impostazioni imperiali e assolutistiche, del tutto dimentiche del “tra voi non sia così!”
urgentissima quindi una purificazione di questa immagine dai connotati, per tanti aspetti, paganeggianti!
 Papa Francesco e la depaganizzazione del papato
Le innovazioni nelle abitudini e nei discorsi di Papa Francesco hanno aperto una crisi acuta nei gruppi conservatori che seguivano rigorosamente le linee guida dei due Papi precedenti. Per loro è stato particolarmente intollerabile che il Papa avesse ricevuto in udienza privata uno dei promotori della “condannata” Teologia della Liberazione, il peruviano Gustavo Gutierrez. Sono storditi dalla sincerità del Papa, che riconosce gli errori nella Chiesa e allo stesso tempo, denuncia l’arrivismo di molti prelati, qualificando di “lebbra” lo spirito cortigiano ed adulatore di molti al potere, i cosiddetti “vaticanocentrici”.
Quello che veramente li ha scioccati è l’inversione che fa, mettendo al primo posto l’amore, la misericordia, la tenerezza, il dialogo, assieme alla modernità e alla tolleranza con le persone, anche con quelle divorziate ed omosessuali, e solo dopo le dottrine e discipline ecclesiastiche.
Si sentono già le voci più radicali che, con riferimento a Papa Francesco, chiedono per “il bene della Chiesa” (la loro, ovviamente) preghiere di questo tipo: “Signore, illuminalo o eliminalo”. La rimozione di papi scomodi non è una rarità nella lunga storia del papato. C’è stata un’epoca compresa tra 900 e 1000, quella chiamata “era pornocrática” del papato, in cui quasi tutti i papi sono stati avvelenati o uccisi.
Le critiche più frequenti che circolano nelle reti sociali di questi gruppi, storicamente superati e arretrati, accusano il papa corrente di dissacrare la figura del papato, secolarizzandola e rendendola banale. In realtà, essi ignorano la storia e sono ostaggi di una tradizione secolare che ha poco a che fare con il Gesù storico e con lo stile di vita degli Apostoli, ma ha molto a che fare con il lento paganesimo e con la mondanità della Chiesa, col seguire lo stile degli imperatori romani pagani e dei principi rinascimentali.
Le porte a questo processo sono state aperte nell’epoca di Costantino (274-337), che riconobbe il Cristianesimo, e da Teodosio (379-395), che lo impose come l’unica religione dell’Impero. Con il declino dell’Impero Romano, si sono create le condizioni perché i vescovi, in particolare quello di Roma, assumessero le funzioni di ordine e controllo. Questo è accaduto chiaramente con il Papa Leone I, il Grande (440-461), che fu proclamato prefetto di Roma per affrontare l’invasione degli Unni. Egli fu il primo anche ad usare il nome del Papa, una volta riservato solo agli imperatori. Ha acquisito maggiore forza con il Papa Gregorio Magno (540-604), proclamato anche lui prefetto di Roma, culminando poi con Gregorio VII (1021-1085) che si arrogò il potere assoluto religioso e laico: forse la più grande rivoluzione nel campo della ecclesiologia.
Le attuali abitudini imperiali, principesche e cortigiane di tutta la gerarchia, dei cardinali e dei papi si devono riferire soprattutto a papa Silvestro (334-335). Nella sua epoca era stata creata una falsificazione, la “Donazione di Costantino”, con l’obiettivo di rinforzare il potere papale. Secondo questa falsificazione, l’imperatore Costantino avrebbe donato al Papa la città di Roma e la parte occidentale dell’Impero. Con questa “donazione”, dimostrata come falsa dal Cardinale Nicola Cusano (1400-1460), erano inclusi l’uso delle insegne e dell’abbigliamento imperiali (porpura), il titolo di Papa, il pastorale d’oro, la mozetta sulle spalle adornata di ermellino e orlata di seta, la formazione della corte e la residenza nei palazzi.
Questa è l’origine delle attuali abitudini principesche e cortigiane della Curia Romana, della gerarchia ecclesiastica e dei cardinali, in particolare del Papa. Prende inspirazione dello stile degli imperatori romani pagani e dalla sontuosità dei principi rinascimentali. Quindi, è stato un processo di paganesimo e di mondanità della Chiesa come istituzione gerarchica.
Coloro che vogliono tornare alla tradizione rituale che circonda la figura del Papa non sono nemmeno consapevoli di questo processo storicamente chiuso e condizionato. Essi insistono su qualcosa che non passa attraverso il setaccio dei valori evangelici e per la pratica di Gesù.
Che cosa sta facendo il Papa Francesco? Sta restituendo al papato e all’intera gerarchia il suo vero stile, legato alla Tradizione di Gesù e degli Apostoli. In realtà, sta ritornando alla tradizione più antica, e realizzando una depaganizzazione del papato nello spirito del Vangelo, vissuto emblematicamente dal suo ispiratore San Francesco d’Assisi .
L’ autentica tradizione è dalla parte di papa Francesco. I tradizionalisti sono solo tradizionalisti e non tradizionali. Essi sono più vicini al palazzo di Erode e di Cesare Augusto che alla grotta di Betlemme e all’artigiano di Nazareth. Contro di loro c’è la pratica di Gesù e le sue parole sullo spogliamento, la semplicità, l’umiltà e sul potere come servizio e non come fanno i principi pagani e i grandi che soggiogano e dominano: “Ma tra di voi non deve esser così; anzi, il più grande fra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve” (Lc 22,26). Papa Francesco parla a partire da questa originaria e più antica Tradizione, quella di Gesù e degli Apostoli. Perciò destabilizza i conservatori che sono rimasti a corto di argomenti.
Leonardo Boff è autore di Chiesa: carisma e potere, Record, Rio

