i guasti del liberismo sfrenato

 

aspettate a dire che ha vinto Mangiafuoco

   il punto di vista di Francesco GesualdiGesualdi

D’accordo, per adesso ha la meglio lui, che smista burattini di qua e di là, a suo piacimento. Gioca dettando le regole, ma non è detto che quelle stesse regole, prima o poi, non gli si ritorcano contro. «Reddito di cittadinanza, nuovi indicatori di benessere: tutto utile, tutto opportuno. A patto che ci si decida a cambiare mentalità», avverte Francesco Gesualdi, che l’arte del bastian contrario l’ha imparata più di mezzo secolo fa a Barbiana, alla scuola di don Lorenzo Milani. «Pensate con la vostra testa, ci diceva», è la sintesi proposta da Gesualdi, che quella lezione non l’ha mai dimenticata. Fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano, in provincia di Pisa, torna adesso in libreria con un saggio come al solito battagliero e informatissimo, programmaticamente intitolato Risorsa umana (San Paolo, pagine 206, euro 14,50). Un’occhiata al sottotitolo, “L’economia della pietra scartata”, aiuta a chiarire ulteriormente gli obiettivi di una riflessione che si colloca, non a caso, in piena consonanza con il pontificato di Francesco. «Papa Bergoglio viene dall’America Latina – sottolinea Gesualdi – e conosce bene i guasti prodotti dal liberismo sfrenato. E sa qual è il vero guaio? Che questo modello di economia non si accontenta di essere rimasto il solo presente sulla scena mondiale, ma pretende di essere l’unico possibile. Come se non ci fosse alternativa alla legge del più forte. Mangiafuoco è senza avversari, ma non per questo siamo obbligati a pensare che il suo comportamento sia bello e giusto». Di certo per qualcuno è pericoloso. «No, è pericoloso per tutti. Su questo elemento occorre insistere, anche se in effetti basterebbe guardarsi intorno per accorgersene. Nessuno è al riparo da una logica così spietata. Ognuno di noi può essere scartato, messo fuori circolazione, ridotto in un angolo. Vale per gli operai, vale per i manager. Qui non siamo più al conflitto tra lavoratori e capitale. La minaccia adesso riguarda l’ambiente naturale e, di conseguenza, la sopravvivenza della vita sulla terra». La lotta di classe non è più quella di una volta? «Tutto cambia, persino le periferie si sono spostate. Città contro campagna, Nord contro Sud sono contrapposizioni che ormai valgono fino a un certo punto. La vera contrapposizione, oggi, è tra chi detiene il potere (a livello politico, economico, militare, mediatico) e chi al contrario ne è privo. A complicare ulteriormente il quadro c’è il fatto che il capitalismo stesso è diviso al suo interno. Le multinazionali, per fare l’esempio più evidente, perseguono interessi del tutto estranei e, in definitiva, contrari a quelli delle piccole e medie imprese. E la finanza, nel frattempo, gioca la partita per conto suo. È il tutto contro tutti, come il duello finale nell’arena dei gladiatori». Ma ci sarà pure una via d’uscita. «Riportare l’uomo al centro, tracciando le coordinate di una nuova geografia. Anziché puntare sulla scala globale, ragionare a partire dalla prossimità, dal territorio. Ci sono almeno due motivi per cui una scelta del genere va considerata prioritaria. La questione ambientale, in primo luogo: avvicinare la produzione al consumo significa, tra l’altro, ridurre i problemi legati al trasporto, contrastare il predominio della chimica nel settore agricolo, promuovere una logica di autoproduzione. Il secondo aspetto, strettamente connesso, va nella direzione dello sviluppo sociale. La storia, anche recente, dimostra come i fenomeni di sfruttamento assumano proporzioni terribili nel momento in cui il produttore non è più destinatario del proprio prodotto. Non si tratta di ragionare in termini di autarchia o, peggio, di protezionismo, quanto piuttosto di instaurare collaborazioni efficaci, impostate anche su criteri di contiguità territoriale. Una rete globale di realtà locali è l’unica maniera efficace per regolare i flussi migratori, altrimenti destinati a diventare sempre più
inarrestabili e selvaggi». Centralità della persona significa anche centralità dei bisogni? «Certamente. Ma come atto preliminare bisogna avere il coraggio di riconoscere che i bisogni non sono tutti uguali. Avere necessità dell’acqua non è come avere voglia di una cravatta alla moda. Prima viene l’area della sicurezza, intesa come accesso a una minima inclusione occupazionale. Dopo di che si passa all’area che chiamerei della comunità associata, dove l’iniziativa del singolo va di pari passo con la condivisione delle risorse fondamentali: l’aria, il cibo, l’alloggio, l’istruzione. Solo a questo punto subentrano i desideri legati alla persona, che costituiscono invece il fulcro del liberismo globale. Ma questo è un atteggiamento ideologico, non troppo diverso da quello che, qualche decennio fa, veniva giustamente condannato nei regimi comunisti. Ora l’ideologia ha mutato di segno, ma è più viva che mai. E molto suscettibile, purtroppo, molto restia a lasciarsi mettere in discussione».

