Cacciari contro le omelie dei preti

“i cristiani sono i primi ad aver dimenticato il natale”

intervista HuffPost a Massimo Cacciari:

“le omelie di molti preti, spesso, sono delle lezioni di anti religione”

La parola del Vangelo l’ha ascoltata fuori dal tempio: “Le Chiese sono diventate delle grandi scuole di ateismo. Nella gran parte di esse, la forza paradossale del verbo di Cristo viene trasformata in un discorso catechistico e ripetitivo, un piccolo feticcio consolatorio e rassicurante, un idoletto. È l’opposto di ciò che insegnava Gesù domandando ai suoi discepoli: ‘Chi credete che io sia?'”. Massimo Cacciari era ancora uno studente al secondo anno di liceo quando, tra lo Zarathustra di Nietzsche e le prime letture di Hegel, aprì le pagine del Nuovo Testamento: “Fu entusiasmante sentire la straordinarietà di quel testo, la bellezza di una storia che induce ad andare alla ricerca, senza certezze, rischiando. Al novanta per cento, i preti sono incapaci di rendere la potenza di quel racconto. Le loro omelie, spesso, sono delle lezioni di anti religione”.   

Negli anni sessanta e settanta, mentre erano di moda i capelloni, Marx, i pantaloni a zampa d’elefante, Marcuse, l’eros e la civiltà, Kerouac, la Cina e Janis Joplin, Cacciari leggeva i testi della teologia cristiana: “Nelle riviste della sinistra non organiche al partito comunista – “Quaderni Rossi”, “Contropiano” – discutevamo della Santa Romana Chiesa insieme a Giorgio Agamben, Mario Tronti, Giacomo Marramao. Avevamo idee diverse, ma condividevamo le stesse letture: tutte abbastanza eretiche”. Il Natale degli alberi in pivvuccì, degli acquisti online e i centri commerciali aperti tutto il giorno; il Natale della neve luccicante incollata sulle vetrine, delle barbe bianche, delle renne e delle slitte, non lo scandalizza: “Basta sapere che la nascita di Cristo non ha niente a che vedere con quello che vediamo intorno a noi. Il Natale è diventato un festa per bambini e adulti un po’ scemi. Non c’è da levare alti lai contro il consumismo. C’è solo da riflettere, meditando con sobrietà e disincanto”. Nel suo libro, “Generare Dio” (Mulino), mostra – da laico – che nel mistero dell’incarnazione di Dio c’è un personaggio che abbiamo avuto sempre sotto gli occhi, eppure non siamo stati ancora in grado di vedere nella sua interezza: Maria.

Perché, professore?

Maria è stata pressoché ignorata anche dai filosofi che hanno interpretato l’Europa e la Cristianità, come Hegel e Schelling. Il discorso ha privilegiato il rapporto del padre con il figlio. Maria è stata ridotta a una figura di banale umiltà, un grembo remissivo e ubbidiente che si è fatto fecondare dallo spirito santo senza alcun turbamento.

 

Invece?

Quando l’Arcangelo Gabriele le annuncia che concepirà e partorirà un figlio e che egli sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, Maria ha paura. Si ritrae, dubita, è assalita dall’angoscia, medita. Il suo sì non è affatto scontato. Nel momento in cui lo pronuncia, è un sì libero e potente, fondato sull’ascolto della parola. Perché Maria giunge a volere la volontà divina.

 

Nessuno se n’era accorto prima?

Nel pensiero, solo pochi autori – penso a Baltasar – hanno riflettuto sulla figura di Maria. È nella pittura – nella grande pittura occidentale – che Maria si innalza al ruolo di protagonista assoluta. Siamo di fronte a uno di quei casi in cui l’espressione figurativa è andata molto più in profondità del linguaggio.

Cosa riesce a mostrare?

Che se si toglie alla nascita di Cristo la scelta di questa donna che accoglie nel suo ventre il figlio di Dio e il suo Logos, l’incarnazione diventa una commedia. Maria è libera. Anzi, di più: il suo libero donarsi all’ascolto è in realtà un’iper libertà.

Perché iper?

Quando – nel giardino dell’Eden – Adamo mangia il frutto dell’albero della conoscenza obbedisce al proprio desiderio. La sua libertà è la libertà di soddisfare i propri impulsi. Maria, invece, riflette, s’interroga, soffre. Poi, fa la volontà dell’altro. La sua libertà è quella di far dono di sé. È come suo figlio: fa la volontà del padre. E qual è la libertà maggiore: quella che ti incatena a te stesso; oppure quella che ti libera dall’amor proprio?