tornare alle radici fa bene

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non solo fa bene, ma anche ci fanno ringiovanire: ne è convinto il teologo L. Boff che afferma che “non sono al di fuori di noi ,sono la nostra base incosciente di sostegno e di forza vitale; quindi, le portiamo sempre con noi e ringiovaniamo ogni volta che ritorniamo a loro”:

Ritornare alle radici per ringiovanire

Per quanto lontano camminiamo sul nostro pianeta o anche al di fuori di esso, come gli astronauti, portiamo sempre con noi la forza delle radici. Di volta in volta, si animano e suscitano in noi un irrefrenabile desiderio di tornare verso di loro. Non sono al di fuori di noi . Sono la nostra base incosciente di sostegno e di forza vitale. Quindi, le portiamo sempre con noi e ringiovaniamo ogni volta che ritorniamo a loro. Il 9 e il 10 settembre di quest’anno, ho vissuto un’esperienza inusuale quando ho visitato la casa del nonno nel nord della Italia.

Sentimenti profondi, provenienti dal nostro inconscio personale e collettivo, improvvisamente irruppero in me. Mi sentivo ricollegato a quella fonte: La vecchia casa, le stanze annerite, le porte che scricchiolano quando si aprono, i letti duri e di grandi dimensioni (con alcuni dormivano insieme), la stufa a legna, gli armadi pieni di ciotole e vasi antichi, il grande tavolo con le loro lunghe panche, su ogni lato, per far stare a tavola tutti. Era il paesaggio interno. Dal balcone, il paesaggio esterno, dà lassù una lunga valle, con piccole case distribuite tra il verde dei campi e, in lontananza, il famoso Monte Grappa di quasi duemila metri di altezza, dove sanguinose battaglie furono combattute durante la prima guerra mondiale tra l’esercito italiano e l’austro-ungarico

La casa del nonno paterno è nella Valle di Seren del Grappa, vicino a Feltre e Belluno, nella regione italiana del Triveneto. In realtà, è un piccolo agglomerato di case, incollate insieme, chiamato Col dei Bof. È in alto, a metà altezza della grande montagna. Era, fino a poco tempo fa, completamente abbandonato, come molte altre case della montagna. Fino a quando la ” Fondazione di Seren”, formata da persone di Bolzano, di Belluno e Feltre, con alcuni mezzi ed un forte senso di recupero ecologico della regione, l’ha adottata e trasformata in un centro di incontro e di cultura . Di notte è illuminata. Sembra sospesa in aria, con la montagna scura sullo sfondo.

La popolazione della valle era povera, l’agricoltura di sussistenza appena alimentava la famiglia, perché i suoli non erano molto fertili. Molti hanno sofferto la fame. Alcuni hanno avuto la “pellagra” ( fame estrema, perché mangiavano solo polenta ed acqua fino ad appassire) .

In questo contesto, gran parte della popolazione, di poco più di due mila persone, emigrò, alcuni verso Rio Grande do Sul nel 1880. Gli antenati, in particolare i due antenati Rech e Boff (si scriveva Boeuf), del secolo XV, provenivano dalla Germania (Alsazia e Lorena, Francia oggi). Erano esperti nel tagliare gli alberi di queste valli e montagne per fare il carbone, venduti poi in tutto il Veneto (Bolzano e Venezia) .

Raggiunto il luogo, mi aspettava una manciata di antichi parenti. Essi avevano decorato la casa con spighe di grano, fiori e frutti di stagione. Un coretto cantava canzoni in dialetto veneziano che conoscevamo da casa. Improvvisamente, posizionato davanti alla vecchia casa –un borgo di grandi dimensioni– ho percepito quei muri impregnati con lo spirito del “poro nonno Boff “. Sì, lui era lì. I morti sono solo invisibili , ma mai assenti. Ho visto la sua figura sempre grave, ma di un’ eleganza coltivata, con il fazzoletto al collo, su un cavallo sellato che veniva a farci la visita dal villaggio vicino. Mi metteva sulle sue ginocchia e mi raccontava barzellette nello stile divertente degli italiani. E alla fine, di nascosto da mio padre, mi dava qualche soldo, quello che aspettavo di più .

Dovevo parlare ai presenti. La voce mi si è strozzata in gola. Ho lasciato che le lacrime del ricordo e della nostalgia mi scendessero dagli occhi per la barba. Sentii, con una percezione transrazionale, che lui era lì. Ho immaginato il suo coraggio: aveva abbandonato tutto, la casa, la terra degli antenati, la campagna amata, per affrontare l’ignoto e costruire la “Merica”, come dicevano: Merica, Merica, Merica, che cosa sarà questa Merica? Un massolin di fior” ( America , America, America , che cosa sará questa America? Un mazzo di fiori). Ho visitato ogni angolo e ho anche sfogliato vecchi libri rimasti lì.