“siamo schiavi dl marketing e della pubblicità che ci rendono infelici”

Latouche: "L'economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza"

per Serge Latouche l’economia ha fallito, il capitalismo è guerra e la globalizzazione violenza

il teorico della decrescita felice interviene al Bergamo Festival: “Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio”. E poi critica l’Expo: “E’ la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori. Serve un passo indietro, siamo ossessionati dall’accumulo e dai numeri”
di GIULIANO BALESTRERI
  

Di più: la decrescita felice è una delle strade che portano alla pace. E Latouche ne parlerà il 12 maggio al Bergamo Festival (dall’8 al 24 maggio) dedicato al tema “Fare la pace”, anche attraverso l’economia. L’economista francese, in particolare, si concentrerà sulla critica alle dinamiche del capitalismo forzato che allarga la distanza fra chi riesce a mantenere il potere economico e chi ne viene escluso. Ecco perché, secondo Latouche, la decrescita sarebbe garanzia e compensazione di una qualità della vita umana da poter estendere a tutti. Anche per questo “considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio”.

Abbiamo sempre pensato che la pace passasse per la crescita e che le recessioni non facessero altro che acuire i conflitti. Lei, invece, ribalta l’assioma.
Fa tutto parte del dibattito. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti.

Una guerra?
Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all’abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali.

Un cambio rotta radicale. Sapersi accontentare, essere felici con quello che si ha non è certo nel dna di una società improntata sulla concorrenza. 
E’ evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale. Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita. Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l’obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi. La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dalla stato sociale e diventa distruttiva. Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell’importanza che ha realmente.

I consumatori però possono trarre beneficio dallo concorrenza.
Benefici effimeri: in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi. Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall’agricoltura occidentale. Stiamo assistendo a una guerra. Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali. E per i piccoli non c’è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata. Il Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l’ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori.

Come si fa la pace?
Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall’invenzione dell’economia. Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati. Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità. Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta. Il progetto economico, capitalista è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro. Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società. Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre economica, ci vorranno secoli per tornare indietro.

Oggi preferisce definirsi filosofo, ma lei nasce come economista.
Sì, perché ho perso la fede nell’economia. Ho capito che si tratta di una menzogna, l’ho capito in Laos dove la gente vive felice senza avere una vera economia perché quella serva solo a distruggere l’equilibrio. E’ una religione occidentale che ci rende infelici.

Eppure ai vertici della politica gli economisti sono molti.
E infatti hanno una visione molto corta della realtà. Mario Monti, per esempio, non mi è piaciuto; Enrico Letta, invece, sì: ha una visione più aperta, è pronto alla scambio. Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale. Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neozapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia. Ma ci sono esempi anche in Europa: Syriza in Grecia e Podemos in Spagna si avvicinano alla strada. Insomma vedo molto passi in avanti.