Ma la libertà può essere slegata da ciò che si desidera?

Ma perché non si dovrebbe desiderare di donare se stessi agli altri? Perché non può essere questo l’oggetto del desiderio, anziché quello di soddisfare le proprie pulsioni?

Possiamo riuscirci?

Gesù, Maria, Francesco ci hanno dato degli esempi della libertà intesa come dono. È oltre umano seguirli? Può darsi. E può anche darsi che proprio qui s’incontrino la radicalità del messaggio cristiano e il super uomo di cui parlava l’anti cristiano Nietzsche: nell’impossibile.

Ma se è impossibile, perché provarci?

Perché l’impossibile non è una fantasia, un gioco inutile e vano. L’impossibile è l’estrema misura del possibile. E, se non orienti la tua vita in quella direzione, rimarrai prigioniero del tuo tempo. È questo il messaggio di Gesù: per essere libero, abbi come misura la mia impossibilità.

Se non possiamo essere come lui, perché Cristo si è fatto uomo?

Perché è necessario avere come misura qualcosa che ci oltrepassa per riuscire a spingerci altrove. Cristo non predicava nei templi: predicava fuori, nelle strade. I suoi discepoli dicevano: “È fuori”. Nel senso: “È fuori di testa, è pazzo”. Eppure, Gesù ha segnato un prima e un dopo nella storia dell’uomo, ha creato il mondo culturale e antropologico in cui viviamo. C’è qualcosa di più realistico di questo? Senza quell’impossibilità niente ci spingerebbe a uscire da noi, a ri-orientare diversamente le nostre vite.

Perché dovremmo farlo?

Per liberare il nostro tempo dalle sue miserie. Più la nostra epoca ci rinserra dentro di essa, più servono grandi idee, pensieri limite, parole ultime. Sono le uniche cose che ci possono sradicare dal tempo in cui ci viviamo.

Come lo definirebbe?

Osceno, nel senso letterale del termine: un tempo in cui tutto deve essere posto sulla scena: i nostri pensieri, le nostre fotografie, i nostro segreti. Niente deve stare in una zona scura. Invece, è proprio dal buio che proviene la luce che illumina e rivela. Pensi alla pittura d’Europa, la terra del tramonto: cosa raffigurerebbe senza il gioco dell’ombra?

È tutto davvero così esposto?

Al contrario. Quella della trasparenza è solo un’ideologia. Mai come oggi le potenze che governano il mondo sono state così nascoste. Al di là dell’apparenza, la nostra è l’epoca dell’occulto, dei poteri anonimi, di ciò che non si vede. Mentre, nel caso di Maria, la luce divina si copre d’ombra per manifestarsi nella realtà, nel nostro tempo l’oscuro si nasconde dietro la luminosità. Lucifero è negli inferi, però finge di essere portatore di chiarore. La nostra epoca è attraversata dallo spirito dell’anti-Cristo. Ci sono stati momenti in cui esso si è manifestato nella sua forma pura. Oggi, invece, circola mascherato.

Anche la politica avrebbe qualcosa da imparare da Maria?

Maria è una figura della libertà, non è il santino che raccontano i preti. La sua humilitas è meditazione e ascolto. Se leggessero ancora, i politici potrebbero imparare anche da lei. Se non altro, per essere più consapevoli della storia in cui si collocano. Il dramma, però, è che c’è stata una completa divaricazione tra il sapere e il potere.

Per quel che riguarda le figure religiose, i cristiani non potrebbero aiutarli?

I cristiani sono i primi ad aver dimenticato il Natale, smettendo di predicare la paradossalità del verbo.

Anche il Papa?

Il discorso è più complesso. Francesco si inscrive nella tradizione ignaziana, dove l’etica della fede si coniuga alla volontà di potenza e l’assoluta dirittura morale ed etica si combina a una grande capacità di catturare il mondo nelle proprie reti.

Perché neanche le femministe hanno riflettuto su Maria?