Di notte ho parlato con la gente. Oggi sono due mila persone. La chiesa era gremita. Ho raccontato le storie eroiche dei nonni come all’inizio attraversarono il Rio Grande e poi i figli (miei genitori) esplorarono la zona di Concordia nel ovest di Santa Caterina. Come pregavano il rosario di domenica, cantavano le litanie della Madonna in latino e come mio padre, maestro di scuola, insegnava il portoghese ai vecchi, perché in casa parlavano solo il dialetto veneto .

Vengo del tempo della pietra scheggiata, ho perlustrato tutte le fasi della evoluzione culturale ed oggi, ho detto: sono qui con voi, a ritrovare le radici antiche ma sempre nuove. Alla fine, ho cantato quello che cantavamo nella colonia italiana: “Sia dottore o avvocato, deve tutto al suo papà. Ma ragazzii, sapete che il vostro nonno avanti sempre va”.

Nel tramonto nella vita, ho avuto un’esperienza di ringiovanimento ritornando all’alba delle mie radici.

Con il Papa Francisco: il Terzo Mondo dentro il Vaticano

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L. Boff ancora su papa Francesco:

Sono note le tante innovazioni che Papa Francesco, il Vescovo di Roma, come vuole essere chiamato, ha introdotto nelle abitudini papali e nello stile di presiedere la Chiesa nella tenerezza, nella comprensione, con il dialogo e con la compassione.

Ma alcuni sono rimasti perplessi, perché erano abituati allo stile classico dei papi, dimenticando che questo stile è ereditato dagli imperatori romani pagani, dal nome di “Papa” al mantello sulle spalle (Mozetta), tutto ornato, simbolo del potere imperiale assoluto, prontamente respinto da Francesco.

Ricordiamo di nuovo che l’attuale Papa viene da fuori, dalla periferia della Chiesa centrale europea. Porta con sé un’altra esperienza ecclesiale, con nuovi costumi e con un’altra forma di sperimentare il mondo con le sue contraddizioni. Lo ha espresso coscientemente nella sua lunga intervista con la rivista gesuita Civiltà Cattolica: “Le chiese giovane sviluppano una sintesi di fede, cultura e vita in divenire, e quindi diversa da quella che hanno sviluppato le Chiese più antiche”. Queste ultime non sono segnate dal divenire ma dalla stabilità e fa loro fatica incorporare elementi nuovi derivati dalla cultura moderna laica e democratica.

Qui il Papa Francesco sottolinea la differenza. È consapevole di venire da un altro modo di essere Chiesa, maturato nel Terzo Mondo. Questo è caratterizzato da profonde ingiustizie sociali, da un numero assurdo di baraccopoli che circondano quasi ogni città, da culture originarie sempre disprezzate e da l’eredità della schiavitù di origine africana, che subiscono discriminazioni importanti. La Chiesa ha capito che oltre alla sua missione religiosa particolare, non poteva sottrarsi a una missione sociale urgente: schierarsi con i deboli e gli oppressi e lottare per la loro liberazione. In diversi incontri dei vescovi continentali di Latinoamerica e dei Caraibi (Celam) è maturata l’opzione preferenziale per i poveri, contro la loro povertà, e l’evangelizzazione liberatrice.

Papa Francesco viene di questo brodo ecclesiale e culturale. Qui, tali opzioni con le loro riflessioni teologiche, con modi di vivere la fede in rete di comunità e celebrazioni incorporando lo stile popolare di pregare Dio, sono cose evidenti. Ma non lo sono per i cristiani della antica cristianità europea, pieni di tradizioni, teologie, cattedrali e un senso del mondo riempito con il modo greco-romano-germanico di articolare il messaggio cristiano. Venendo di una Chiesa che ha dato centralità ai poveri, prima di tutto ha visitato i rifugiati sull’isola di Lampedusa, poi a Roma presso il centro dei gesuiti e poi presso i disoccupati di Corsica. E’ naturale per lui, ma è quasi uno “scandalo” per i curiali e un fatto senza precedenti per gli altri cristiani europei. L’opzione per i poveri, ribadita dagli ultimi papi era solo retorica e concettuale. Non c’era un vero incontro con i poveri ed i sofferenti. Con Francesco capita esattamente il contrario: l’annuncio è pratica affettiva ed efficace.

Forse queste parole di Francesco chiariscono il suo modo di vivere e di vedere la missione della Chiesa: “Vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. E’ inutile chiedere a uno gravemente ferito se ha il colesterolo e la glicemia elevati! È necessario guarire le ferite. Poi, si può parlare di tutto il resto”. “La Chiesa” – continua – “a volte é chiusa in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante, piuttosto, è il primo annuncio: ‘Gesù ti ha salvato!’. Pertanto, i ministri della Chiesa, in primo luogo, devono essere ministri di misericordia, le riforme strutturali e organizzativi sono secondarie, vale a dire, vengono dopo, la prima riforma dovrebbe essere l’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone in grado di scaldare il cuore della gente, camminare con loro durante la notte, dialogare e anche entrare nella “loro” notte  senza perdersi nel buio. “Il popolo di Dio -conclude- vuole pastori e non dipendenti o clerici di Stato”. In Brasile, parlando ai vescovi latinoamericani ha chiesto loro di fare la “rivoluzione della tenerezza”.