A proposito, Bergamo è vicina a Milano. Potrebbe essere un’occasione per visitare l’Expo.
Non mi interessa. Non è una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come Coca Cola. Mi sarebbe piaciuto se l’avesse fatto il mio amico Carlo Petrini. Si poteva fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma questo no, non mi interessa. E’ il trionfo della globalizzazione, non si parla della produzione. E poi non si parla di  alimentazione: noi, per esempio, mangiamo troppa carne. Troppa e di cattiva qualità. Ci facciamo male alla salute. Dovremmo riscoprire la dieta meditterranea. Però, nonostante tutto, sul fronte dell’alimentazione vedo progressi. Basti pensare al successo del movimento Slow Food.

M. Novak durissimo contro papa Francesco

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su ‘il sussidiario.net’ M. Borghesi pubblica queste interessanti note sulle reazioni estremamente negative che il conservatorismo americano, soprattutto il liberista M. Novak, ha avuto nei confronti di papa Francesco per le sue dichiarazioni contro il capitalismo che impoverisce e uccide:

lo  schiaffo di Francesco ai catto-capitalisti

Papa Francesco Si tratta di rilievi al sistema
capitalista che, secondo Novak, non possono essere accolti. «Da Max Weber in
poi, il pensiero sociale cattolico è stato accusato di essere la causa della
povertà in molte nazioni cattoliche. E proprio su questo versante papa Francesco
inavvertitamente rafforza le tesi di Weber».
Il risentimento di Novak è comprensibile. Assunto alla fama come il Weber
cattolico, colui che al posto de L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo di Weber poneva l’etica “cattolica” come vero fondamento del
capitalismo “democratico”, si ritrova ora un Pontificato che diffida di quel
sistema che egli, da tempo, ha contribuito a legittimare e a sollevare da ogni
possibile accusa. Un punto, tra molti della Evangelii gaudium, è inaccettabile
per Novak: «la sua superficiale allusione alle teorie della “ricaduta
favorevole”». È la teoria del trickle-down che è al centro del modello
liberista. Come scrive il Papa nella sua Lettera: «In questo contesto, alcuni
ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che
ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per
sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non
è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella
bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati
del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad
aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per
potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una
globalizzazione dell’indifferenza» (Evangelii gaudium, 54). Una critica che non
è piaciuta a Novak. Soprattutto l’idea che il modello capitalista non sia
confermato dai fatti come fonte generalizzata di benessere. La risposta,
pungente, data la nazionalità del Papa, risiede nel fatto che in «Argentina e in
altri sistemi statici, privi di ogni meccanismo di mobilità sociale, questo
commento sarebbe comprensibile. Laddove invece, come in America, intere
generazioni dimostrano l’efficacia della mobilità sociale, l’affermazione del
Papa non corrisponde affatto al vero. La mobilità sociale promossa da alcuni
sistemi capitalistici rappresenta la realtà vissuta e sperimentata da una vasta
percentuale della popolazione americana e non già una “fiducia grossolana ed
ingenua”»..
La critica di Novak, cioè del più illustre catto-capitalista negli Usa,
dimostra, nel suo nervosismo, come la Evangelii gaudium abbia colpito nel segno.
Al punto che lo stesso Pontefice, nella intervista ad Andrea Tornielli per La
Stampa (Mai avere paura della tenerezza, 15 dicembre 2013), ha tenuto a
puntualizzare il punto controverso sollevato da Novak: «Nell’esortazione non c’è
nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da
un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto
accade. L’unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta
favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero
mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale
nel mondo.

(ilsussidiario.net)

le nuove ideologie denunciate da papa Francesco

 

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papa Francesco è un papa decisamente non visto bene dai settori più conservatori del mondo cattolico e politico nostrani, ma soprattutto americani: lo considerano addirittura ‘marxista’ o ‘neosocialista’ i ‘neo-con’ americani punti di riferimento per i nostri ‘atei devoti’

riflette su questa problematica S. Le Bars su ‘le Monde’:

Il papa denuncia l’abbandono di una “sana economia”

di Stéphanie Le Bars
in “Le Monde” del 12 dicembre 2013)