Perché anche loro – benché protagoniste dell’ultima vera rivoluzione degli ultimi decenni – sono rimaste vittime della lettura maschilista dell’incarnazione. Hanno guardato Maria come un figura servile, totalmente oscurata dal rapporto tra padre e figlio, non riuscendo a scorgere quello che c’è oltre.

il commento al ‘cantico delle creature’ di s. Francesco del filosofo M. Cacciari

 

il Cantico delle creature

di Massimo Cacciari

Il filosofo Massimo Cacciari spiega il Cantico delle creature di San Francesco ponendo particolare attenzione alla parola cum. Questo perché, secondo Cacciari, sono proprio le creature il mezzo tramite cui lodare il Signore, soprattutto tenendo conto del pensiero e dell’opera di San Francesco. L’intervista è stata rilasciata in occasione del Festival Francescano, svoltosi nel settembre del 2015.

M. Cacciari si scaglia contro l’utero in affitto

Twitter

utero in affitto

Cacciari:

“sembra fantascienza, ma il peggio deve ancora venire”

continua a tenere banco la polemica relativa al cosiddetto “caso Vendola”. Dopo il botta e risposta di ieri tra uno dei leader della sinistra italiana e il leghista Salvini sono arrivate anche le prese di posizione di Laura Boldrini, Beppe Grillo ed Emma Bonino.IntelligoNews ne ha parlato con il professor Massimo Cacciari… 
Beppe Grillo esprime sul Corriere della Sera le sue perplessità circa l’utero in affitto. Allora perché, canguro a parte, erano pronti a votare il ddl Cirinnà? C’è anche chi fa notare come il Movimento 5 Stelle sia arrivato a parlare con il Corriere, sono dunque lontani i tempi dell’allergia verso la stampa…
“Su quest’ultimo aspetto è evidente il cambio di immagine del M5S, ormai anche loro devono porsi su un piano di azione politica e non possono più fare eccezione. Dunque è un aspetto che conta poco. Non credo poi che vi sia una contraddizione perché nella legge Cirinnà non era implicito l’utero in affitto. Con la tematica delle adozioni o della legge sui matrimoni per coppie omosessuali non c’entra niente”. 
L’intervento invece di Laura Boldrini l’ha sorpresa?
“No, tantissime donne comprese le più accanite femministe hanno secondo me giustamente messo in evidenza le conseguenze direi proprio atroci che può avere una libertà di fare in una materia simile. A meno di non essere degli assoluti ipocriti è evidente che al 99% una legge che permettesse simili pratiche sarebbe una totale mercificazione del corpo della donna. Una cosa che avviene per motivi di guadagno da parte di poverette semi disperate”. 
 
Utero in affitto, Cacciari: 'Sembra fantascienza, ma il peggio deve ancora venire'

Emma Bonino ha preso una posizione opposta. La stupisce?

“Sì, molto. Non si possono ignorare le conseguenze di questa pratica. Io comunque ho una posizione molto realistica: la crisi dell’istituzione matrimoniale è talmente grave che si arriverà all’utero in affitto, ma anche peggio. Arriveremo ad interventi durante la gravidanza per magari modificare determinati tratti del bambino, siamo solo all’inizio di cose che ci sembrano fantascientifiche, ma come sempre avviene la fantascienza finisce poi per realizzarsi”. 
Un Cacciari dunque disincantato?
“Sì, ma questo non mi impedisce di capire che pratiche di questo genere producono una mercificazione pazzesca e orrenda del corpo umano”. 
Emma Bonino ha paragonato la donazione dell’utero a quella di un rene. Come commenta?
“Ma che vada a donare l’utero! Per carità di Dio! Non prendiamoci in giro. Con rispetto parlando, sia chiaro è una battuta. Avverrà pure che un caso su diecimila sia una donna che dona il proprio utero come i reni, ma che la madre doni l’utero al figlio perché non riesce ad avere figli con la moglie? Se lo immagina? Ma cosa stiamo dicendo. Ci sono le adozioni, adottino dunque! Si semplifichino le procedure di adozione. Stabiliamo che l’unione tra una coppia omosessuale è come un matrimonio? Bene, benissimo, perfetto. Allora adottino i figli, ci sono milioni di bambini che muoiono di fame”. 
 