Pertanto, la centralità non è occupata dalla dottrina e disciplina, così dominante in questi ultimi tempi, ma dalla persona di Gesù e della umana nelle sue ricerche, che sia o non sia credente, come il Papa ha mostrato nel dialogo con l’ex direttore del quotidiano romano La Repubblica, Eugenio Scalfari, persona non credente. Sono nuovi venti che soffiano dalle nuove chiese periferiche e danno aria nuova a tutta la Chiesa. La primavera davvero sta arrivando, prometente.

Leonardo Boff ha scritto Francesco d’Assisi e Francesco di Roma, Mar Idéias, Rio 2013.

“davvero non esistono verità assolute” di L. Boff

 

continuando il dialogo aperto dai due papi col mondo laico, così L. Boff si esprime in una lettera al direttore de ‘la Repubblica’:

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 Caro direttore, scrivendo una lettera a un giornale e rispondendo alle domande poste attraverso un giornale da Eugenio Scalfari, Papa Francesco ha compiuto un atto di straordinaria importanza. Non solo perché lo ha fatto in una forma senza precedenti ma perché lo ha fatto come un uomo che parla a un altro uomo, nel contesto di un dialogo aperto a tutti che ci porta a metterci allo stesso livello degli altri. E di fatti Francesco, che come sappiamo preferisce la definizione di vescovo di Roma a quella di Papa, ha risposto a Eugenio Scalfari in modo cordiale, con l’intelligenza calorosa del cuore piuttosto che con quella intellettuale fredda. La sua si può definire una “ragione sensibile”, come si dice oggi nella discussione filosofica in Europa, negli Stati Uniti e anche fra noi, quella che parla direttamente all’altro, al suo profondo, e non si nasconde dietro dottrine, dogmi, istituzioni. In questo senso, per Francesco non è rilevante se Scalfari sia o meno un credente, poiché ognuno ha la sua storia e il suo percorso, ma è importante la capacità di essere aperti all’ascolto. Per dirla con le parole del grande poeta spagnolo Antonio Machado, “la tua verità? No, la Verità e vieni con me a cercarla. La tua, tienitela”. Più importante che sapere è non perdere mai la capacità di imparare. Questo è il senso del dialogo. Con la sua lettera, Francesco ha mostrato che tutti cerchiamo una verità più piena e più ampia, una verità che ancora non possediamo. Per trovarla, non servono i dogmi e le dottrine, ma caso mai il presupposto che esistono ancora risposte da cercare, che esiste un mistero, e che questa ricerca è una forza che ci mette tutti sullo stesso piano, i credenti come i non credenti, i fedeli di chiese diverse, ognuno dei quali ha diritto di portare la sua visione del mondo. Non è un caso che ogni fede conosca profonde difficoltà, e che una in particolare le accomuni tutte: è la contraddizione terribile che attraversa credenti e atei, la domanda su come Dio possa consentire le grandi ingiustizie del mondo. È la domanda che anche Papa Benedetto XVI si è fatto con sgomento a Auschwitz, spogliandosi per un attimo dal suo ruolo di pontefice e parlando solo come un uomo, a cuore aperto. È la domanda “dov’era Dio quando accadeva questo?”. Tutti noi cristiani dobbiamo accettare che la risposta non c’è, che la domanda è ancora aperta. Dio può essere quello che la nostra ragione non capisce. Che la sola intelligenza non può rispondere a tutto, che la Genesi, come diceva il filosofo della speranza Ernst Bloch, non è al principio ma al termine, che le cose camminano in una direzione buona che comprenderemo soltanto alla fine. Solo alla fine possiamo dire veramente: “E tutto è buono”, perché mentre viviamo non tutto è buono. Verità assolute, verità relative? Io preferisco rispondere con il vescovo brasiliano dal cuore della Amazzonia, poeta, profeta e pastore, Pedro Casaldaliga: “Solo Dio e la fame sono assoluti”. Per questo io stesso ho molta fiducia in ciò che Francesco potrà fare e mi sento in dialogo con lui. Ha già fatto un’importante riforma del Papato e ne farà una della Curia, e in molti discorsi ha indicato come tutti i temi possano essere discussi, un’affermazione impensabile fino a poco tempo fa. Temi come il celibato dei preti, il sacerdozio delle donne o la morale sessuale e l’omoaffettività erano semplicemente proibiti per vescovi e teologi e ora non lo sono più. Credo che questo Papa sia il primo a non volere un governo monarchico, il “potere” di cui parla Scalfari, ma invece voglia restare il più possibile vicino al Vangelo traendone i principi di misericordia e comprensione, tenendo al centro l’umanità. Per questo anche il suo dialogo con i non credenti può davvero svilupparsi, e aprire una nuova stagione di modernità etica che non guarda solo alla tecnologia, alla scienza e alla politica ma che può portare al superamento dell’atteggiamento di esclusione fin qui tipico della chiesa cattolica, all’arroganza di chi ritiene che la sua chiesa sia l’unica vera erede del messaggio di Gesù. Per questo è importante non dimenticare mai che Dio ha inviato il suo Figlio al mondo e non solamente ai credenti. E lui illumina ogni persona che viene in questo mondo, come dice il Vangelo di San Giovanni. In questo senso, come ho già scritto a Francesco, è urgente un Concilio Vaticano III, aperto a tutti i
cristiani e non solo ai cattolici, a tutte le persone, anche atee, che possono aiutarci a analizzare le minacce che gravano sul pianeta e come affrontarle. Le donne in primo luogo, dato che è la vita stessa a essere minacciata. Il Cristianesimo è un fenomeno occidentale. Deve trovare il suo spazio nella nuova fase dell’umanità, nella fase planetaria. Solo così può essere una Chiesa di tutti e per tutti. In Francesco, che lo ha già dimostrato in Argentina, io non vedo la volontà di conquistare e di fare proselitismo, ma piuttosto quella di testimoniare e percorrere, come ha scritto a Scalfari, un tratto del cammino insieme: il cristianesimo è in movimento, come Gesù camminava insieme agli Apostoli. E in tutto questo la dimensione etica e il senso dei diritti universali è più importante dell’appartenere o meno a una chiesa, come nel caso di Eugenio Scalfari. Dobbiamo guardare alla dimensione luminosa della storia più che alle sue ombre, vivere come fratelli e sorelle nella stessa Casa Comune, nella Madre Terra, rispettando le diverse opzioni, sotto un unico grande arcobaleno, segno della trascendenza dell’essere umano. Un lungo inverno è finito, ci aspetta una primavera con la sua dimensione gioiosa di fiori e di frutti, una primavera nella quale vale la pena di essere umani anche nella forma cristiana di questa parola.