Il papa sarà nuovamente trattato da “marxista e da neo-socialista” dai neo-con americani? Dopo il
suo testo programmatico del 26 novembre, che gli è valso quelle accuse, e nel quale Francesco
denunciava “la mano invisibile del mercato” e “la cultura dello scarto”, il papa rinnova il suo
attacco ai misfatti della crisi finanziaria nel suo primo messaggio per la pace, pubblicato giovedì 12
dicembre e che sarà letto in tutte le chiese il 1° gennaio.
per nuovi “stili di vita”
Intitolato La fraternità, fondamento e via per la pace, questo testo denuncia “Le nuove ideologie,
caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, che
indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al
disprezzo” “Il succedersi delle crisi economiche deve portare agli opportuni ripensamenti dei
modelli di sviluppo economico e a un cambiamento negli stili di vita”, esorta quindi, basandosi
molto sui testi dei suoi predecessori e sulla dottrina sociale della Chiesa, senza rottura nei contenuti.
Secondo il papa, “le gravi crisi finanziarie ed economiche contemporanee – che trovano la loro
origine nel progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, nella ricerca avida di
beni materiali”, spingono molte persone “a ricercare la soddisfazione, la felicità e la sicurezza nel
consumo e nel guadagno oltre ogni logica di una sana economia”. Attaccando i redditi
estremamente alti, insiste quindi sulla necessità di attuare “politiche che servano ad attenuare una
eccessiva sperequazione del reddito”.
I beni privati come beni comuni
A sostegno della sua dimostrazione, che rischia di attirargli nuove critiche da parte di certi ambienti
economici, Francesco presenta un rapido richiamo della dottrina sociale della Chiesa. “Non
dobbiamo dimenticare l’insegnamento della Chiesa sulla cosiddetta ipoteca sociale, in base alla
quale se è lecito, come dice san Tommaso d’Aquino, anzi necessario «che l’uomo abbia la
proprietà dei beni», quanto all’uso, li «possiede non solo come propri, ma anche come comuni, nel
senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri».
Ma se, dalla sua elezione in marzo, il papa si fa portavoce dei poveri, denunciando le
disuguaglianze economiche e sociali, questa posizione non fa di lui un “comunista”, come già ha
spiegato. Nella sua esortazione apostolica di fine novembre, Evangelii Gaudium, il papa
confermava certo la sua “opzione preferenziale per i poveri”, ma si distingueva ancora una volta
dai teologi della liberazione, giudicati troppo politici e “marxisteggianti” dalla Chiesa. “I poveri
sono i destinatari privilegiati del Vangelo”, insisteva. Ma questa opzione è “teologica prima di
essere culturale, politica o filosofica”.
Nel suo messaggio per la pace, papa Francesco, sulla scia dei suoi predecessori, fornisce anche un
lungo catalogo dei mali del mondo, che solo “la fraternità” può risolvere. Si preoccupa della
“grave lesione dei diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla libertà
di religione”, del “tragico fenomeno del traffico degli esseri umani”, della “globalizzazione
dell’indifferenza”, del “dramma lacerante della droga, sulla quale si lucra in spregio a leggi
morali e civili”, della “devastazione delle risorse naturali e dell’inquinamento”, della “tragedia
dello sfruttamento del lavoro”, dei “traffici illeciti di denaro come della speculazione finanziaria”,
della “prostituzione che ogni giorno miete vittime innocenti”, dell’ “abominio del traffico di esseri
umani, dei reati e degli abusi contro i minori, della schiavitù, della “tragedia spesso inascoltata dei
migranti sui quali si specula indegnamente nell’illegalità”, delle “condizioni inumane di tante
carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano”, della “persistente vergogna
della fame nel mondo”.
Al di là della dottrina sociale della Chiesa, il papa si basa anche sulla teologia per difendere l’idea
che la “fraternità”, pegno di “pace e di giustizia” si impara “in seno alla famiglia”, sottolineando tra l’altro “i ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e
della madre”. Infine, in un contesto contrassegnato da diversi conflitti che coinvolgono gruppi
religiosi in varie parti del mondo, in particolare nella Repubblica Centrafricana, il papa ripete la
richiesta tradizionale del Vaticano per “la non proliferazione delle armi e per il disarmo da parte di
tutti, cominciando dal disarmo nucleare e chimico”.

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