In un’intervista a Repubblica la scorsa settimana ha definito un “dibattito tra ubriachi” quello sul ddl Cirinnà. Cosa dice invece dell’utero in affitto e del caso Vendola?  
“Siamo sempre lì, il mio discorso non voleva e non vuole essere offensivo ma per ubriachi intendo persone che non riescono a collegare un’idea con le sue conseguenze. Fanno senza comprendere in quali nessi logici si pongono i propri pensieri e le proprie azioni, quello mi scandalizzava del dibattito sulla legge Cirinnà. Tutto impostato in astratto sui diritti senza collocarlo in un contesto storico, senza discutere della crisi del matrimonio. Anche nel caso dell’utero in affitto il dibattito continua ad essere questo, cioè non se ne calcola il contesto. Arrivo fino a questo punto, posso farlo? Bene, lo faccio. Questo è il discorso tremendo, letteralmente tremendo. Uno spettacolo sconvolgente, una mutazione antropologica e culturale”. 
 
Cosa intende quando parla di crisi del matrimonio?
“Da quando mondo è mondo, nella storia non è mai esistito che il matrimonio è quando due stanno insieme e basta. Questo sradicamento dell’istituto matrimoniale da ogni ordinamento culturale ed etico avrà un peso o no? In questo senso ubriachi: si parla senza cognizione di causa”. 

“Ratzinger, il passato; Bergoglio, il nuovo”

Cacciari:

“Ratzinger tre anni dopo? Il passato, Francesco è un’altra cosa”

tre anni fa, esattamente l’11 febbraio 2013, Benedetto XVI a sorpresa annunciava l’intenzione di lasciare il pontificato fissando al successivo 28 febbraio la data della sua uscita di scena. Un evento epocale che ha portato poi al conclave del mese successivo, con la fumata bianca arrivata il 13 marzo

IntelligoNews ne ha parlato con il filosofo Massimo Cacciari
Cacciari: 'Ratzinger tre anni dopo? Il passato, Francesco è un'altra cosa'

Il filosofo Cacciari come ricorda tre anni dopo il teologo Ratzinger e i suoi otto anni di pontificato?

“Una figura importante della teologia del Novecento ed è complicato ricordarne i tanti contributi, ma credo che la sua figura sia più memorabile come teologo che come pontefice se non per il suo gesto clamoroso e assolutamente epocale delle dimissioni. Non credo che verrà ricordato per altro relativo a quegli otto anni”.
Benedetto XVI affermò che la libertà religiosa era minata da due tendenze opposte: laicismo e fondamentalismo. Come legge oggi quelle parole?
“La scoperta dell’acqua calda, non è certo lì che troviamo qualche contributo innovativo da un punto di visto teorico e teologico. La fede religiosa è sempre minacciata dal cadere in un compromesso nel mondo e riportare contraddizione o spada e dall’altra parte dal settarismo e dal fondamentalismo che generano violenza e guerra. Qualunque fede religiosa, che non sia forse qualche religiosità di tipo orientale che però è religione per modo di dire, ha queste caratteristiche. Nessuna è esente da questo pericolo”. 
 
Dire però che lo ricorderemo solo per le sue dimissioni è altra cosa. 
“Non ha certo riformato la Chiesa e lo dimostra l’azione di Francesco! Questa riforma non l’aveva fatta Ratzinger, per me questo è chiaro. Lo considero un importante teologo che passerà alla storia della Chiesa per il suo clamoroso gesto, che però significa anche una sua impotenza a riformare la Chiesa in modo davvero efficace”. 
 
Suscitò molto rumore il suo intervento sulla difesa del matrimonio, quando disse che i tentativi di rendere il matrimonio fra uomo e donna giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione sono una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace. Come suona questa frase nel dibattito odierno in Italia?
“La sua impostazione è molto tradizionale dal punto di vista etico come lo era quella di Giovanni Paolo II. Un’impostazione completamente diversa da quella del gesuita Bergoglio, lo si sa. Nella Chiesa non ci sono mai state posizioni omogenee in merito a qualsiasi tipo di problema ed è sempre difficile discernere la diversità di visione delle cose da una diversità di tipo teologico e dogmatico. La differenza è labile e opinabile. Certamente Ratzinger rappresenta un momento della Chiesa e della teologia completamente diverso da quello di Bergoglio, non c’è dubbio alcuno”

dialogo sulla democrazia tra Scalfari e Cacciari

 

Scalfari
Scalfari e Cacciari, dialogo sulla democrazia
“Non è solo una questione di voto”

Il filosofo e il fondatore di Repubblica hanno discusso dell’Europa e della qualita della sua democrazia. L’ex sindaco di Venezia: “Dove il potere politico è debole cresce la forza della burocrazia”. Il giornalista: “Il Comune è il punto dove si realizza la partecipazione”
di GLORIA BAGNARIOL