Boff:papa Francesco parla con un non credente da uomo a uomo

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Francesco, vescovo di Roma, si è spogliato di tutti i titoli e simboli di potere che non fanno altro che allontanare le persone le une dalle altre ed ha pubblicato una lettera nel principale giornale di Roma, La Repubblica, rispondendo al suo ex-direttore e “decano” intellettuale Eugenio Scalfari, non credente. Lui aveva sollevato pubblicamente alcune domande al Vescovo di Roma. Francesco ha compiuto un atto di straordinaria importanza, non solo perché l’ha fatto in un modo senza precedenti, ma soprattutto perché ha parlato come un uomo che parla ad un altro uomo in un contesto di dialogo aperto, collocandosi allo stesso livello del suo interlocutore.

Infatti, Francesco, che, come sappiamo, preferisce chiamarsi Vescovo di Roma e non Papa, ha risposto a Eugenio Scalfari cordialmente, con l’intelligenza calorosa del cuore, più che con la fredda intelligenza delle dottrine. Attualmente, in filosofia, si cerca di riscattare l’”intelligenza sensibile “che arricchisce ed amplia l’”intelligenza intellettuale”, perché parla direttamente agli altri, alla loro profondità, senza nascondersi dietro dottrine, dogmi o istituzioni.

In questo senso, per Francesco non è rilevante che Scalfari sia o non sia credente, ognuno ha la sua storia personale e il suo percorso esistenziale che devono essere rispettati. Ciò che è rilevante è la capacità di entrambi di essere aperti ad ascoltare l’altro. Per dirla come il grande poeta spagnolo Antonio Machado: “La tua verità? No, la Verità, e vieni con me a cercarla. La tua, tientela”. Più importante che sapere, è non perdere mai la capacità di imparare. Questo è ciò che significa il dialogo.

Con la sua lettera, Francesco ha dimostrato che tutti cerchiamo una verità più piena e più ampia, una verità che non abbiamo ancora. Per scoprirla, non servono i dogmi presi da loro stessi, né le dottrine formulate in astratto. Il presupposto comune è che ci sono ancora risposte da ricercare e che tutto è avvolto nel mistero. Questa ricerca colloca tutti allo stesso livello, credenti e non credenti, anche i fedeli delle diverse Chiese. Ognuno ha il diritto di esprimere la sua visione delle cose. Viviamo tutti in una contraddizione terribile che circonda credenti e atei: Perché Dio permette le grandi ingiustizie di questo mondo? E’ la domanda di profondo sconforto che ha fatto Papa Benedetto XVI quando ha visitato il campo di sterminio nazista di Auschwitz. Si sottrasse per un momento il suo ruolo di Papa e parlò solo come un uomo, con il cuore aperto: “Dio, dove eri quando queste atrocità sono accadute? Perché taci?”.

Tutti noi cristiani dobbiamo ammettere che non c’è una risposta e che la questione rimane aperta. Solo ci conforta l’idea che Dio può essere ciò che la nostra ragione non capisce. L’intelligenza intellettuale da sola ammutolisce, perché non ha una risposta per tutto. La Genesi, come diceva il filosofo Ernst Bloch, non è all’inizio ma alla fine. Le cose, così pensano i credenti, si sviluppano verso un lieto fine. Solo alla fine, in qualche modo, ci sarà dato di capire il senso dell’esistenza. Allora noi potremo finalmente dire: “e tutto è buono” e dare “l’Amen” definitivo. Ma mentre viviamo non tutto è buono. Verità assolute e verità relative? Preferisco rispondere come il grande poeta, mistico e pastore, il vescovo Don Pedro Casaldáliga, lì nella Amazzonia profonda: “L’assoluto? Solo Dio e la fame”.

Nutro grande fiducia che Francesco, con il suo dialogo, potrà realizzare grandi cose per il bene dell’umanità. Ha cominciato a fare una grande riforma del papato. Presto ci sarà la riforma della Curia romana. Attraverso diversi discorsi ha detto che tutti i problemi possono essere discussi, cosa impensabile tempo fa. Questioni come il celibato sacerdotale, il sacerdozio delle donne, la morale sessuale ed il riconoscimento degli omosessuali, fino a poco tempo non potevano essere sollevate da teologi e vescovi.

Sicuramente il suo dialogo con i non credenti potrà veramente espandersi ed aprire una nuova finestra con l’etica della modernità che considera non solo la tecnologia, ma la scienza e la politica, e può anche portarci a superare l’esclusione dal comportamento della Chiesa cattolica, in altre parole, l’arroganza di concepirsi come l’unica vera erede del messaggio di Gesù’. E’ sempre bene ricordare che Dio ha mandato suo Figlio al mondo, e non solo ai battezzati. Egli illumina ogni persona che viene nel mondo, non solo i credenti, come ricorda san Giovanni nel prologo del suo Vangelo.

In questo senso, in una lettera al Papa Francesco, ho suggerito personalmente un Concilio Ecumenico di tutta la cristianità, di tutte le chiese, tra cui anche la presenza di atei che possono, per la loro saggezza ed etica, aiutare ad analizzare le minacce che affliggono il pianeta e come affrontarle. E prima di tutti le donne, generatrici di vita, perché la vita stessa è minacciata.

Il Cristianesimo è presentato come un fenomeno occidentale e deve trovare il suo posto entro la nuova fase dell’umanità, la fase planetaria. Solo allora sarà per tutte e per tutti.

In Francesco, come egli già aveva dimostrato in Argentina, non vedo alcuna volontà di conquistare e fare proselitismo, ma, come riaffermato a Scalfari, disponibilità a testimoniare e camminare un pezzo di strada insieme agli altri. Il Cristianesimo prima che una istituzione è un movimento, il movimento di Gesù e degli Apostoli. In questa comprensione, sperimentare la dimensione della dignità umana, dell’etica e dei diritti fondamentali è più importante che semplicemente appartenere ad una Chiesa. Questo è il caso di Eugenio Scalfari. E’ più importante guardare la dimensione della luce della storia, che la dimensione delle ombre, vivere come fratelli e sorelle nella stessa casa comune, la Madre Terra, rispettando le scelte di ciascuno, sotto il grande arcobaleno, simbolo della trascendenza dell’essere umano.

Il lungo inverno della Chiesa è finito. Aspettiamo una primavera solare, piena di fiori e di frutti, nella quale valga la pena di essere umani nella forma cristiana di questa parola.

(Intervista rilasciata per telefono a Vera Schiavazzi, di Romano Canavese, Torino, il 15 settembre scorso).

Boff, Ratzinger e Francesco …

 

 

 

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Boff: “Con Francesco dialogo continuo anche se a distanza”

Il teologo della liberazione loda Ratzinger.
“Andandosene ha pensato al bene della Chiesa”

«Bisogna lodare Ratzinger».

Scusi? Ma lei è l’ex francescano Leonardo Boff, avversario storico del cardinale Joseph Ratzinger per decenni. Lei non è quello che, quando fu eletto Papa, disse che con Benedetto XVI arrivava «l’inverno della Chiesa»? Il sorriso si apre in mezzo alla folta barba candida di Boff e ci vuol poco a capire che nella Chiesa di Francesco stanno evaporando anche i conflitti teologici che hanno impegnato il Vaticano fin dagli anni Settanta.

Certo, lo scrittore brasiliano rende omaggio al Papa emerito soprattutto perché si è fatto da parte, ma per Ratzinger ha solo parole di stima. E non è la sola sorpresa che l’esponente di spicco della teologia della liberazione svela, sprofondato in una poltrona d’albergo, dopo aver aperto in anteprima la rassegna «Torino Spiritualità». Difficile fino a poco tempo fa immaginare che un autore con un profilo come quello di Leonardo Boff potesse essere considerato consulente da un pontefice. Eppure è proprio quello che Papa Francesco sta facendo con lui, racconta Boff: si scrivono e dialogano attraverso un’amica comune in Argentina.

Lei dice che Benedetto XVI merita una lode. Perché?
«Quando ha letto il rapporto sugli scandali nella Chiesa, ha capito di non avere più la forza fisica, psicologica e spirituale per affrontare un problema di questa gravità. E in forma umile e sincera, con coraggio a mio avviso, ha rinunciato. Ha voluto pensare più alla Chiesa che a se stesso».