 

 “Europa e euro: dentro o fuori?” Questo il tema scelto per la quinta edizione di Repubblica delle Idee. che fra l’inaugurazione alla Fenice di Venezia e le giornate mestrine ha visto una grande partecipazione di pubblico in teatro ed anche sui social network, su Twitter l’hashtag #rep2013ve è statto fra i trend topic del week end. La risposta che si è venuta a creare attraverso gli incontri e le tavole rotonde dei primi due giorni che hanno ospitato imprenditori e politici locali, nazionali e europei è stata chiara: dentro. Anche le condizioni sono state condivise: è necessario un salto da un’unione meramente monetaria a una politica. Ma cosa significa? La risposta è stata affidata all’incontro conclusivo della manifestazione: il dialogo tra Eugenio Scalfari e Massimo Cacciari, nel quale si è indagata la qualità democratica di cui questa Europa ha bisogno. Per concludere che “la democrazia non è solo questione di voto”.

“Pericle – spiega Eugenio Scalfari – è ancora raccontato nei libri di storia come il simbolo massimo della democrazia greca, madre di tutte le democrazie. C’era partecipazione nel popolo di Atene? Sicuramente no, e questo può bastare a dire che non c’era democrazia?”. Bisogna quindi mettersi d’accordo sul senso del termine e, come chiarisce Massimo Cacciari: “Articolare il tipo di democrazia del quale abbiamo bisogno per poterne salvare l’idea”. Partire dalla convinzione che la democrazia non si esaurisce nel voto, ma ha bisogno della partecipazione.

La storia degli Stati nazionali ha portato a una declinazione del concetto di democrazia che non può applicarsi tout court al Vecchio Continente che ha avuto un percorso evolutivo differente. Secondo Cacciari, con il quale Scalfari concorda, “L’Europa è policentrica per sua natura e non può essere ridotta a uno. Tutti coloro che ci hanno provato hanno fallito, ha fallito anche Napoleone”. Il presupposto
necessario è quindi realizzare il passaggio da confederazione a federazione: “Sganciarsi dall’idea di uno Stato centrale per poter ragionare seriamente e serenamente in termini federalistici”.

Una federazione che abbia competenze determinate per poter risolvere le sfide di una società globale alle quali gli Stati-nazione non possono trovare da soli le risposte e che garantisca a livello locale il rapporto con il cittadino, necessario a garantire quella sovranità che ora sente di aver perduto. “Il Comune – sottolinea Scalfari – il municipio nelle metropoli, è il punto in cui si realizza al meglio la partecipazione, mano mano che si sale si può avere solo una democrazia indiretta”.

Non bisogna quindi chiedersi se vogliamo l’Europa, ma quale Europa vogliamo e come poterla costruire, come la sua articolazione possa difendere quei valori che riconosciamo come fondanti. Repubblica delle idee ha scelto Venezia per parlarne proprio perché “questa terra – come ha detto il direttore Ezio Mauro – quando parla di Europa parla di se stessa”. La quinta edizione termina quindi tra gli applausi del pubblico del Teatro Toniolo e con l’invito di Ezio Mauro a partecipare alle prossime tappe: “Abbiamo scelto questa notte dove andremo nel 2014, ma devo ancora avvertire il sindaco, quindi non posso dirlo”.

che la chiesa sia con lui

 

 

 

il papa

ce la farà? tutti se lo domandano in modo accorato perché  hanno imparato a volergli bene per la sua semplicità, spiritualità e desiderio vero di ‘far pulizia’ non mettendo sotto il tappeto l’immondizia

ce la farà? ce lo domandiamo perché lui sa bene e lo sappiamo anche noi che ‘nemo profeta in patria’ e alcuni luoghi sono covi di vipere

ce la farà? se lo domanda anche M. Cacciari in questo bell’articolo:

Francesco e Benedetto insieme sono un messaggio potente di concordia. Ma non è detto che l’Istituzione lo segua. Perché come la politica è bloccata dal dualismo amico-nemico
 
Non stupisce che dopo il viaggio a Lampedusa l’universale popolarità di Francesco a bbia toccato i suoi picchi più alti. «Le statistiche le fa Dio», ha detto. Ma c’è una evidente coincidenza tra le parole e i gesti di questo papa e quelli che gli potrebbe suggerire un pianificatore scientifico de l suo successo. Quasi tutto ciò che egli fa e dice è difficilmente contestabile dall’opinione pubblica cattolica e laica, a cominciare da quel «quanto vorrei una Chiesa povera e per i poveri» che è diventata la carta d’identità dell’attuale pontificato.