Avete avuto un rapporto burrascoso nel corso degli anni, l’allora cardinale Ratzinger nel 1984 l’ha anche sottoposta a un «processo».
«Eravamo amici, è una persona estremamente elegante, fine, non alza mai la voce. Ha sempre mostrato per me grande rispetto. Il problema è che quando è diventato prefetto, si è rivelato troppo “tedesco”. Io predicavo una Chiesa che promuove la libertà nella società. Ratzinger lo ha capito come un discorso protestante. Mi diceva: “Così parla Lutero”. Io replicavo: “Bene, ascoltiamolo: sono 500 anni che la Chiesa non ascolta abbastanza Lutero”».

Lei ora ripone molte speranze in Papa Francesco. Perché?
«Perché prima di fare la riforma della curia, ha fatto quella del papato. Di solito uno diventa Papa e assume tutti i riti del potere. Lui ha fatto alla rovescia, è rimasto quello che era e ha abituato tutti a cambiare secondo la sua tradizione personale».

Il nome che ha scelto cosa le suggerisce?
«Più che un nome, Francesco è un progetto di Chiesa e di mondo. Una Chiesa nella povertà e umiltà umane. L’attenzione che ha il Papa per i poveri viene da questa intuizione, propria dell’America Latina. Bisogna ricordare che viene da un altro tipo di Chiesa e di teologia, è la tradizione della teologia del popolo argentina. Lui si definisce un Papa peronista e giustizialista».

Lei chiede l’apertura di un Concilio Vaticano III per riformare la Chiesa. Questa Papa riuscirà a portare il cambiamento che lei auspica?
«È molto intelligente, non vuole presiedere la Chiesa in modo monarchico, ma collegialmente. Per questo ha scelto otto cardinali di tutti i continenti che con lui faranno la riforma della curia e guideranno la Chiesa in modo collegiale. Penso sia arrivato il momento, come gli ho scritto perché mi ha chiesto un’opinione».

Dialoga con il Papa? In che modo?
«Abbiamo un’amica comune in Argentina, lui la sente ogni domenica, le parla spesso. Io mando a lei delle cose, lui me ne chiede altre».

Cosa ha suggerito al Papa fino ad ora?
«Per esempio che tutte le chiese, specie quella cattolica, sono occidentali e saranno sempre più accidentali. Andiamo verso una nuova fase dell’umanità che sarà globalizzata. La Chiesa non ha trovato un posto in questo processo, ma è ora di definirlo con le altre chiese. Le differenze dottrinali sono piccole e anche le chiese protestanti accettano un Papa che non domina, ma che fa da riferimento simbolico del cristianesimo, come fenomeno storico e memoria di Gesù».

Se guarda indietro al suo rapporto con la Chiesa, gli scontri, l’addio all’ordine francescano, ha rimpianti?
«Ho lasciato la funzione istituzionale di prete, ma non di teologo. Ho cambiato trincea, ma non battaglia. E in Brasile non ho mai avuto conflitti con la Chiesa. Continuo a fare il teologo nelle comunità di base. E io celebro, faccio battesimi, matrimoni, tutti i sacramenti quando non c’è un sacerdote. I vescovi lo sanno e mi dicono: vai avanti. Mi sento bene, in questa veste di laico. Dopotutto, Gesù non era un sacerdote».

Boff e papa Francesco

 

 

«Con Papa Francesco la chiesa compirà una vera rivoluzione»
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Intervista a Leonardo Boff, l’uomo che fu tra i primi teologi della liberazione e che oggi è a Bolzano

 

Leonardo Boff è considerato uno degli iniziatori della teologia della liberazione, che alla fine degli anni ’60 in America Latina mise in primo piano i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano. Boff sarà a Bolzano oggi per un incontro organizzato dal Centro per la Pace del Comune di Bolzano che sarà ospitato dalla Libera Università (ore 18, aula D1.02, primo piano, ingresso libero e gratuito). Boff parlerà sul tema “Papa Francesco, il Concilio e la chiesa dei poveri” e dedicherà grande attenzione anche alle tematiche ecologiche e dell’equilibrio globale, senza trascurare il tema attualissimo della possibile nuova guerra in Siria. Nel corso dell’incontro verrà anche presentata la Fondazione Val di Seren del Grappa, che si propone di promuovere lo sviluppo e la rinascita della zona da cui è originaria la famiglia di Leonardo Boff, nel Bellunese. Abbiamo raggiunto Boff al telefono ed abbiamo anticipato con lui alcuni dei temi che saranno oggetto di discussione nell’incontro odierno.

Si è appena conclusa la veglia giornata mondiale di digiuno e preghiera per la pace promossa da papa Francesco. Lei cosa ne pensa della situazione in Siria e dell’iniziativa del papa?

Papa Francesco è nella linea del papa Giovanni XXIII. È molto interessato alle questioni della pace perché sa che tutte le guerre sono perverse. Non c’è guerra giusta né guerra santa che tenga: sono tutte da evitare perché producono morte. E in questo senso io penso che l’impegno del papa abbia avuto un respiro mondiale. Peccato che proprio negli Stati Uniti la reazione non sia stata così forte. Ad ogni modo penso che la voce del papa, etica e spirituale, si sia fatta ascoltare ed abbia dato da pensare a coloro che vogliono sempre usare mezzi violenti, economici o militari, per risolvere i problemi umani.

Nel marzo 2013 nel giro di pochi giorni la chiesa cattolica ha dovuto affrontare due rivoluzioni: il pensionamento di un vecchio papa e l’arrivo di un nuovo papa che fin dai primi minuti ha lanciato segnali di grandissimo cambiamento. Cosa vuol dire, per la chiesa cattolica, avere un papa latinoamericano che si chiama Francesco?

Il nome Francesco è molto più di un nome. È un progetto di chiesa e un progetto di mondo. Significa una chiesa più vicina al popolo, con un papa pastore piuttosto che un papa dottore. Una chiesa aperta al dialogo con tutti e aperta al servizio, senza riserve e senza critiche nei confronti del mondo moderno e postmoderno. Dove ci sono persone il papa è aperto al dialogo con loro: lo ha mostrato adesso quando è stato in Brasile, ma in realtà in tutta la sua vita. Poi prima di occuparsi della riforma della curia si è impegnato in quella del papato. Abbiamo infatti ancora un papato monarchico, in cui i cardinali sono principi. Lui allora ha deciso di presentarsi come vescovo di Roma, abbandonando tutti i simboli del potere per essere un fratello fra altri fratelli e presiedere la chiesa non con il diritto canonico, ma nella carità, nella convivenza e nel dialogo. Per me è una vera rivoluzione, una prima. vera dopo un rigoroso inverno. Questo papa è una speranza per la chiesa e per tanti uomini nel mondo che cercano cammini di pace e di incontro per affrontare i grandi problemi che sono vere minacce per il sistema vita e terra.

Lei ha conosciuto bene Josef Ratzinger. Cosa ne pensa invece del suo pontificato?

Ha proseguito sulla via di Giovanni Paolo II, ma senza averne il carisma. Ratzinger si è presentato piuttosto come un professore, uno della dottrina, e meno come un pastore. Ha rinforzato la chiesa all’interno ma che aveva in qualche modo paura di avvicinarsi al mondo moderno perché lo vedeva come troppo relativista e secolarizzato. La chiesa non ha la facoltà di scegliere il mondo in cui opera; deve invece accettare la realtà per quello che è e trovarvi il suo posto, un posto di evangelizzazione e dialogo. Papa Benedetto comunque ha fatto un gesto di grande umiltà riconoscendo i suo limiti fisici, psicologici e anche spirituali nell’affrontare i problemi della chiesa.

Il Brasile è diventata una delle economie trainanti a livello globale. Ma a che punto si trova la sua contemporanea lotta alle diseguaglianze sociali?

Una delle cose più importanti realizzata da Lula è stata proprio la riduzione delle disuguaglianze. Nei suoi 8 anni da presidente sono diminuite del 17%: è riuscito a reintegrare nella società 40 milioni di poveri che ora possono vivere con un minimo di dignità ed indipendenza. Sulla stessa linea si muove anche la nuova presidenta Dilma Yussef, che ha avviato progetto intitolato “Brasil carinhoso” che in due anni è riuscito a recuperare altri 2 milioni di miserabili.

Questa di diminuire le diseguaglianze è una scommessa di tutto lo stato, non solo del governo, e comporta anche la fondamentale conseguenza di rafforzare al democrazia rappresentativa rendendola più partecipata, includendo sempre più cittadini nelle decisioni che si prendono nel paese.

Cinque anni fa lei in occasione della sua precedente visita a Bolzano parlò sul tema “che ne sarà di nostra sorella madre terra?”. Lei non ha smesso di occuparsi di ecologia e di salvaguardia del pianeta. In questi 5 anni abbiamo fatto dei passi in avanti?

Purtroppo no: la situazione globale della terra è invece molto peggiorata. E il peggioramento ha riguardato 13 parametri su 15 di quelli indicati dall’Onu.

Non abbiamo fatto praticamente niente per diminuire il riscaldamento globale e le sue conseguenze. Le minacce che pesano sulla terra sono più gravi di prima e se non viene attuata una politica globale per riequilibrare il clima della terra andremo inevitabilmente incontro a una grave crisi ecologica.

Lei è in Italia anche per visitare la terra d’origine dei suoi antenati. Qual è il suo rapporto con l’Italia?

È un rapporto familiare: sentiamo l’Italia come una nostra seconda patria. In casa nostra abbiamo parlato in dialetto veneto e quindi andare a Seren del Grappa per noi è un po’ un tornare alle radici. Lì tutto è impregnato dello spirito di coloro che sono emigrati, troviamo delle tracce, e noi che andiamo in quei posti è come se entrassimo di nuovo in contatto con coloro che hanno avviato l’avventura americana della nostra famiglia. .

non saremo mai come i poveri …

 

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Non saremo mai come i poveri, né parteciperemo in misura sufficiente alla loro passione. Al massimo possiamo essere loro alleati nella retroguardia, impegnati più con la loro causa che con la loro vita crocifissa. E non abbiamo ancora finito di imparare: dobbiamo ancora crescere molto prima di arrivare alla loro statura e meritare la loro comunione. Siamo tormentati dalla cattiva coscienza di non essere stati radicali come loro sono obbligati ad essere, né coerenti quanto potremmo essere

L.Boff

 

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