Un elemento chiave della popolarità di Francesco è la sua personale credibilità. Da arcivescovo di Buenos Aires abitava in due stanze modeste. Si cucinava da sé. Si spostava in autobus e metropolitana. Fuggiva come la peste gli appuntamenti mondani. Non ha mai voluto far carriera, anzi, si è pazientemente fatto da parte quando la sua stessa Compagnia di Gesù, di cui era stato per alcuni anni superiore provinciale in Argentina, lo aveva bruscamente deposto e isolato. Anche per questo, ogni volta che invoca povertà per la Chiesa e picchia duro contro le ambizioni di potere e la bramosia di ricchezza presenti nel campo ecclesiastico, nessuna voce si leva per criticarlo. Chi mai potrebbe giustificare l’oppressione del misero e fare l’apologia delle immeritate carriere? Chi mai potrebbe contestare a Francesco di predicare bene ma razzolare male? Sulla bocca dell’attuale papa, quello della Chiesa povera è un paradigma infallibile. Riscuote un consenso praticamente universale, sia tra gli amici sia tra i nemici più accesi della Chiesa, quelli che la vorrebbero talmente depauperata da sparire del tutto.

Ma poi c’è un altro fattore chiave della popolarità di Francesco. Le sue invettive, ad esempio, contro la «tirannia invisibile» delle centrali finanziarie internazionali non colpiscono un obiettivo specifico e riconoscibile. E quindi nessuno dei veri o presunti “poteri forti” si sente effettivamente toccato e provocato a reagire. Anche quando le sue reprimende prendono di mira malefatte interne alla Chiesa, esse restano quasi sempre sulle generali. Una volta che papa Bergoglio, in una delle sue colloquiali omelie mattutine, affacciò un dubbio esplicito sul futuro dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, la discussa “banca” vaticana, i portavoce fecero a gara per derubricare la cosa. E l’altra volta in cui denunciò che una «lobby gay» in Vaticano «è vero, c’è», la minimizzazione scattò ancora più unanime. Persino l’opinione pubblica laica gli ha perdonato questa asserzione, con un’indulgenza che sicuramente non sarebbe stata concessa al predecessore.

Il parlare di papa Francesco è sicuramente uno dei suoi tratti più originali. E’ semplice, comprensibile, comunicativo. Ha l’apparenza dell’improvvisazione, ma in realtà è accuratamente studiato, tanto nell’invenzione delle formule – la «bolla di sapone» con cui a Lampedusa ha rappresentato l’egoismo dei moderni Erode – quanto nei fondamentali della fede cristiana che egli più ama ripetere e che si condensano in un consolante «tutto è grazia», la grazia di Dio che incessantemente perdona pur continuando tutti a essere peccatori.

Ma oltre alle cose dette ci sono quelle deliberatamente taciute. Non può essere un caso che dopo centoventi giorni di pontificato non siano ancora uscite dalla bocca di Francesco le parole aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale. Papa Bergoglio è riuscito a schivarle persino nella giornata che ha dedicato alla “Evangelium vitae”, la tremenda enciclica pubblicata da Giovanni Paolo II nel 1995 al culmine della sua epica battaglia in difesa della vita «dal concepimento alla morte naturale». Karol Wojtyla e dopo di lui Benedetto XVI si spesero incessantemente in prima persona per contrastare la sfida epocale rappresentata dalla odierna ideologia del nascere e del morire, come pure dalla voluta dissoluzione della dualità originaria tra maschio e femmina. Bergoglio no. Sembra ormai comprovato che abbia deciso di tacere, su questi temi che investono la sfera politica, convinto che tali interventi competano non al papa ma ai vescovi di ciascuna nazione. Agli italiani l’ha detto con parole inequivocabili: «Il dialogo con le istituzioni politiche è cosa vostra». Il rischio di questa divisione dei compiti è alto, per lo stesso Francesco, dato il giudizio poco lusinghiero che egli ha più volte mostrato di avere sulla qualità media dei vescovi del mondo. Ma è un rischio che vuole correre. Questo suo silenzio è un altro dei fattori che spiegano la benevolenza dell’opinione pubblica laica nei suoi riguardi

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